Alcatel Alenia Space Italia in corsa per il primo modulo gonfiabile abitabile
Una società privata statunitense, la Bigelow Aerospace, è riuscita, prima al mondo, a mandare in orbita un prototipo in scala di un modulo gonfiabile(“inflatable”), il 12 luglio scorso. La notizia ha destato clamore nel mondo aerospaziale, perché dei moduli gonfiabili si parla da tempo, come dei sistemi del futuro, per il rapporto estremamente competitivo tra dimensioni e peso al lancio e volume abitabile una volta gonfiati. Pochi però sanno che il primo modulo del genere in orbita avrebbe potuto essere italiano, e che la competizione per il primo sistema abitabile del genere - che darà un enorme vantaggio strategico a chi lo realizzerà in vista delle missioni lunari e su Marte - è del tutto aperta, con Alcatel Alenia Space Italia in grande vantaggio e in grado di “arrivare prima” se troverà il dovuto sostegno, soprattutto da parte dell’Agenzia spaziale italiana (ASI). Infatti Alenia si sta occupando da anni di progetti simili, prima con TransHab e poi con FLEX, quest’ultimo oggetto di grande interesse sia da parte dell’Agenzia spaziale europea (ESA) che della NASA.
«Il progetto FLEX - spiega a Dedalonews Doriana Buffa, program manager del programma - è nato in continuazione di TransHab, a conferma dell’interesse italiano per i sistemi gonfiabili. FLEX è acronimo di Flexible Expandable structure, programma nato con l’obiettivo di qualificare in orbita, sulla stazione spaziale, le strutture inflatable. Il vantaggio enorme rispetto al modulo Bigelow consiste quindi nel fatto che avrebbe potuto da subito essere abitato da due persone, in quanto modulo pressurizzato collegato alla ISS e della quale diveniva parte integrante. Per quanto riguarda lo sviluppo del programma, c’è stato uno studio di fase A con l’obiettivo di capire l’interesse verso gli inflatable a fronte di un reale vantaggio di tipo realizzativo per il rapporto volume massa molto competitivo. È seguita la fase B».
Dunque non un prototipo ma un modulo in scala reale?
Flex è in scala reale nel senso che è nato per essere un modulo di qualifica, ma non è in scala reale per le applicazioni future, quali i voli interplanetari. Diciamo che la struttura di Flex è compatibile con una porta della space Station. Il modulo gonfiato sarà circa 3×3 metri e fornirà un volume d’aria di 15-20 metri cubi. È importante dire che la struttura inflatable è progettata fin da oggi pensando già alle lunghe missioni del futuro, in modo che la qualifica in orbita di FLEX serva anche da qualifica per i moduli per le missioni sulla Luna e su Marte.
Quindi, già utilizzabile anche se aperto a sviluppi ulteriori?
Si, e lo stesso FLEX è stato concepito in due step successivi: nel primo, dovrebbe effettuare una missione attaccato ad un modulo logistico pressurizzato italiano MPLM, portato in orbita e riportato a terra nel vano cargo di uno shuttle, per una volo della durata complessiva di circa 14 giorni; questo primo test servirà a validare le prestazioni strutturali del modulo, quali l’assenza di perdite di tenuta, il comportamento del multistrato ecc… Una volta verificato tutto questo, Flex sarà attaccato alla stazione, e da quel momento gli astronauti potranno entrarci. Tuttavia, non sarà un vero ambiente di lavoro, ma servirà piuttosto a verificare la sensazione degli astronauti nel trovarsi dentro un gonfiabile.
Inoltre, quella del poter essere subito vivibile non è l’unica differenza con il modulo di Bigelow: Quest’ultimo infatti non rientra a terra , mentre FLEX tornerà a terra nella cargo bay dello shuttle per diventare un modulo di studio, che si può controllare in laboratorio.
In pratica, oltre che una tecnica di gonfiaggio, state studiando anche una tecnica di sgonfiaggio nello spazio?
Esatto, ed è qui la parte complessa. La difficoltà consiste nel mettere a punto dei meccanismi che non solo permettano il deployment, ma anche il ripiegamento. Naturalmente, essendo collegato all’MPLM, che va riportato a terra, il FLEX sarà dotato di sistemi di sicurezza di sgancio per far fronte al caso in cui non si riuscisse a sgonfiarlo per farlo rientrare nella zona cargo dello shuttle. Sono meccanismi, però, legati solo a questo tipo di missione, che vede in FLEX un “laboratorio” da riportare a terra, perché per i moduli da usare nelle future attività spaziali saranno solo gonfiabili e non presenteranno la necessità di essere ripiegati dopo l’uso.
