L’ultima intervista di Alan Shepard in traduzione italiana - parte 1
Questa parte copre i primi 43 minuti del dialogo (ossia circa la metà della registrazione), durante i quali si parla dei tempi di Mercury, del periodo in cui la sindrome di Ménière escluse Shepard dai voli, fino ad Apollo 13. Ho aggiunto dei titoli per rendere più facile ritrovare i vari momenti.
Chiedo benevolenza al lettore, laddove la qualità della traduzione non sia adeguata. Ovviamente suggerimenti e correzioni sono molto graditi.
Tra i Sette di Mercury
NEAL (1): Siamo con Alan Shepard a Pebble Beach, in California. Non potete vedere il magnifico panorama, perché abbiamo oscurato l’ambiente per poter fare una buona videoregistrazione. E Alan, grazie per ospitarci qui con lei per questa “oral history”.
SHEPARD: E’ un piacere, signore, è un piacere.
NEAL: Iniziamo… non dall’inizio (perché c’era già stato un inizio prima)… La data 9 aprile 1959 le dice niente?
SHEPARD: Certo, è stato uno dei giorni più felici della mia vita. E’ il giorno in cui fummo riuniti ufficialmente come il primo gruppo di astronauti degli Stati Uniti. Ovviamente, prima eravamo passati attraverso un processo di selezione. Ma quello fu il giorno in cui per la prima volta fummo presentati ufficialmente come i primi astronauti degli Stati Uniti, a Langley Field in Virginia.
NEAL: A Langley? Mi domando perché a Langley.
SHEPARD: NACA [National Advisory Committee for Aeronautics] era diventata NASA in una grande, affrettata rivoluzione, come ricorderà. Il programma di selezione e addestramento degli astronauti era fondamentalmente gestito da persone che lavoravano a Langley. All’inizio, naturalmente, tutti dipendevamo da Washington. Là partì l’ammissione, l’introduzione, la preselezione e tutto quel genere di procedure. Poi, come sa, abbiamo fatto esami medici in tutto il paese. Ma, una volta completata la selezione, facevamo riferimento a quelle persone di Langley Field, il che per me fu agevole, perché ero già di stanza a Norfolk in un lavoro che non mi piaceva molto. Ero stato tolto dagli aeroplani e messo dietro una scrivania per la prima volta dopo un bel po’ di anni… Quindi è stato un viaggio davvero comodo. Non abbiamo nemmeno dovuto traslocare.
NEAL: Il suo viaggio per arrivare là era passato attraverso la scuola di pilota collaudatore, era passato attraverso l’esperienza del combattimento, era passato attraverso un po’ di tutto, non è vero? Perché la NASA, fra tutte le scelte possibili, ha deciso di prendere dei piloti collaudatori per la prima missione spaziale?
SHEPARD: Penso che fosse la conseguenza diretta dell’aver compreso che avevamo in sostanza un nuovo prodotto. Non era molto simile a un aereo, ma se ci si doveva mettere un pilota e farlo volare un po’ come un aereo… Quando si ha una strana macchina nuova, ci si rivolge ai piloti collaudatori. Questo è ciò che sono stati addestrati a fare e ciò che avevano fatto. Naturalmente NACA aveva alcuni piloti collaudatori, ma erano un po’ più vecchi. Nessuno di loro, non credo, era in una posizione in cui probabilmente avrebbe potuto competere con la varia esperienza di voli di collaudo che aveva la maggior parte di noi. E quindi la decisione fu presa.
Non so, dicono che [il presidente] Eisenhower abbia avuto qualcosa a che fare con la decisione, perché disse: “Beh, sì, ci serve un pilota collaudatore”, è stato d’accordo su questo. NACA - ora NASA - non aveva moltissimi piloti collaudatori, perciò: “Andiamo dai militari e vediamo cosa hanno da offrire”. Ora, se nella decisione non fu coinvolto lo stesso Eisenhower, per lo meno la Casa Bianca lo fu in una certa misura.
NEAL: Ma il punto è, naturalmente, che voi foste scelti. Quando squadrò per la prima volta quei suoi compagni, quale fu la sua prima reazione al gruppo?
SHEPARD: [Ride] Mi chiesi, innanzi tutto, da dove venissero fuori quei sei ragazzi incompetenti. Scherzi a parte, non è stata una sorpresa, perché molti di loro erano stati coinvolti nel processo di selezione preliminare, perciò avevo già una certa familiarità con il loro background. Glenn, naturalmente, lo avevo conosciuto prima; Schirra lo avevo conosciuto prima, per via del nostro rapporto con la Marina. Così ho capito che là c’era un bel po’ di talento e ho capito che ci sarebbe stata una dura lotta per vincere il premio.
