Un moderno piano spaziale in Italia esiste fin dal lontano 1998 con il piano quinquennale dell’Asi (1998-2002). Seguito poi dal Piano 2003-2005 ed infine l’ultimissimo 2006-2008. (vedi
http://www.asi.it/html/ita/news/20060124_pasn.pdf)
Purtroppo non tutto quello che luccica è oro… e l’ASI con il suo piano (ed il presidente Vetrella) non fanno eccezione.
In una situazione mondiale congiunturale piuttosto negativa nel settore aerospaziale (sono un diretto interessato lavorativamente parlando…) l’ASI ha sostanzialmente reagito con l’immobilismo (in definitiva il piano è stato solo una lista di buoni propositi, almeno fino al 2005).
A questo proposito allego una lucida analisi della situazione Italiana ascoltata al Convegno Nazionale “Crisi attuale dello Spazio in Italia e a livello internazionale. Analisi e proposte per il rilancio” del Sen.Giovanni Urbani Responsabile Nazionale Aerospazio DS. Analisi che condivido pienamente solo per il semplice fatto che descrive una situazione che personalmente vivo tutti i giorni (la mia società attualmente ha come cliente principale ed unico l’ESA)
"… assume un rilievo tutto particolare la gravissima crisi in cui versa l’Agenzia Spaziale Italiana da cui dipende la sopravvivenza di tanta parte dello Spazio italiano.
Ma qui si tratta prima di tutto di una crisi di direzione, quindi anomala. C’è stata una precisa intenzionalità di scelte negative mirate, che quindi potevano essere diverse e i cui effetti potevano essere diversi.
Questa anomalia ha coinciso con l’avvento del governo di centro destra a metà del 2001, con la gestione da parte del Ministro Moratti della ricerca scientifica italiana – da cui l’ASI continua impropriamente e improduttivamente a dipendere – e con la nomina del nuovo Presidente dell’ASI attuata in omaggio alla logica di uno spoil sistem selvaggio e della discontinuità ad ogni costo rispetto all’operato del centrosinistra.
In base ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti, si può affermare senza ombra di dubbio che si è perseguita una logica complessiva perversa. Non a caso per pochissime altre vicende le critiche dell’opposizione alle scelte del governo di centro destra, hanno trovato un così unanime riscontro e condivisione in tutti gli ambienti interessati e nell’opinione pubblica più attenta: ciò sulla base di fatti ed esclusivamente di fatti.
Va detto nel modo più chiaro che questa gestione disastrosa è avvenuta ed avviene sulla pelle delle aziende e naturalmente dei lavoratori. Gli effetti son ricaduti – questa volta equamente – su tutte le aziende, ma più pesanti naturalmente sul comparto più debole delle PIM.
C’è ormai una “letteratura” - per così dire - di tradizione scritta e soprattutto orale, sulla valutazione negativa della attuale gestione dell’ASI: nei suoi risvolti pubblici ed anche “privati”.
All’inizio si è manifestato un allarme diffuso sui primi atti del nuovo Presidente. Poi sono seguite richieste, suggerimenti, pressioni, proposte, critiche che non hanno dato risultato alcuno. Per scelta sono stati interrotti ogni interlocuzione ed ogni confronto reale dell’ASI con i suoi referenti naturali, le aziende in primo luogo.
Dentro l’Agenzia i rapporti sono stati improntati ad un decisionismo preconcetto e ad una gestione gerarchica, e monocratica sovente ai limiti dell’arbitrio. Scarsissimo interesse è stato dimostrato nei confronti del Parlamento, della comunità scientifica, delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali quali fonti di indirizzo e di alta consulenza. Unico interlocutore reale del Presidente dell’ASI in questi lunghi mesi sembra essere stato il Ministro: un rapporto tuttavia che è apparso puramente fiduciario.
Il risultato concreto di questo blackout è stata la decisione di bloccare tutti i contratti, quelli da stipulare e quelli già avviati; e la conseguente paralisi di gran parte delle attività spaziali industriali e scientifiche, che per l’80% - com’è noto e fisiologico – dipendono dal budget pubblico. E’ una situazione che dura ormai da due anni. Ne è derivato un danno grave e prolungato alle aziende che potrebbe essere quantificato; sono stati messi in ginocchio i ricercatori impegnati nella ricerca spaziale; si sono ridotti ed indeboliti presenza e peso dell’Italia spaziale in Europa e nel mondo; è offuscata agli occhi degli operatori ogni prospettiva a lungo termine, indispensabile per dare respiro alle attività spaziali: significativa in proposito la perdita, da esodo, di tecnici preziosi per preparazione ed esperienza.