Vogliamo riportarlo a terra, nonostante le difficoltà in più che affrontiamo, perché vogliamo studiare dal vivo, e non solo con i sistemi di acquisizione dati come avviene per il modulo Bigelow, il comportamento del multistrato di cui è fatto.
In che consiste la fase B in cui vi trovate attualmente con il FLEX?
La fase B è divisa in due aree: lo sviluppo tecnologico e lo studio di missione. Siamo partiti da circa un anno con la caratterizzazione del materiale base, poi siamo passati alla caratterizzazione del multistrato ed ora stiamo validando i processi di manifattura, come l’incollaggio. Poi saranno effettuati dei test per andare a validare le giunzioni critiche, quali quelle tra metallo e struttura gonfiabile. Poi ci sarà il volo.
Quanto siete penalizzati dalla riduzione dei voli shuttle dopo la tragedia del Columbia?
Siamo tutti convinti che l’unico modo per qualificare un modulo di questo tipo è mandarlo in orbita Ora, FLEX può volare attaccato all’MPLM nel vano cargo dello shuttle, ma anche indipendentemente. Quindi, per ridurre il rischio di non vederlo volare, si stanno studiando soluzioni alternative con il lancio su altri vettori, come Ariane, attaccato ad un ATV, il cargo automatico europeo. In questo modo si potrebbe anche riuscire a dare maggiore spazio abitabile alla stazione, indipendentemente dalla riduzione dei voli shuttle.
Oltre a questo, stiamo studiando con l’ASI anche la possibilità di metterlo su una piattaforma satellitare italiana Mita per validarlo in orbita con una missione di uno o due anni. In questo caso il modulo avrà dimensioni inferiori.
Visto l’interesse della NASA e dell’ESA per FLEX, possiamo dire che l’Italia è all’avanguardia a livello internazionale?
Siamo gli unici a lavorare, come prime contractor, su questa tecnologia e se avessimo accelerato un po’ saremmo arrivati anche prima di Bigelow, perché la prima missione con MPLM era in programma per il 2006.
Quindi, se FLEX va avanti, potremmo in teoria essere i fornitori dei moduli gonfiabili per le future missioni ESA e NASA?
È sicuramente così, tanto che ESA considera FLEX tra i contributi italiani più importanti. Nel caso della NASA, l’Agenzia statunitense si avvale di un’entità commerciale che è Bigelow, ma guarda con attenzione a FLEX come contributo italiano. Le fasi C e D devono però partire il più in fretta possibile, perché il progetto è bello, sono tutti interessati, ma se ci fermiamo perdiamo la corsa. È stato fatto un investimento e dobbiamo mantenere questo primato per far si che l’investimento fatto sia di alto ritorno strategico. Non possiamo aspettare altri cinque anni, soprattutto sapendo che la NASA è interessata ad avere FLEX sulla stazione.
La tecnologia gonfiabile non è l’unica novità di FLEX…
Oltre al multistrato si valideranno due altre tecnologie: la generazione di energia elettrica a film sottili, mediante celle fotovoltaiche che verranno rese solidali col multistrato e che trasformeranno in pannello solare la superficie del modulo, e le antenne inflatable. In altre parole, una fetta di Flex ospiterà questi generatori a film sottili e un’altra che ospiterà l’antenna gonfiabile.
Un po’ di date…
Transhab si è chiuso nel 2000. Poi c’è stato un periodo di stacco, seguito da uno studio chiamato SPES. È seguita nel 2003 la fase A di Flex e lo scorso anno la fase B. Visto che ci sono in programma missioni MPLM fino al 2008-2009, siamo ancora in grado di “prendere al volo” l’occasione.
Ricordiamo che Flex avrà forma sferica, peserà circa 500 chili (la metà del peso di un modulo tradizionale di pari volume) e sarà equipaggiato con attrezzature portatili, per le quali saranno previsti punti di ancoraggio che consentiranno di validare le tecniche di interfacciamento tra gonfiabile e metallo. Chiuso misurerà 1,5×1,2 metri.
Una volta attaccato alla stazione, si gonfierà semplicemente prendendo aria dalla ISS. Se si riuscirà a tenerlo attaccato alla stazione per uno o due anni, oltre che per validare la tecnologia gonfiabile, potrebbe essere usato dagli astronauti sulla ISS come “sgabuzzino”.
I futuri moduli avranno invece forma cilindrica e saranno pienamente abitabili.