Il Raketoplan R2

Agli inizi degli anni 60 del secolo scorso l’ufficio tecnico russo OKB-52 (oggi NPO Mashinostroyeniya) patrocinato dal grande progettista Vladimir Nikolayevich Chelomei (ideatore tra le varie cose del vettore UR-500 Proton, delle varie Salyut/Almaz nonché della Mir e dei suoi moduli di espansione, fino agli attuali Zvezda e Zarya per la ISS), era impegnato in maniera molto decisa nel volo spaziale umano.

In particolare aveva lanciato una linea di veicoli spaziali pilotati chiamati “Raketoplan” (ovvero aerorazzi), in varie declinazioni fino a modelli di sviluppo veri e propri quali lo R1 (unmanned) e R2 (pilotato).

In particolare lo R2, in fase di sviluppo avanzato dal 1961 al 1965, era uno spazioplano monoposto di forma biconica con sezioni alari mobili alle estremità e dotato dell’apparato propulsivo del secondo stadio del vettore UR-200.

Lo R2 poteva essere inteso come competitore diretto dell’allora Boeing X-20 DynaSoar il quale sembrava prossimo e per il quale erano previste varie missioni anche in ambito militare, il che preoccupava non poco il Politbjiuro (proprio come avverrà una dieci anni dopo con il programma Shuttle).

Il progetto R2, del quale oggi rimangono solo dei modelli in scala, aveva raggiunto una notevole maturità progettuale, tanto da raggiungere il livello di simulacro di alcuni dei suoi componenti principali. Con una massa al lancio di 6.500 kg lo R2 (lanciato sia da un R7 Soyuz oppure da uno UR-500 Proton) poteva raggiungere un’orbita ellittica di 160x290 km e, grazie alla sua particolare forma, contenere il carico al rientro per il cosmonauta tra i 3,5 ed i 4g.

Il progetto aveva raggiunto un punto tale da avere già dei simulacri del sedile di volo del cockpit:

Mentre la Zvezda aveva addirittura già sviluppato la tuta pressurizzata di volo, denominata SK-3, tipologicamente simile alla Navy Mk IV utilizzata nel corso del programma Mercury:

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Il programma, nonostante gli sforzi compiuti, giunse ad una fine improvvisa ed inaspettata nel 1965 (quando oramai il DynaSoar era già stato cancellato) nel momento in cui il premier Nikita Khrushchev fu esautorato ed il cui figlio Sergej era il braccio destro di Chelomei nello OKB-52 (ironia della sorte Sergej poi emigrò negli USA e divenne cittadino americano, dove è poi deceduto nel 2020).

La stessa sorte toccò al programma lunare di Chelomei, nelle sue due declinazioni dello LK-1 ed LK-700, mentre (per fortuna) furono salvati il Proton e le stazioni Almaz.

Il “posto” dello R2 fu preso da un altro progetto famoso ed altrettanto irrealizzato ovvero lo Spiral 50/50, il quale dopo un ventennio di sviluppi lasciò “solo” (si fa per dire) in eredità il Mig-105/11, il Bor-4 e per uno strano giro del destino il Langley HL-20 ed addirittura lo attuale SNC DreamChaser.

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Ho aggiornato il mio disegno del Raketoplan perché mi sono accorto che avevo inserito un file vecchio (versione precedente e non corretta), mea culpa!
Come direbbe il mio amico “nonno Apollo” è l’età che avanza…

Per cui adesso quello che vedete è il disegno corretto.
Inoltre vi posto anche una fotografia presa dal museo di NPO Mashinostroyeniya che raffigura i modelli in scala, da sinistra a destra, di LK-1, Raketoplan R2 e Raketoplan R1.

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E la mente vola immediatamente ai Viper di Batllestar Galactica …

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Non ci avevo pensato…

Era l’equivalente dell’X-20 Dyna Soar?
E’ incredibile constatare come certi meccanismi mentali dei Sovietici si ripeteranno sempre uguali ,per esempio con l’Almaz (in risposta al MOL) e con il Buran (in risposta allo Shuttle).

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Si, in particolare lo R2 si può ritenere la controparte sovietica dello X-20 (anche se le due famiglie Kosmoplan/Raketoplan hanno radici antiche ed in qualche misura preesistenti al Dyna Soar e si possono rintracciare negli interessi particolari di Chelomei).

La cosa divertente (si fa per dire) è che la storiografia tende a considerare come “rivale” dello X-20 il programma Spiral 50/50 scordandosi bellamente di due fatti:

  1. Che lo R2 era coevo allo X-20 e dunque in concorrenza diretta (1961-65)
  2. Che il programma Spiral inizia giusto giusto al termine (forzato) dello R2, dunque non poteva assolutamente essere il concorrente diretto dello X-20 il quale era stato cancellato da McNamara nel 1963 a favore del MOL (a sua volta cancellato nel 1969).