NEAL: C’era competizione a quel tempo tra voi sette, vero?
SHEPARD: Era una situazione interessante, perché, come ho detto, ero in rapporti amichevoli con alcuni di loro. E d’altra parte, mi rendevo conto che ora ero in competizione con questi ragazzi, così c’era sempre un senso di cautela, suppongo, soprattutto nel parlare di cose tecniche. Al bar tutto cambiava, ma nel parlare di cose tecniche c’era sempre un senso di… forse un po’ di riservatezza, un non essere del tutto sinceri con gli altri, perché c’era questo forte senso di competizione.
[Interruzione]
NEAL: Stava parlando dei suoi compagni di squadra e mi piacerebbe ritornare su questo. C’era competizione tra voi sette?
SHEPARD: Beh, sa, era una situazione interessante stare insieme con i “Sette originali” per la prima volta. E, certo, avevo conosciuto alcuni di loro prima, tramite la Marina, ma tuttavia mi accorgevo all’improvviso che lì c’era competizione. C’erano sette ragazzi in lizza per il primo posto, qualunque cosa fosse. Sette ragazzi che cercavano quell’unico lavoro. Così, da una parte c’era un senso di cordialità e forse anche un po’ di sostegno, ma dall’altra parte: “Ehi ragazzi, spero che siate contenti che sia io a fare il primo volo!” [Ride]
NEAL: Stava entrando in un mondo completamente nuovo, o in un nuovo non-mondo, lassù nello spazio senza peso di cui non si sapeva nulla. Non la spaventava almeno un po’? Quali erano i suoi pensieri riguardo all’entrare in un nuovo ambiente?
SHEPARD: Credo che il mio pensiero rifletta quello degli altri ragazzi. Per me la sfida era essere in grado di controllare un veicolo nuovo in un nuovo ambiente. Si tratta di una generalizzazione, ma è qualcosa che avevo fatto per molti, molti anni come pilota della Marina, sulle portaerei - e, mi creda, è molto più difficile far atterrare un jet su una portaerei che atterrare un LM sulla Luna. La Luna è un gioco da ragazzi! Ma ciò era parte della mia vita, era la sfida. E qui si aveva, sì, un nuovo ambiente, ma si sa, per piloti da caccia che volano a testa in giù un sacco di tempo, la gravità zero non era un grosso problema. Dal momento che nessuno di noi era un medico, non avevamo pensato agli effetti a lungo termine dell’assenza di peso, ma gli effetti a breve termine della gravità zero per noi non erano una sfida. La sfida era quella di essere in grado di pilotare una macchina insolita e mantenere un buon controllo, positivo e consapevole, di quel veicolo.
NEAL: Un veicolo così insolito che non c’erano nemmeno dispositivi di addestramento o simulatori in grado di simulare il genere di cose che stavate per fare. Avete dovuto costruirli, non è vero?
SHEPARD: Come sa, è proprio così. Nei primi tempi avevamo quelli che chiamavamo “addestratori di compiti specifici” invece dei simulatori. Qualcosa era costruito per indicare il sistema di controllo; qualcos’altro per indicare i sistemi radio o alcuni degli strumenti. Ed erano tutti dispositivi separati, non i grandi, gloriosi simulatori che abbiamo oggi.
NEAL: Qual era il ruolo dell’astronauta in quei dispositivi?
SHEPARD: Penso che il ruolo dei simulatori allora, oggi e domani deve essere: hai a che fare con persone che volano aerei insoliti, che conducono esperimenti insoliti di rado, perché non si vola nello spazio ogni giorno. Quindi ci deve essere il simulatore, che crea artificialmente problemi, per addestrarti a contrastarli o a confrontarti con essi, per imparare a superare le difficoltà che potresti incontrare con il tuo esperimento, le difficoltà che potresti incontrare con la coda dello Shuttle, o altre cose del genere. Quindi i simulatori sono una parte molto, molto importante del volo spaziale e sono anche una parte molto importante per gli aerei commerciali. Purtroppo, alcune delle compagnie aeree di oggi, quelle che gestiscono brevi collegamenti, non richiedono ai piloti tempo al simulatore, il che è sorprendente. Penso che molti dei piloti lo facciano da soli. Ma i simulatori sono davvero utili, perché creano un senso di fiducia in se stessi. Si sale e il motore si spegne e si atterra in modo sicuro; oppure si va su e il razzo va di traverso e se ne esce, si torna a casa e lo si prova di nuovo. Perciò con la simulazione si crea un sacco di fiducia.