Ma il danno più rilevante, è stato quello legato alla congiuntura. Nonostante le sollecitazioni molto forti e generalizzate, il Presidente dell’ASI sino ad oggi si è rifiutato, per scelta precisa, di fare un piano di interventi mirato a superare la fase critica, “proteggendo” le aziende non in un’ottica assistenzialistica ma di riqualificazione e innovazione tecnologica e gestionale. Si trattava,- anzi si tratta – di coordinare sinergicamente iniziativa “privata” e intervento “pubblico” con il fine preciso di salvaguardare risorse umane, competenze, tecnologie e di puntare ad un salto di qualità tecnologico e di prodotto. Tutto ciò con un obiettivo evidente: mettere in grado il sistema spaziale italiano di essere almeno sufficientemente competitivo, al momento in cui ci sarà la ripresa. Si trattava – insomma di utilizzare la crisi per prepararsi al momento del rilancio. Come del resto stanno facendo negli altri paesi.
Avere trascurato, in una fase di crisi seria, questo compito d’intervento orientato, di sostengo qualificato e anche di confronto e stimolo dialettico con le aziende, perché un programma anticrisi concertato diventasse l’occasione di una radicale riqualificazione aziendale, di gruppo e di sistema; e l’obiettivo invece non fosse solo quello – pur importante – di mettere in pareggio i bilanci che è quanto interessa prioritariamente e a volte esclusivamente le aziende - costituisce la più grave responsabilità del Presidente dell’ASI. Questa inerzia calcolata ne ha minato del resto la credibilità e l’affidabilità agli occhi degli interlocutori nazionali e stranieri, perché – operando così – è venuto meno il compito primario e la stessa ragion d’essere di ogni agenzia spaziale; e per le conseguenze che ne deriveranno al nostro sistema spaziale: condizioni generali di maggiore difficoltà, indebolimento complessivo, sempre maggiore distacco dai livelli competitivi degli altri partners europei.
La scelta di bloccare per mesi contratti e flussi finanziari è stata giustificata dalla necessità di elaborare un nuovo Piano Spaziale Nazionale. Nell’attesa ci si è dovuti fermare per riprendere le attività dopo, “ripartendo da zero”. Nessuno ha ancora capito le vere ragioni di questa procedura sistematicamente dilatoria, continuata anche dopo l’approvazione del Piano e valutata “micidiale” dagli operatori spaziali interessati.
In ogni caso, elaborato sempre in solitudine e disattendendo richieste e suggerimenti avanzati dalla comunità spaziale, il nuovo Piano ha delineato non una linea innovativa e migliorativa bensì gravemente regressiva. L’idea centrale, che i finanziamenti dell’ASI, devono essere limitati ai settori e programmi applicativi di immediata utilità e che gli altri vanno abbandonati, può significare soltanto una drastica riduzione della dimensione e del livello di qualità del sistema spaziale nazionale: l’avvio al declino e ad un depauperamento grave.
La tesi della utilità esclusiva dei programmi applicativi, di cui parla il Piano, sembra coincidere con l’altra tesi della l’utilità esclusiva delle immediate ricadute produttive della ricerca scientifica sostenuta dal Ministro Moratti con la sua controriforma che – nel caso, significa una ricerca “asservita” alle immediate esigenze dell’industria ma finanziata dal denaro pubblico.
Questa scelta è opposta, nonostante superficiali apparenze, a quella che noi da tempo suggeriamo: puntare fortemente – invece – al superamento della drammatica dicotomia fra ricerca fondamentale e ricerca tecnologico–industriale, fra ricerca di base e ricerca finalizzata, che resta forse il nodo cruciale della anomalia italiana: cioè l’assenza di un nesso funzionale fra il massimo sviluppo della ricerca fondamentale – come motore di fondo di ogni avanzamento e innovazione della conoscenza; ed anche come fonte di imprevedibili ricadute applicative da ricerche volte esclusivamente ad obbiettivi di conoscenza pura, (ci sono begli esempi di questo rapporto corretto nel documento dei torinesi che abbiamo distribuito) e la ricerca finalizzata agli obiettivi strategici della società: cioè proprio quello che oggi manca del tutto in Italia.