Il programma Almaz OPS fu “salvato” in extremis dalla falce di Brezhnev (seguita al colpo di stato contro Khruschev) proprio perché era il concorrente diretto del MOL. Con il risultato che alla cancellazione del MOL i russi hanno tranquillamente continuato a portare avanti le stazioni Almaz nel corso degli anni 70 (del resto accadde lo stesso quando gli americani cancellarono il B-70 Valkyrie ed i russi continuarono lo sviluppo del suo intercettore, ovvero il MiG-25 “Foxbat” padre dell’attuale MiG-31 “Foxhound”).

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Vale la pena di ricordare che, in parallelo al programma Dyna Soar, i russi avevano diverse “famiglie” di spazioplani in fase di sviluppo. Dai già citati Kosmoplan/Raketoplan dello OKB-52 di Chelomei, ai VKA dello OKB-23 di Myasishchev fino ai PKA dello OKB-256 di Tsybin ai quali si deve aggiungere il Tu-136 proposto dallo OKB-156 di Tupolev.

Tutta questa attività e questo fermento “filtrava” in qualche modo anche in Occidente tanto che, e non deve sorprendere, quando Gagarin fu lanciato con la Vostok molti analisti occidentali erano fermamente convinti che avesse volato a bordo di uno spazioplano (complice la rigida censura russa sulla reale configurazione della Vostok 3KA).

Giusto per amore di completezza ecco qui un confronto “all’americana” tra X-20 ed R2, come si vede sono due velivoli dimensionalmente simili (lo R2 aveva una lunghezza di circa 12 metri ed un’apertura alare di circa 8 metri).

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Mi incuriosisce la scelta diversa del colore nel rivestimento esterno.
Posto che i materiali erano diversi,qual’era la più efficente, termicamente parlando?

Bella domanda…

La colorazione esibita dal modello in scala (1:11) e dai vari dipinti realizzati all’epoca mostra la classica livrea bianco/azzurra tipica di tutti i mock-up realizzati in casa Chelomei (LK-1, LK-700, TKS e Almaz fino allo LKS).

Quanto questa colorazione sia davvero rappresentativa dei materiali impiegati in un ipotetico ciclo operativo è cosa tutta da dimostrare.

Possiamo ipotizzare che lo R2 avesse uno scudo termico “ripristinabile” (ovvero una schiuma epossidica che veniva rivitalizzata dopo ogni missione, un po’ come quella utilizzata dallo X-15A2 per battere il record di velocità) che era poi parte integrante del veicolo di rientro conico (Merkur) comune ai programmi LK-1/700 e TKS, la quale appariva sempre come bianca.

Giusto per dare un’idea a cosa mi riferivo nel precedente post, qui abbiamo una fotografia a colori del primissimo mock-up del sistema TKS (11F72) e della stazione Almaz (11F71) APOS.
La foto risale alla metà degli anni 60 ed entrambi i modelli hanno attinto a piene mani le capsule dei rientro (VA) dai simulacri dei rispettivi LK-1 e LK-700.

Naturalmente la TKS-VA realmente realizzata deriva da quelle lunari ma con una serie di modifiche.

Come si può osservare la colorazione è quella tipica bianca/azzurra dell’OKB-52 anche se poi sappiamo che, una volta realizzate davvero, TKS e Almaz hanno avuto il classico rivestimento termico in tessuto verdino (tipico anche delle Soyuz).

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Certo,nel caso del R2 il rivestimento verdino era fuori questione.

E… perché il rivestimento era proprio verdino? Quale scelte hanno portato ad avere quel colore?

Onestamente non lo so, credo abbia a che fare con le caratteristiche della “coperta termica” piuttosto che il frutto di una scelta deliberata (del tipo “adottiamo un colore verde militare”).

Posso solo dire che, statisticamente, il colore verde (prima grigio scuro dopo) si associa con le strutture pressurizzate. Mentre il colore bianco si associa con le strutture non pressurizzate.

Per fare un esempio pratico, il modulo lunare LK aveva la parte pressurizzata (grosso modo grande come il modulo orbitale della Soyuz) rivestita di tessuto verde, mentre il sottostante modulo Ye (contenente i motori, serbatoi, ecc) era rivestito di tessuto bianco.

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Non c’entra nulla,ma ricordo di aver letto che le tute di volo in fibra ignifuga adottate per Skylab ed Apollo-Soyuz avevano come caratteristica peculiare il particolare colore tabacco…nel senso che quello era il suo colore naturale (probabilmente a causa del trattamento ignifugo).
Tanto è vero che quando lo stesso tessuto fu scelto come overgarnment per le tute pressurizzate delle prime quattro missioni STS,queste passarono dal classico color giallo-arancio (old gold) delle tute SR71 all’iconico color tabacco delle missioni di collaudo dello Shuttle.

Ora,è possibile,che come per il tessuto sopra ricordato,anche quello Sovietico/Russo esca di fabbrica con un color verde naturale dato da trattamenti chimici in fase di produzione.
Insomma,non penso che lo tingano per motivi estetici,ma che quello sia propio il suo colore.

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Grazie delle risposte! Anche io credo possa essere il suo colore “naturale”, ma evidentemente le prestazioni termiche delle coperte così prodotte sono accettabili anche senza una ricolorazione, che invece pensavo fosse un fattore importante per contribuire a regolare lo scambio termico…