aL sonda, che vola a un’altezza di 320 km dalla superficie, può scattare immagini di particolari grandi come un tavolino da bar
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK – E se, alla fine, “là sopra” ci fossero davvero i marziani? La domanda, nel salone di astrofisica dell’American Museum of Natural History, dove un grande schermo al plasma permette di seguire in diretta dal Jet Propulsion Laboratory di Pasadena in California la missione della sonda di ricognizione marziana MRO (Mars Reconnaissance Orbiter, sembra quella tipica dell’appassionato che ha letto troppi libri di fantascienza. Ma Rob Lock, capo programmatore della missione, invece di riderci sopra o infastidirsi la prende abbastanza sul serio: o quanto meno è possibilista. “Per una qualche ragione”, dice, “finora abbiamo notato che le missioni su Marte sono più difficili di quelle dirette verso altre parti del sistema solare e riescono, in media, solo una volta su tre”. Nonostante le difficoltà precedenti, comunque, la sonda americana è arrivata a destinazione perfettamente, e dopo un volo di 490.000 chilometri incominciato nello scorso mese di agosto da Cape Canaveral, in Florida, ha incominciato a ruotare come previsto intorno al Pianeta Rosso, a 320 chilometri di distanza dalla superficie di Marte passando sopra i due poli e completando il circuito intorno al pianeta in circa 112 minuti.
Grazie a Orbiter, che dispone di una sofisticatissima videocamera costruita dalla Ball Corporation in collaborazione con l’università dell’Arizona (costo, circa 25 milioni di euro), nonostante l’altezza sarà possibile fotografare a distanza tutto quello che si trova sulla superficie marziana anche nei minimi particolari, fino alle dimensioni di oggetti delle dimensioni di un tavolino da caffè e dunque con una risoluzione sei volte migliore di quella ottenuta finora. Ma gli scienziati non si aspettano sicuramente di trovare i marziani: solo pezzi di rocce che però, analizzati, permetteranno forse di scoprire se su Marte, in tempi remoti, si trovavano tracce di acqua e quindi di vita. A questa indagine provvederà uno spettrometro del costo di 16 milioni di euro, perfezionato dal laboratorio di fisica applicata dell’università Johns Hopkins. Entrerà a regime, così, l’ultimo venuto fra i veicoli di sonde che dal gennaio 2004 hanno incominciato a esplorare in maniera sistematica Marte: fra questi i due “rover”, veicoli muniti di ruote, pale meccaniche e trivelle per prelevare campioni di minerali.
Un’altra indagine affidata a tutta questa strumentazione si prefigge lo scopo di verificare se è esatta la prima rilevazione fotografica che ha messo in evidenza, nei pressi del polo nord e in aree alquanto più estese di quello meridionale, di tracce di acqua. Anche questa potrebbe essere una conferma del fatto che, una volta, su Marte esistevano forme di vita. Per quanto, avvertono gli scienziati, con le temperatura glaciali che si sono susseguite negli ultimi quattro miliardi di anni, è altamente improbabile che qualsiasi tipo di vita in simili condizioni sia sopravvissuto su Marte per un così lungo periodo. L’esplorazione satellitare di Orbiter continuerà per due anni fino al novembre del 2008, con aggiustamenti orbitali al ritmo di uno ogni sei mesi. Intanto la NASA sta già programmando altre due importanti missioni, l’invio del veicolo terrestre Phoenix che dovrebbe partire per Marte nel prossimo mese di agosto e il Mars Science Laboratory, il laboratorio spaziale marziano che sarà lanciato verso il pianeta nel 2009. Ma perché si possa parlare realisticamente della prospettiva di inviare su Marte degli astronauti, a meno di progressi spettacolari nelle ricerche, sarà necessario aspettare ancora qualche decennio.
tratto da Corriere della Sera