In questa ottica il Piano cancella le missioni scientifiche e la partecipazione dell’Italia alle attività scientifiche della Stazione Spaziale Internazionale (ISS); e - cosa più grave - non prevede alcun programma di ricerche tecnologiche avanzate salvo il discutibile progetto dei “veicoli di rientro”. Il significato di queste scelte è evidente. Si pretende di fare ricerca applicata senza ricerca di base.
Ma questa linea, se attuata veramente, aprirebbe la strada all’esclusione dell’Italia dal ristretto novero di paesi in grado di competere sui mercati della conoscenza, dei prodotti ad alto valore aggiunto procapite; e porterebbe ad un necessario ripiegamento sui mercati maturi dove la competizione si giuoca sul costo del lavoro orario. Si trascura così nei fatti un dato fondamentale: che l’innovazione nasce solo dall’incontro fra un’attività di ReS svolta a rischio e quindi finanziata da denaro pubblico, ed una domanda successiva dell’utilizzatore pubblico o privato, la quale tuttavia prende forma solo al momento in cui i risultati della ReS appaiono praticabili.
Forse si pensa di “comprare” da altri paesi l’innovazione tecnologica. Ma in questo caso il declino sarebbe conclamato, e sarebbe accettato per il nostro paese il ruolo subalterno di clienti di tecnologia e subfornitori di prodotti spaziali maturi.
Il Piano teorizza uno “sviluppo spaziale guidato dalla domanda”. A parte l’osservazione già fatta sopra, l’obiettivo sarebbe condivisibile se visto come elemento equilibratore e integrativo di un programma spaziale complessivo fondato su obbiettivi strategici internazionalmente condivisi, e su un corrispondente aumento di risorse pubbliche opportunamente programmato nel tempo.
Ma è o inetto o intellettualmente disonesto pensare che basti elencare i settori potenzialmente produttori di una domanda di servizi spaziali più ampia e sistematica, e poi attendere che si muovano i diversi ministeri quali principali titolari delle esigenze della P.A. Ci vuole una scelta politica che promuova il processo. Ci vuole un piano concreto di attuazione che fissi priorità e risorse. Compito certo del governo. Ma compito anche dell’Agenzia Spaziale: di stimolo e di proposta al governo. Di tutto ciò non c’è traccia nel Piano spaziale firmato dal prof. Vetrella e neppure nella politica dell’attuale governo.
Quali sono, del resto, gli almeno iniziali risultati raggiunti su questo versante che pure nella logica del Piano dovrebbe essere centrale? Non risulta si sia mosso qualcosa. Assolutamente nulli, quindi!
Gli effetti della politica dell’ASI sull’industria spaziale italiana sono stati pesantissimi, come dice la elencazione pur assai completa – dei fatti. molto gravi.
Ma in realtà essi sono il risultato della politica del governo, di cui ASI è il braccio operativo, e che è stata la stessa, cioè negativa, anche nelle azioni direttamente compiute dallo stesso governo.
Di queste la più rilevante è lo sviamento imposto alla strategia delle alleanze industriali. La conseguenza è che oggi Alenia Spazio è in una situazione di pericoloso isolamento rispetto ai processi aggregativi andati avanti in Europa. Ma tutta l’industria spaziale si trova in una situazione di relativa debolezza nei rapporti ormai avviati con l’industria europea: a causa della “stretta” della crisi congiunturale che abbiamo visto essere pesante, e di alcune debolezze strutturali a cominciare dal limite dimensionale. Queste ultime, tuttavia – che costituiscono ritardi storici “di partenza” – non hanno impedito all’industria spaziale italiana di raggiungere – nel corso dei lustri passati – uno sviluppo abbastanza organico equilibrato e di qualità; ma che oggi nel delicato passaggio dei nuovi rapporti europei ormai non più eludibili almeno per lo Spazio, potrebbero mettere in crisi proprio questo equilibrio.
Da una parte si profila il rischio che Alenia Spazio s’inserisca in una alleanza con le maggiori aziende europee senza tuttavia vera possibilità di pesare e quindi di poter difendere efficacemente i propri presidi tecnologici. D’altra parte è possibile che l’azienda propulsionista, nelle difficoltà ed incertezze del suo nuovo assetto proprietario, non riesca a realizzare quel “salto di qualità” che le è richiesto dalla necessità di gestire Vega, dato l’alto contenuto sistemico di questo progetto.
