ISS e passeggiate spaziali: la NASA cerca di ottimizzare i tempi

È stato interrotto in anticipo l’esperimento condotto martedì scorso da Bill McArthur e da Jefferey Williams per verificare una nuova procedura di preparazione alle passeggiate spaziali studiata dalla Nasa per ridurre i rischi di embolia connessi alla depressurizzazione cui si sottopongono gli astronauti prima delle attività extraveicolari (EVA).

La procedura prevedeva che i due, rispettivamente comandante dell’Expedition 12 e ingegnere di bordo dell’Expedition 13, passassero il loro periodo di sonno nel modulo boccaporto Quest, facendo scendere molto più lentamente del solito la pressione da quella di 760 mmHg (millimetri di mercurio, pari a 14,7 psi, pounds per square inch) della stazione spaziale a quella compresa tra i circa 530 mmHg (10,2 psi) e i 430 mmhg (8,3 psi) delle tute spaziali e riducendo il tempo di pre-respirazione di ossigeno puro. L’esperimento è stato interrotto da due allarmi, che segnalavano anomalie nella quantità di anidride carbonica, probabilmente attivati da un problema di software.
Quello di McArthur e Williams è l’ultimo di una serie di studi che la NASA sta conducendo per ottimizzare i tempi di preparazione alle passeggiate spaziali, un aspetto per il quale i russi hanno invece un approccio conservativo, basato su procedure e sistemi consolidati nel tempo.
Abbiamo parlato dei problemi connessi alla depressurizzazione prima delle EVA con Angelo Landolfi, ufficiale medico del Corpo Sanitario Aeronautico specializzato in medicina subacquea e iperbarica e uno dei tre italiani ad aver ottenuto la qualifica di “space flight surgeon” nel centro di addestramento russo per cosmonauti di Star City (vedi foto): «Le tute spaziali - spiega - sono equipaggiate di un complesso sistema di life-support in grado di garantire un’appropriata pressurizzazione, gas per la respirazione, un’adeguata termoregolazione, nonché una protezione sia contro elevate temperature sia contro radiazioni solari. Nelle tute si respira ossigeno puro e l’anidride carbonica viene tenuta sotto controllo con appositi filtri a base di idrossido di litio. Poiché la mobilità e la flessibilità sono determinate dal rapporto fra pressione interna della spacesuite e il vuoto esterno, minore sarà il gradiente (che dipende dal grado di pressurizzazione della tuta) maggiore sarà la facilità di movimento per il cosmonauta che la indossa. È quindi necessario trovare un giusto equilibrio tra mobilità e pressurizzazione». Ecco perché nelle tute si tende a tenere la pressione bassa, e comunque a livelli inferiori: 200 mmHg -millimetri di mercurio- per le EMU (extravehicular mobility unit) statunitensi e 300 per le Orlan russe) a quelli della stazione spaziale (760 mmHg), il che spiega a sua volta perché uno dei rischi in cui si può incorrere durante le EVA è la malattia da decompressione.
Una delle strategie per prevenire tale rischio consiste nel far effettuare all’astronauta una pre-respirazione di ossigeno al 100% «per allontanare - spiega ancora Landolfi - una quota parte di azoto dai tessuti prima della depressurizzazione nella spacesuite, ed è questo il sistema adottato con protocolli differenti ed in fase di perfezionamento. Il processo di deazotazione infatti è molto efficace nell’eliminazione del gas inerte, l’azoto, dall’organismo umano, per evitare che questo formi microbolle nei tessuti portando alla sintomatologia della malattia da decompressione, fino al caso più estremo del danno neurologico localizzato a livello del midollo spinale».
Da ricordare comunque che, ad oggi, non è stato segnalato nessun caso di malattie da decompressione durante una attività extraveicolare.

Qualche curiosità
La tuta Orlan russa è praticamente uno scafandro semi-rigido con il casco integrato nel busto e con le sole estremità libere di muoversi. Pesa fino a 70 chili e presenta l’indiscutibile vantaggio, rispetto all’EMU americano, di permettere una vestizione rapida e soprattutto autonoma da parte dell’operatore. È pressurizzata con ossigeno al 100% e la pressione è mantenuta costante intorno a valori di 300 mmHg. L’erogazione dell’ossigeno in caso di una perdita dovuta ad esempio ad un foro prodotto da un micrometeorite, può aumentare dai 3 litri/min fino ad un massimo di 30 litri/min, per dare al cosmonauta qualche minuto per tornare all’interno della stazione spaziale. D’altro canto, l’EMU sono state progettate per essere flessibili e con numerose parti intercambiabili, in modo da poter essere utilizzate da astronauti di taglia e sesso differenti.

Tratto da: Dedalonews