NEAL: Lei o gli altri astronauti avete avuto un ruolo attivo nella progettazione del veicolo spaziale?
SHEPARD: Sì, lo abbiamo avuto e abbiamo cercato di farlo nel modo più efficiente possibile. Nei primi tempi, con solo sette astronauti, abbiamo incaricato una persona di lavorare direttamente con il contractor. E ciò con la benedizione della NASA, perché anche gli ingegneri della NASA erano lì. Ma, soprattutto, dal punto di vista di un pilota: questa maniglia è al posto giusto? Se si dispone di un interruttore che si deve usare per contrastare una situazione di emergenza, è raggiungibile, è visibile, o si deve andare dietro la schiena da qualche parte per trovare il maledetto aggeggio? La nostra interfaccia è stata principalmente dal punto di vista del un pilota.
Il primo volo Mercury
NEAL: Poi, ha finito per essere il primo uomo a volare in un veicolo spaziale Mercury. Sapeva che sarebbe accaduto o è stata una sorpresa? Può descrivere i passi che l’hanno portata a ciò?
SHEPARD: Eravamo in addestramento da circa 20 mesi o giù di lì, verso la fine del 1960 o all’inizio del 1961, e tutti noi intuitivamente sentivamo che Bob Gilruth doveva prendere una decisione su chi stava per fare il primo volo. E, quando ci hanno detto che Bob voleva vederci un giorno alle 5 del pomeriggio nel nostro ufficio, abbiamo avuto il sentore che avesse deciso. Eravamo in sette, allora, in un solo ufficio. Avevamo sette scrivanie nell’hangar a Langley Field.
Bob entrò, chiuse la porta, e fu molto concreto quando disse: "Beh, sapete che dobbiamo decidere chi farà il primo volo e non voglio indicare pubblicamente un individuo in questo momento. All’interno dell’organizzazione voglio che tutti sappiano che noi designeremo il primo volo e il secondo volo e il pilota di backup, ma, al di là di ciò, non vogliamo prendere nessuna decisione pubblica. Così - disse - Shepard prenderà il primo volo, Grissom il secondo volo e Glenn sarà il backup per entrambe queste due missioni sub-orbitali. Domande? Silenzio assoluto. Egli disse: “Grazie mille. Buona fortuna”. Si voltò e uscì dalla stanza.
Beh, sto guardando sei facce che mi guardano e mi sento, naturalmente, del tutto entusiasta del fatto che avevo vinto la gara. Tuttavia, quasi subito dopo, mi sentii dispiaciuto per i miei amici, perché erano là. Voglio dire, si erano sforzati, avevano lottato proprio come me… e fu un momento molto toccante perché tutti si avvicinarono, mi strinsero la mano… e ben presto rimasi l’unica persona nella stanza.
NEAL: Questa è una storia impagabile, Alan. Infine le cose progredirono fino al punto in cui lei fu pronto per il volo. E, se ricordo bene, quel giorno sulla rampa di lancio si sono dovute affrontare alcune sospensioni del conto alla rovescia. Torniamo a quel giorno, così come se lo ricorda. Si sta preparando ora per MR-3, come è stato informalmente etichettato.
SHEPARD: In realtà i controlli e il conto alla rovescia erano andati molto, molto bene. Naturalmente, Glenn era il pilota di riserva e lui si era occupato delle operazioni pre-volo. Il Redstone rispondeva bene. Praticamente non abbiamo avuto alcun problema e il lancio era programmato, credo, per il 2 del mese di maggio [1961]. Io avevo già indossato la tuta, ero sul punto di uscire, quando arrivò un tremendo temporale, con tuoni e fulmini, e, ovviamente, hanno deciso di cancellare il lancio, con mio grande piacere. Il volo fu riprogrammato per 3 giorni più tardi, e, naturalmente, ha attraversato la stessa routine. Il tempo era buono, e mi ricordo il viaggio verso la rampa di lancio, in un furgone che era in grado di offrire comfort a chi indossava una tuta pressurizzata, ed eventuali necessari aggiustamenti dell’ultimo minuto sui dispositivi che controllavano la temperatura e simili; avevano tutta l’attrezzatura per fare queste cose. Il medico, Bill Douglas, era lì.
