"La rivoluzione dimenticata" ovvero il progresso non è scontato.

Vorrei approfittare di questo spazio per consigliarvi un libro interessantissimo." la rivoluzione dimenticata",del Professor Lucio Russo,Saggi universale economica Feltrinelli,terza edizione,15 euro.L’uomo ha conquistato lo spazio,è andato sulla luna,ha costruito meraviglie tecnologiche come questa rete telematica attraverso cui parliamo.Dunque domani saremo più progrediti di ieri? il futuro che ci aspetta è il meraviglioso mondo di Star Trek? attenzione,non è affatto scontato.La scienza e la tecnologia sono conquiste molto più fragili di quanto non crediamo.Già una volta nel lontano passato una civiltà avanzatatissima è stata azzerata,ed i suoi enormi risultati in campo scientifico e tecnologico distrutti,dimenticati,non più compresi. Non mi riferisco a fantomatiche “Atlantidi”,ma alla civiltà Ellenistica che fiorì nel bacino del mediterraneo ed in medio oriente a seguito delle conquiste di Alessandro Magno.Di cosa parla “La rivoluzione dimenticata”? parla dell’età dell’oro della scienza e della tecnologia greca nel III secolo A.C. Parla di geni come Archimede di Siracusa,Erofilo di Calcedonia,Ctesibio,Ipparco,Diocle,Seleuco di Babilonia,e tanti tanti altri.Parla di macchine a vapore,di calcolatori meccanici,di mulini ad acqua,di navi immense,come la Syrakosia alla cui costruzione contribuì anche Archimede,ricoperte di lastre di piombo per proteggerle dalla muffa dei molluschi (una tecnologia riscoperta soltanto dagli ingegneri di Napoleone),di Fari alti come grattacieli,di pompe idrauliche e filettatrici meccaniche,di misure matematiche del meridiano terrestre,di automi.Ma sopratutto parla di due rivoluzionari concetti Ellenistici,non ancora elaborati in epoca classica e del tutto dimenticati,se non disprezzati in età Romana:Un moderno “metodo” scientifico,e le applicazioni della scienza e della tecnologia alla vita pratica di tutti i giorni ed al mondo della produzione.Tutto questò finì tra la II guerra punica e la fine della III,con la conquista ed il saccheggio di città greche come Siracusa (durante il quale perse la vita Archimede),la distruzione dei centri di ricerca,la deportazione di scienziati ed intellettuali,la dispersione di macchinari e biblioteche,l’alleanza perniciosa tra i nuovi ed ancora rozzi conquistatori ed alcuni ristretti ceti reazionari delle città greche conquistate,la riduzione in schiavitù di intere popolazioni ,che introdusse lo “schiavismo di massa” (in età Ellenistica il numero degli schiavi era molto ridotto,essi erano impiegati sopratutto in lavori domestici ed in molti casi veniva loro corrisposto uno stipendio.Nell’Egitto ellenistico del III secolo l’impiego di schiavi in attività produttive veniva scoraggiato per legge).Oggi non potrebbe più accadere? Non corriamo più il rischio di perdere importanti risultati scientifici?Intanto il Saturno V che portò l’uomo sulla luna non potrebbe più essere ricostruito,non solo perchè parte della documentazione ed i macchinari con cui veniva fabbricato non esistono più (grazie,Senatore Proxmire),ma ancheperchè l’esperienza di chi materialmente lo costruiva è andata dispersa.Quanti altri casi del genere ci sono?

Inserisco la prefazione al volume di Marcello Cini. Prefazione a La rivoluzione dimenticata
di Marcello Cini

(Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Prefazione di Marcello Cini, Feltrinelli 1996,seconda edizione ampliata ed aggiornata 2001,terza edizione riveduta,ampliata ed aggiornata 2003, pp. 7-13)

Io credo che questo libro di Lucio Russo sia paragonabile al tempo stesso a una sensazionale scoperta archeologica e a una importante teoria scientifica. Della prima condivide la sistematica opera di recupero, condotta con certosina pazienza, di una infinità di indizi, di testimonianze e di relitti che permettono di ricostruire le prove dell’esistenza di una civiltà sepolta, fornendone una rappresentazione animata e vivace. Della seconda condivide la lucida costruzione di una rete di ipotesi collegate fra loro da nessi logicamente ineccepibili che porta a conclusioni nuove e impreviste, contestabili soltanto sulla base di controdeduzioni altrettanto rigorose o di nuovi dati che alle premesse di partenza contrappongano altre premesse considerate più plausibili. Non è uno strano ibrido. E al contrario il risultato della duplice personalità del suo autore, che è al tempo stesso un matematico di grande valore e un profondo conoscitore della lingua e dei classici greci, oltre che della vastissima letteratura secondaria antica e moderna che di essi si occupa. E’ proprio questa originalissima miscela di competenze e di mentalità che ha permesso all’autore di vedere, nell’insieme di dati raccolti e di frammenti sparsi, un quadro d’insieme completamente diverso da quello tradizionale, secondo un riordinamento della Gestalt visiva, tipico, secondo la felice metafora proposta da Thomas Kuhn, di un mutamento di paradigma.

