L’IMPATTO SUL NOSTRO PIANETA DI OGGETTI DI UNA DECINA DI KM PUO’ AVER SCAGLIATO FRAMMENTI IN GRADO DI RAGGIUNGERE GIOVE E SATURNO
29/3/2006
L’ORIGINE della vita sul nostro pianeta e la sua eventuale esistenza in altre parti dell’Universo è uno dei problemi più affascinanti della biologia e dell’astrofisica. È ormai accettato che la comparsa della vita sulla Terra sia stata spontanea. Esiste però una teoria che con il passare del tempo trova sempre più prove che sembrano supportarla, la «panspermia». Secondo questa teoria, i semi della vita sono diffusi nell’Universo e questi, sotto forma di composti organici semplici o addirittura di forme biologiche primitive, avrebbero arricchito l’ambiente terrestre primordiale per mezzo di vettori come le meteoriti e le comete. Uno dei più strenui sostenitori di questa teoria è stato l’astrofisico inglese Fred Hoyle, che con argomentazioni scientifiche e modelli basati sulle osservazioni ne fornì un quadro coerente, anche se molto dibattuto. A sostegno della panspermia c’è l’evidenza che alcuni batteri possono sopravvivere per tempi lunghissimi in ambienti estremi, in grado quindi di sopportare lunghi viaggi interplanetari o interstellari, utilizzando come «astronavi» piccoli corpi rocciosi o di natura cometaria. È ormai assodato, infatti, che alcuni meccanismi dinamici sono in grado di trasferire oggetti all’interno di un sistema planetario e perfino di espellerli nello spazio interstellare, permettendo così scambi di materia nell’ambito di una galassia. Nelle comete e nelle nebulose si è scoperta una moltitudine di molecole organiche complesse, come il benzene o addirittura la glicina, uno degli aminoacidi più semplici. Gli ingredienti base della vita sembrano quindi essere diffusi nell’Universo, in attesa solo di trovare un ambiente adatto dove svilupparsi.
Finora si era parlato solo di arrivo sul nostro pianeta del materiale necessario allo sviluppo della vita, ma secondo un recente studio le collisioni con asteroidi o comete che hanno coinvolto la Terra nel passato avrebbero scagliato nello spazio frammenti di roccia, nel cui interno potrebbero essere state presenti forme di vita. Queste piccole schegge della crosta terrestre si sarebbero disperse nello spazio interplanetario e alcune di esse trasportate su altri corpi del Sistema Solare. I risultati della ricerca, presentati da Brett Gladman dell’Università della British Columbia (Canada) alla conferenza di Scienze Planetarie che si tiene ogni anno a Houston, mostrano che blocchi di roccia non più grandi di una decina di metri possono essere sfuggiti alla gravità terrestre, dopo essere stati scagliati nello spazio da impatti con corpi cosmici di dimensioni tra 10 e 50 km. Si tratta di conclusioni derivanti da simulazioni al computer, ma ciò che è importante è il fatto che sia stato dimostrato che un fenomeno del genere può verificarsi. L’impatto sulla Terra di un oggetto con dimensioni dell’ordine della decina di chilometri scaglierebbe nello spazio circa 600 milioni di frammenti rocciosi e che alcuni di questi, con velocità superiori ai 10 km/s, possono raggiungere le orbite di Giove e Saturno in un milione di anni. Secondo le simulazioni, sarebbero un centinaio le rocce che avrebbero raggiunto ciascuno dei quattro satelliti galileiani di Giove, abbattendosi sulla loro superficie ad una velocità media di 25 km/s, con punte di 40 km/s. Impatti del genere sulla superficie ghiacciata delle lune gioviane, non protette da una coltre atmosferica, non permetterebbero la sopravvivenza di batteri eventualmente presenti in meteoriti di origine terrestre. Ma la situazione risulta diversa nel caso di Titano, il più grande satellite di Saturno. Questo verrebbe raggiunto da una trentina di blocchi di roccia terrestre che interagirebbero con l’atmosfera del satellite ad una velocità compresa tra 5 e 20 km/s, inferiore a quella di molti meteoroidi che colpiscono il nostro pianeta. A queste velocità l’atmosfera del satellite rallenterebbe la loro corsa, permettendo un atterraggio relativamente morbido e la sopravvivenza di eventuali forme di vita incastonate in questi frammenti terrestri. Un altro discorso riguarda la possibilità di sopravvivenza e di sviluppo della vita in un ambiente estremo come quello della superficie di Titano, dove la chimica è molto diversa da quella del nostro pianeta e dove la temperatura è di -180 °C. Nel corso dei 4,5 miliardi di anni della sua esistenza la Terra è stata coinvolta decine di volte in impatti cosmici, che hanno scagliato nello spazio una grande quantità di frammenti rocciosi. Niente vieta che alcuni di questi possano aver raggiunto altri sistemi planetari della Galassia.
da La Stampa Web