Infine il rischio concreto che le aziende minori aerospaziali, toccate anch’esse dai processi di internazionalizzazione, finiscano di non riuscire a fare sistema e diventino subalterne alle più dinamiche imprese europee.
In questo quadro di difficoltà si ripresenta l’esigenza che, accanto ad una forte e responsabile azione di governo assolutamente indispensabile, si ritorni a pensare in termini di politica industriale, cioè di un indirizzo strategico dell’azione di impulso, di sostegno, di verifica dell’attività industriale nel suo complesso, di cui si denuncia da molte parti il rischio di declino.
Tanto più questa esigenza c’è per i settori avanzati come l’aerospazio per i quali è necessaria una politica industriale specifica che in Italia non c’è mai stata.
In ogni caso va detto con forza che il settore spaziale italiano ha tutte le possibilità di uscire dalla crisi e di riprendere lo sviluppo perché ci sono risorse e forze endogene adeguate e perché esistono le condizioni di contesto.
I dati di scenario dei satelliti e quindi dei lanciatori dicono che a livello mondiale il settore spaziale si trova, specie nel segmento commerciale, in serie difficoltà ma non in crisi strutturale.
Uno sviluppo impetuoso è previsto nei servizi satellitari e soprattutto nelle applicazioni spaziali.
Il definitivo avvio del programma Galileo indica che nuove possibilità si aprono per il settore istituzionale civile con analoghe grandi strutture: in particolare per servizi di telecomunicazioni e per servizi di controllo del territorio, come il GMES futuro sistema di monitoraggio globale del territorio.
Infine, pur con tutte le difficoltà e le contraddizioni del caso, l’Europa sembra aver presa la decisione storica di assumere un ruolo forte nello Spazio sia civile che militare – quest’ultimo sin qui retaggio quasi esclusivo degli USA – in termini globali.
Questa scelta è definita nel Libro Verde che rende protagonista l’UE, accanto all’ESA, della politica spaziale europea. Nasce in una parola “l’Europa spaziale” non più solo per iniziativa dei governi ma con l’autorità del Parlamento e della Commissione.
Questo fatto pone alcune questioni.
La prima è che, come già negli USA, anche in Europa lo Spazio diventa strumento centrale della politica estera e di difesa. La seconda è che l’Europa, o almeno il nocciolo franco-tedesco, sembra deciso a procedere su questa strada con “chi ci sta”, per perseguire una politica di difesa progressivamente indipendente rispetto agli Stati Uniti.
Questa evoluzione della politica europea suscita grandi ripercussioni anche sulle prospettive della industria aerospaziale.
Infine l’Italia. Certo oggi il Presidente del Consiglio persegue una linea di politica estera che in superficie si potrebbe chiamare delle “due scarpe”. Se ne potrebbe dedurre che non sappiamo bene né sappiamo ancora dove andrà a parare l’Italia.
Sotto traccia, ma neanche tanto, invece il premier persegue con molta determinazione una deriva che non si può più chiamare “euroscettica” ma francamente “antieuropeista”. Il caso vuole che gli esempi forse più probanti si trovano proprio in alcune recenti vicende aerospaziali che non hanno portato vantaggi alla nostra industria aeronautica, ma piuttosto il contrario: l’uscita dell’Italia dal programma Airbus 400M trasporto aereo o medio raggio, l’adesione al programma del supercaccia americano JSF, l’accordo Finmeccanica– Bae per la Eurosistem. In tutti questi episodi di grandi dimensioni si trova il segno più o meno dissimulato di una scelta politica precisa che l’Italia è stata portata a compiere.
Un cenno particolare merita la vendita di Fiat Avio alle Carlyle, perché riguarda anche il segmento spaziale; ed ha coinvolto uno dei programmi più discussi ma ormai più importanti per l’Italia, il lanciatore Vega.
Certo è assai dubbio che i francesi, nostri soci nella propulsione “europea”, l’abbiano presa bene. Del resto può anche darsi che del Vega importi meno al governo, se il Presidente dell’Asi è andato a Mosca – proprio nei giorni scorsi – per cercare di comprare missili russi che sono concorrenti del Vega, per il quale tuttavia l’Italia paga il 75% del costo complessivo."