Le sue conclusioni non mancheranno di suscitare animate polemiche. Esse infatti contraddicono radicalmente la ricostruzione e la valutazione del periodo ellenistico condivise dalla grande maggioranza degli storici della civiltà greca, presentandone un’immagine che sovverte lo stereotipo trasmesso di generazione in generazione dalle istituzioni scolastiche alla cultura diffusa, per la quale l’ellenismo continua in genere ad apparire un “periodo di decadenza”, la cui eredità culturale è per noi assai meno essenziale di quella del periodo classico.

Lucio Russo dimostra, e scusate se è poco, che la nascita della “scienza moderna” va retrodatata di duemila anni, fino alla fine del IV secolo a.C., e che i due soli “scienziati” dell’antichità noti al vasto pubblico, Euclide e Archimede - il primo come esempio particolare delle capacità di astrazione di un pensiero greco dedito tuttavia soprattutto alla speculazione filosofica, e il secondo, oltre che per aver gridato Eureka! correndo nudo fuori dal bagno, come stravagante inventore di specchi ustori e di leve per sollevare il mondo - non furono isolati e incerti precursori di una forma di pensiero che soltanto nel XVII secolo d.C. sarebbe rigogliosamente fiorito. Furono al contrario due esponenti di spicco di una vasta schiera di raffinati e avanzatissimi scienziati - da Erofilo, fondatore della medicina scientifica, a Eratostene, il primo matematico che riuscì a fornire una misura straordinariamente precisa della lunghezza del meridiano terrestre, da Aristarco di Samo, ideatore dell’astronomia eliocentrica, a Ipparco, anticipatore della dinamica moderna e della teoria della gravitazione, da Ctesibio, abilissimo costruttore di strumenti meccanici e idraulici, al naturalista e filosofo Crisippo - dei quali al di fuori del nome si è persa quasi ogni traccia, protagonisti di una “rivoluzione scientifica” giunta a livelli di elaborazione teorica e di pratica sperimentale tali da far apparire a loro volta Galileo e Newton come apprendisti un po’ confusi, anche se geniali, alle prime armi.

Affermazioni di questa portata sollevano subito interrogativi di vario genere. In primo luogo viene spontaneo domandarsi: perché, se il livello scientifico e tecnologico raggiunto dalla civiltà ellenistica è veramente stato quello descritto dal nostro autore, i Romani, con il loro senso pratico, non ne hanno ereditato, sviluppandole, le conquiste teoriche e pratiche nei secoli successivi? E ancora: come è possibile che tutti gli innumerevoli studiosi impegnati, a partire dal Rinascimento ma soprattutto negli ultimi due secoli, nel riportare alla luce ogni possibile traccia della cultura greco-romana, abbiano ignorato le testimonianze di questo straordinario fenomeno culturale e sociale, che avrebbe interessato l’intera area mediterranea per più di due secoli, riducendone la rilevanza alle dimensioni dell’occasionale comparsa di qualche artigiano ingegnoso o di qualche matematico geniale ma incapace di utilizzare le sue doti di astrazione per la conoscenza del mondo reale? E infine: come è accaduto che la scienza moderna abbia potuto ripercorrere a tentoni le stesse tappe del processo di sviluppo di una cultura nata in un contesto diverso duemila anni prima?

Alla prima domanda il libro risponde con più argomentazioni. Anzitutto sottolineando che la distruzione da parte dei Romani degli stati ellenistici, iniziata con la conquista di Siracusa e l’uccisione di Archimede nel 212 e conclusa con la distruzione di Corinto nel 146 a.C., ha portato anche a due secoli di oscurantismo e di ignoranza. Non bisogna confondere, ci mette in guardia il nostro autore, i Romani del III e II secolo a.C. con la civiltà di Virgilio e Orazio. La raffinata cultura di alcuni intellettuali romani fu resa possibile proprio dal contatto continuo con la civiltà ellenistica attraverso i Greci deportati come schiavi e i libri e le opere d’arte depredate. Occorsero però per questo diverse generazioni. Ma non basta. Anche quando, con l’innalzamento del livello culturale del “fero vincitore”, gli scrittori romani di epoca imperiale come Plinio e Seneca arrivano a interessarsi alla lettura delle opere scientifiche ellenistiche, non riescono più a seguire la logica delle argomentazioni e si limitano a suscitare la meraviglia del lettore per le loro conclusioni inaspettate eliminando i nessi logici e sostituendoli con connessioni assolutamente arbitrarie.