Ci fermammo davanti alla rampa di lancio, naturalmente; era buio. L’ossigeno liquido usciva fumando fuori dal Redstone. Tutto era illuminato dai proiettori. E mi ricordo di essermi detto: “Beh, non rivedrò più questo Redstone.” E, come sa, i piloti amano andare a dare calci ai pneumatici [dei loro aerei]. E’ stato un po’ come se andassi a dare un calcio ai pneumatici del Redstone, perché mi sono fermato e l’ho guardato… Ho guardato indietro e in alto questo bellissimo razzo e ho pensato: “Bene, ok razzo, andiamo e facciamo il lavoro.” Quindi, dopo essermi fermato e aver in qualche modo dato un calcio alle gomme, sono entrato e ho continuato con il conto alla rovescia.
Ad un certo punto, durante il conto alla rovescia, ci fu un problema con l’inverter del Redstone. Gordon Cooper era l’addetto alle comunicazioni vocali nella casamatta. Così ha chiamato e ha detto: “Questo inverter nel Redstone non funziona. Stanno riportando indietro la rampa e cambieremo gli inverter. Ci vorrà probabilmente un’ora, un’ora e mezza.” E io dissi: “Bene, se questo è il caso, allora mi piacerebbe uscire e andare in bagno.”
Avevamo lavorato a un dispositivo per la raccolta delle urine durante il volo, che funzionava abbastanza bene in assenza di gravità, ma davvero non funzionava molto bene quando si stava sdraiati sulla schiena e con i piedi in aria, come sul Redstone. La mia vescica stava diventando un po’ piena e, se avessi avuto un po’ di tempo, mi sarebbe piaciuto liberarmi. Così ho detto: “Gordo, vuoi controllare e vedere se posso uscire e liberarmi velocemente?” E Gordo ha richiamato… Credo che ci siano state delle discussioni, ci sono voluti circa 3 o 4 minuti, e alla fine ha richiamato e ha detto: “No, von Braun dice: [con accento tedesco] ‘L’astronauta deve rimanere nell’ogiva’”. Così ho detto: “Ok, va benissimo, ma ho intenzione di andare in bagno”. E hanno detto: “Non puoi farlo perché hai dei fili su tutto il corpo e ci saranno cortocircuiti.” Ho detto: “Ragazzi, non avete un interruttore che spegne quei fili?” E loro: “Sì, abbiamo un interruttore.” Allora io dissi: “Per favore, spegnete l’interruttore.”
Beh, mi sono liberato e, naturalmente, la biancheria di cotone che avevo addosso assorbì tutto immediatamente e, con il 100% di ossigeno all’interno di quel veicolo spaziale, ero totalmente asciutto al momento del lancio. Ma qualcuno ha detto qualcosa riguardo al mio essere la prima schiena bagnata del mondo nello spazio (2). [Ride]
NEAL: A quel tempo l’intero gioco era competitivo, non solo tra i sette astronauti, ma eravate in gara per lo spazio con i russi. Vi batterono, no? Sto pensando a Yuri Gagarin.
SHEPARD: In quella piccola gara tra Gagarin e me eravamo davvero molto vicini. Certamente, i loro obiettivi e le loro capacità di volo orbitale erano più grandi delle nostre, in quel particolare momento. Alla fine li abbiamo presi e superati, ma, come lei fa notare, c’era la guerra fredda, c’era una competizione. Avevamo fatto volare uno scimpanzé chiamato Ham in una combinazione Redstone-Mercury [MR-2, 31 gennaio 1961] e tutto aveva funzionato alla perfezione, tranne che per un relè che alla fine del volo a motore avrebbe dovuto espellere la torre di fuga, perché non era più necessaria, separarla dalla capsula Mercury e allontanarla. Per qualche motivo, durante il volo di Ham, il motore si accese, ma la torre non si separò. Così lo scimpanzé viaggiò ancora per altre 10 o 15 miglia in altitudine e altre 20 o 30 miglia in distanza. Non ci fu assolutamente nessun altro problema nella missione.
Così la nostra forte raccomandazione è stata: “Ok, mettiamo Shepard nel prossimo volo. Tutto ha funzionato bene, quindi se la cosa si ripete, non c’è un gran problema. Shepard va un po’ più in alto.” Wernher ha detto [in un accento tedesco]: “No, vogliamo tutto assolutamente perfetto”. Così abbiamo volato un’altra missione senza equipaggio, prima di Gagarin [MR-BD, 24 marzo 1961], poi ci fu il suo volo [12 aprile], e quindi il mio [5 maggio]. Perciò eravamo proprio sul limite. Se mi avessero messo in quella missione senza equipaggio, avremmo davvero volato prima. Ma ci andammo vicino.
NEAL: Col senno di poi non sembra così importante, ma al momento credo che lo fosse.
SHEPARD: Oh molto importante; assolutamente, assolutamente.
NEAL: Quanto è stato importante? Ha detto niente pubblicamente, o si è semplicemente leccato le ferite e preparato per il volo successivo?
SHEPARD: Come sa, avevamo un sacco di divergenze di opinione sul programma. Non solo riguardo al design, ma anche nella schedulazione; tuttavia sulla maggior parte di queste cose fu mantenuto il silenzio. Il più fu risolto, e molto poco è venuto fuori in pubblico. E’ stata sempre una sorta di decisione condivisa.
Mercury MA-10
NEAL: In seguito, più avanti, lei iniziò a far pressioni per ottenere un altro volo su una Mercury, ma il programma Mercury fu interrotto perché c’erano pressioni per qualcosa d’altro. Possiamo discutere di queste pressioni?
SHEPARD: Non la sorprende che io volessi volare di nuovo, signor Neal?
NEAL: Niente affatto.
SHEPARD: Quando Cooper concluse la missione orbitale di un giorno e mezzo [MR-9 15/16 maggio 1963], c’era un altro veicolo spaziale pronto per partire. Ebbi l’idea di farmi mettere lassù per restare fino a quando qualcosa finiva; fino a quando le batterie si scaricavano, fino a quando l’ossigeno si esauriva, fino a quando avremmo perso un sistema di controllo o di qualcosa di simile. Una missione di tipo aperto. E l’ho raccomandata così tanto che mi hanno detto che non volevano più sentirmene parlare.
Ma ricordo che quando Cooper e la sua famiglia e gli altri astronauti e le famiglie sono stati invitati alla Casa Bianca per un cocktail con Jack [ossia: John F. ] Kennedy, e prima ci siamo fermati a casa di Jim Webb per un piccolo “riscaldamento”, mi sono messo a discutere con Webb e gli ho detto: “Lei sa, signor Webb, che potremmo mettere questo ‘bambino’ lassù in poche settimane. È tutto pronto. Abbiamo i razzi. Mi lasci sedere lì e vedere quanto tempo durerà, e ottenere un altro record.” Lui disse: “No, non sono d’accordo. Penso che dobbiamo andare avanti con Gemini.” E io dissi: “Bene, fra poco vedrò il Presidente. Le dispiace se gliene parlo?” Lui rispose: “No, ma digli anche la mia versione della storia.” Allora ho detto: “Va bene.”
Così, siamo arrivati lì e stavamo tutti sorseggiando il nostro liquore, cercando di riavere indietro un po’ del nostro denaro di contribuenti bevendo alla Casa Bianca, e presi Kennedy da parte e gli dissi: “C’è la possibilità di fare un altro volo Mercury a lunga durata - forse 2, forse 3 giorni - e ci piacerebbe farlo.” Lui disse: "Che cosa ne pensa il signor Webb? " Dissi: “Webb non vuole farlo.” Così ha detto: “Beh, penso che dovrò essere d’accordo con il signor Webb.”
NEAL: Ciò le fece capire chi era “il potere dietro il trono”.
SHEPARD: Almeno ci ho provato.
La malattia
NEAL: Così, invece, iniziò a prepararsi a volare nella Gemini, una partita totalmente nuova.
SHEPARD: Sì. Fu una grande fortuna che fossi scelto per la prima missione Gemini. Tom Stafford, che era un giovane molto brillante, mi era stato assegnato come co-pilota ed avevamo già iniziato la missione, ci stavamo già addestrando per la missione. Infatti eravamo stati nei simulatori, diverse volte. Non sono sicuro se avessimo già visionato l’hardware a St. Louis (3) o meno, prima che avessi il problema.
Il problema che ho avuto era una malattia chiamata di Ménière, dovuta alla elevata pressione del fluido nell’orecchio interno. Mi dicono che accada nelle persone di tipo A (4), eccitabili, controllate, comunque siano. Purtroppo provoca mancanza di equilibrio, vertigini, e in alcuni casi la nausea, come conseguenza di tutto questo disorientamento che avviene nell’orecchio. Per fortuna riguarda un lato solo, infatti mi colpì solo a sinistra. Ma era così evidente che la NASA mi mise subito a terra e assegnarono un altro equipaggio al primo volo Gemini.
In quelle condizioni che cosa fare? Tornare in Marina? Rimanere nel programma spaziale? Cosa fare? Alla fine decisi che sarei rimasto alla NASA per vedere se non ci fosse un modo per risolvere questo problema dell’orecchio. Passarono diversi anni, c’era qualche cura che lo alleviava, ma ancora non potevo volare da solo. Si immagina il più grande pilota collaudatore del mondo che, per volare, deve avere un ragazzo nel sedile posteriore? A proposito di situazioni imbarazzanti!
Ma, in realtà, fu Tom Stafford che venne da me e mi disse che aveva un amico di Los Angeles che stava sperimentando come correggere chirurgicamente questo problema di Ménière. E così ho detto: “Grande, accidenti! Andrò a trovarlo.” Così lui organizzò la cosa. Andai là. Il tipo disse: “Sì, lo facciamo. Quello che facciamo è fare una piccola apertura, mettere un tubo in modo che da allargare la cavità che tiene la pressione del fluido, e in alcuni casi ha funzionato.” E io dissi: “Bene, che cosa succede se non funziona?” E lui disse: “Beh, non starà peggio di come sta adesso, tranne che potrebbe perdere l’udito. Ma a parte questo…” Così sono andato là sotto falso nome.
NEAL: Che nome?
SHEPARD: Era Poulos, mi pare. Victor Poulos. Il medico e l’infermiera lo sapevano, ma nessun’altro… Così, Victor Poulos fa le analisi e gli fanno l’operazione… Non è nulla di traumatico, ovviamente, perché dopo circa un giorno ero fuori di lì. Certo era evidente, avevo una grande palla di roba sull’orecchio, quando tornai a casa. Ma la NASA ha iniziato a guardarmi. E sono passati mesi, mesi e mesi… e infine [nel maggio 1969] dissero: “Sì, tutti i test dimostrano che non sei più affetto dalla malattia di Ménière.” Quindi ero là, dopo aver preso la decisione giusta.
Il “Gelido Comandante”
NEAL: Penso che qui sia meglio retrocedere un po’, perché, ovviamente, questo la porterà a parlare di un collega di nome Deke Slayton, e noi non abbiamo chiarito il fatto che Deke, come lei, fu esonerato dall’attività di volo. Allora torniamo un po’ su questo, soprattutto perché accadde ai tempi del progetto Mercury, quando Deke si preparava a volare; quando ha lo ha sentito per la prima volta?
SHEPARD: Deke era già stato assegnato a seguire John… [Glenn]
NEAL: E improvvisamente fu messo fuori dal suo volo Mercury. Fu un problema cardiaco, no?
SHEPARD: Sì, ci furono parecchie discussioni su questo, perché si trattava di un soffio al cuore o di una palpitazione, una qualche irregolarità che non era evidente. Non era un fatto continuo. Non c’era una minaccia di arresto cardiaco o qualcosa di simile. Capitava solo occasionalmente che avesse là una contrazione…
NEAL: Fu un vero colpo. Le domando quale fu la sua reazione a quel tempo e se ce ne può dare un po’ di contesto.
SHEPARD: In quei giorni, come abbiamo detto prima, eravamo ancora altamente competitivi. C’erano ancora sette ragazzi pronti per qualunque volo fosse disponibile. E Slayton era stato scelto per fare la seconda missione orbitale dopo Glenn, quando ha avuto questo piccolo soffio al cuore. Come ho detto, non era niente di realmente serio. Voglio dire, non era continuo. Gli veniva una volta ogni tanto. Tuttavia fece preoccupare parecchio i medici e, anche dopo che esami piuttosto approfonditi dimostrarono che non era frequente al punto da interferire con la missione, si continuò a pensare: “Non possiamo rischiare su nessuna cosa, né sull’hardware né sugli astronauti.” Così è stato messo a terra. Completamente.
E a quel punto il senso di competizione con Deke si trasformò in cameratismo, nel sentirsi dispiaciuti per lui. Un senso di “Riportiamoti in qualche modo nel programma, vecchio mio.” Perché davvero ero dispiaciuto per lui, a quel punto, perché non era più competitivo. Ma, d’altra parte, avevamo un ragazzo in quella posizione e sapevamo quanto potesse essere duro per lui.
Così è stato messo a terra. Ovviamente, il beneficio per noi fu di avere qualcuno di noi che potesse diventare subito un portavoce, perché aveva deciso di rimanere. Penso che si dimettesse dalla riserva della Air Force a quel punto. Non sono sicuro, ma credo di sì [Slayton si dimise nel 1963]. In ogni caso, era qualcuno che poteva parlare per il gruppo e non avere la preoccupazione dei problemi dell’addestramento. Quindi fu un evidente vantaggio avere lui come leader e come portavoce del gruppo.
NEAL: E così è diventato Capo dell’Ufficio Astronauti? Qual era il suo titolo?
SHEPARD: Sì, penso che fosse Capo dell’Ufficio Astronauti.
NEAL: E quello era il lavoro di cui lei alla fine fu incaricato [tra 1963 e 1969].
SHEPARD: Sì, le cose erano cambiate, naturalmente.
NEAL: Ai tempi del progetto Gemini, all’improvviso, c’erano due dei sette che erano stati messi a terra, Deke e Al. Che squadra! Come si arrivò a far diventare lei Capo dell’Ufficio Astronauti mentre Deke, a questo punto, aveva assunto un po’ di potere come Responsabile delle Operazioni degli Astronauti?
SHEPARD: Come ho detto prima, avevo deciso di combattere la sindrome di Ménière per rimanere alla NASA. E durante il periodo di tempo in cui ero a terra, potei diventare molto, molto utile nel settore della formazione degli astronauti. Penso che eravamo davvero cresciuti, se si considera il numero di ragazzi che erano impegnati nei simulatori, ad esempio, nelle procedure di vestizione, che curavano le tute ecc., che si occupavano delle strutture per gli astronauti… c’era davvero un bel numero di persone coinvolte. Così decisero di fare una sezione separata. Deke divenne il capo di quella sezione e a me hanno dato il compito specifico di occuparmi degli astronauti, come responsabile della loro formazione, e di aiutare Deke nell’assegnazione degli equipaggi, questo genere di cose.
NEAL: Fu Deke soprattutto che le procurò il lavoro, o fu solo il fatto che lei aveva tutte le qualifiche per farlo? Come andò?
SHEPARD: Penso che sia stata solo una questione di chiedersi: “Di che cosa abbiamo bisogno?” Dopo che fui messo a terra e informai la NASA che sarei rimasto, avevamo due ragazzi che in realtà… Ciascuno di noi avrebbe potuto fare il lavoro. Una piccola differenza, credo, era che io sapevo che, in qualche modo, qualcosa in me sarebbe accaduto. Stavo per andare a farmi curare l’orecchio o c’ero già andato. Deke, credo che fosse più o meno rassegnato, in questa fase, alla faccenda del soffio al cuore ed i medici continuavano a dargli brutte notizie in merito. Quindi penso che per Deke fosse probabilmente un impegno più a lungo termine che nel mio caso particolare e penso che questo sia davvero il motivo per cui si è deciso così. Lei sa che ne parlammo con Kraft e Gilruth e in qualche modo riconobbero che ero una buona scelta.
NEAL: Voi due avevate la reputazione di guide molto rigorose.
SHEPARD: Certo, Deke ed io eravamo entrambi provati perché non potevamo volare. Entrambi ci eravamo addestrati come astronauti. Sapevamo dov’era ogni problema in tutto il processo e non avremmo permesso che quei ragazzi trascurassero niente. Sapevamo quello che dovevano fare, sapevamo come dovevano farlo e, se loro non lo stavano facendo, li avremmo presi e glielo avremmo detto. Forse ero un po’ più energico di quanto sarei stato normalmente, perché ero stato messo a terra. Credo che mi chiamassero il “Gelido Comandante” o con qualche “amichevole” soprannome del genere…
NEAL: “Sguardo d’acciaio”?
SHEPARD: Sapevamo dove erano tutti i problemi.
NEAL: Per questo, in un modo molto particolare, dal punto di vista della NASA, forse fu un vantaggio per il programma spaziale che lei e Deke vi foste trovati entrambi a fare quello che facevate in quel momento. Ci ha mai pensato?
SHEPARD: Penso che sicuramente c’era bisogno di un coordinamento, c’era bisogno di una rappresentanza a livello esecutivo. Altri ragazzi avrebbero potuto fare il lavoro altrettanto bene o forse anche meglio. Ma pare che ne siano venuti fuori dei buoni equipaggi.
NEAL: Non credo che qualcuno possa criticare la vostra selezione degli equipaggi, Alan.
Tutto il percorso attraverso il Programma Gemini e, infine, Apollo. Ed è stato durante il tempo di Apollo, che lei finalmente individuò, con l’aiuto di Stafford, come lei ha descritto in precedenza, un modo per curare la sindrome di Ménière a Los Angeles. Improvvisamente i cieli si riaprirono per Alan Shepard. Doveva tornare nel programma, non è vero?
SHEPARD: Certo, quando la NASA ha finalmente detto che potevo volare di nuovo, sono andato da Deke e gli ho detto: “Non abbiamo ancora annunciato pubblicamente l’assegnazione dell’equipaggio per Apollo 13. Ho una raccomandazione da fare.” Avevo scelto due brillanti e giovani ragazzi - uno con un Ph. D. e uno un sacco più in gamba di me - e avevo messo insieme una squadra per un volo Apollo. Dissi: “Vorrei raccomandare che io prenda Apollo 13, con Stu Roosa come pilota del modulo di comando e Ed Mitchell come pilota del modulo lunare.” Deke disse: “Non so. Proviamo.” Così lo abbiamo proposto a Washington, e ci hanno detto: “No, niente da fare.” Così abbiamo detto: “Aspettate un minuto. Shepard è almeno altrettanto in gamba quanto il resto dei ragazzi, forse anche un po’ più.” Ed essi dissero: “Bene, lo sappiamo. Ma è un problema di pubbliche relazioni. Ecco, questo ragazzo è stato appena riabilitato a volare e tutto ad un tratto, bum! ottiene un incarico di primo equipaggio.” Così la discussione è andata avanti per diversi giorni e alla fine hanno detto: “Va bene, facciamo un accordo. Daremo a Shepard Apollo 14. Indicateci un altro equipaggio per Apollo 13”; e questo è quello che è successo.
Apollo 13
NEAL: Oh, e non lo avesse mai fatto! Improvvisamente Apollo 13, nel suo viaggio verso la Luna, incontrò enormi problemi. Mi chiedo che cosa ha pensato quando il problema si rivelò e che cosa ha fatto durante quel periodo di tempo.
SHEPARD: Il pensiero immediato è stato: “Come portiamo indietro questi ragazzi?” Ovviamente, fin dall’inizio, fu la fine della missione di allunaggio, non c’è dubbio. Ma è stato interessante vedere l’intero sistema svuotato e fatto ripartire con ogni tipo di consiglio. E, naturalmente, sono stati Chris Kraft e Gene Kranz che hanno tenuto tutti insieme su questo, dicendo: “Guardate che dobbiamo trovare un modo per portare a casa questi ragazzi. Il fallimento non è un’opzione”. E come sa bene, l’intero sistema si mise in moto. In ogni angolo dei processi produttivi, i fornitori, le persone della NASA, tutti lavorarono per trovare una soluzione al problema.
Come si vide, c’era più di una soluzione. Voglio dire: i diversi gruppi di ingegneri dovevano essere diretti e corretti. E penso che probabilmente sia stata l’ora più bella della NASA. Certamente dal punto di vista di un pilota, è stato un evento altrettanto importante quanto camminare sulla Luna con Apollo 11.
NEAL: Lei ebbe il volo successivo. Lo affrontò con timore e tremore o con la consapevolezza che probabilmente avreste fatto un buon volo, grazie a quello che era stato appreso da Apollo 13? Qual era la sua posizione?
SHEPARD: So che alcuni hanno espresso il parere che volare su Apollo 14 sarebbe potuto essere un po’ più pericoloso di quello che sarebbe stato se non ci fosse stato Apollo 13. Ma, si capì che si doveva fare una quasi totale riprogettazione… beh, non fu necessaria una riprogettazione, ma si doveva fare una revisione totale del pacchetto, per scoprire in particolare perché la cosa è scoppiata e aggiustarla, per cercare problemi simili in tutto il modulo di servizio, ma, ancora, per riesaminare l’intero schema di cose. Sa, in missioni come questa, quando si è nella ricerca di base, ci sono sempre decisioni lungo il percorso, [per esempio] che forse si dovrebbe mettere a posto questo particolare pezzo di equipaggiamento perché c’è una possibilità su 100 che non funzioni.
D’altra parte, si tratta solo di una piccola parte di un grande processo organizzato per partire in una data precisa e, se non funziona, per sopperire al problema c’è l’equipaggio. Ci sono sempre queste piccole decisioni da prendere, quindi una parte del processo di revisione di Apollo 13 le doveva attraversare. Ancora: avevamo tempo per fare qualche correzione di quelle possibilità 1 a 100 di fallimento? E naturalmente parecchie altre sono state effettuate in aggiunta alle correzioni del problema di base. Quindi c’era una sensazione di sicurezza, e noi, ovviamente, eravamo parte del processo.
size=10pt L’intervistatore è il giornalista Roy Neal, a lungo corrispondente di NBC News.
(2) Qui c’è un gioco di parole intraducibile. “Wetback” (“schiena bagnata”) è un termine spregiativo che viene usato negli USA per definire gli immigrati irregolari messicani (bagnati perché si presume che abbiano attraversato il Rio Grande).
(3) A St. Louis, nel Missouri, era la sede dalla McDonnell, costruttrice delle capsule Mercury e Gemini.
(4) Shepard pare alludere ad una discussa teoria che mette in relazione la predisposizione a certi disturbi con i caratteri psicologici (si veda, per esempio: https://en.wikipedia.org/wiki/Type_A_and_Type_B_personality_theory).[/size]