Per capire a che livello di incomprensione avveniva la lettura di quegli antichi testi, basta citare un passo di Plinio, che dedica molte pagine a una descrizione della vita delle api. Il confronto con la spiegazione della forma esagonale delle cellette fornita successivamente da Pappo che interpretando correttamente quei testi riferisce che le api risolvono un problema di ottimizzazione, in quanto tra i poligoni regolari con i quali si può pavimentare un piano, l’esagono è quello con il massimo rapporto area/perimetro, e pertanto è quello che permette di usare la minima quantità di cera a parità di contenuto di miele - mostra come Plinio sostituisse le complesse argomentazioni scientifiche originali con la spiegazione certamente più semplice, ma oltremodo fantasiosa che suona: “Ogni cella è esagonale, perché ognuna delle sei zampe dell’ape ha fatto un lato”.

Una seconda ragione, strutturale, del disinteresse dei Romani per le conoscenze scientifiche e le realizzazioni tecnologiche della civiltà ellenistica, e della loro incapacità di comprenderle, sta nella profonda diversità delle rispettive basi economico-produttive. Con la conquista romana cessò, infatti, il rapporto fra scienza e politica, fallì cioè l’idea dei primi sovrani ellenistici di usare la scienza come strumento di potere; a questo scopo si rivelarono ben più efficienti l’organizzazione militare e il diritto.

Il confronto fra Alessandria all’apice del suo fulgore e la Roma imperiale è estremamente significativo. Alessandria, fondata nel 331 a.C., divenne rapidamente la maggiore e più ricca città del mondo conosciuto, e tale rimase anche durante i primi secoli della dominazione romana. La costruzione nel 280 a.C. del Faro, un’opera di alta tecnologia che richiese la costruzione di specchi parabolici capaci di renderne la luce visibile a una cinquantina di chilometri, documenta l’intensità dei traffici marittimi dei quali la città era il centro. Per di più, esistono indizi molteplici che questa ricchezza fosse soprattutto dovuta alla vendita in altri paesi dei prodotti delle sue industrie, che esportavano ovunque farmaci, unguenti, profumi, coloranti, tessuti, oggetti di vetro e metallo, carta di papiro, tutte merci di contenuto tecnologico elevato.

Inoltre, nell’Egitto tolemaico non erano impiegate grandi masse di schiavi: la schiavitù era essenzialmente limitata all’ambito domestico. La tesi corrente secondo la quale la presenza della schiavitù “nell’Antichità” toglieva ogni interesse al progresso tecnologico è dunque smentita da questi fatti per quanto riguarda la società ellenistica. Vale, al contrario, per Roma, che era una città parassita, come risulta sia da un esame dell’interscambio commerciale (giungono nel porto di Ostia navi colme di prodotti da tutto l’impero, ma non riparte praticamente nulla), che dall’altissimo livello della disoccupazione durante tutto il periodo imperiale. Uno degli aneddoti più citati a questo proposito riguarda l’imperatore Vespasiano, che rifiutò l’installazione di un paranco idraulico dicendo di non voler togliere lavoro al popolino romano. Sembra dunque corretto affermare che allo stretto rapporto fra scienza, tecnologia ed economia che caratterizza la civiltà alessandrina, corrisponde l’accompagnarsi dell’estraneità di Roma per la cultura scientifica con la natura parassitaria della sua economia.

Queste considerazioni rispondono in parte anche alla seconda domanda. A causa del disinteresse dei conquistatori per la cultura scientifica e tecnologica della società alessandrina la maggior parte dei testi originali dei suoi scienziati andò perduta. Molte delle loro teorie e dei risultati delle loro ricerche furono ripresi, riprodotti e riassunti da autori dell’epoca imperiale, molti dei quali non avevano più la possibilità di comprendere fino in fondo gli algoritmi, i ragionamenti e i calcoli che erano stati impiegati, né di ripetere gli esperimenti sui quali quei risultati si fondavano o ne erano convalidati. Così, ad esempio, nel II secolo d.C., il più celebre astronomo dell’antichità, Tolomeo, utilizza, dopo qualche secolo di completa cessazione di ogni attività scientifica, i dati osservativi dei suoi predecessori Aristarco e Ipparco, senza più essere in grado di ricalcolare i valori dei parametri da essi utilizzati, che nel frattempo, con il trascorrere del tempo, erano cambiati. In modo analogo si può affermare che la tecnologia descritta da Erone di Alessandria, vissuto nel primo secolo d.C., che comprende una quantità di dispositivi come viti, cremagliere, ingranaggi moltiplicatori, catene di trasmissione, eliche, stantuffi e vari tipi di valvole, e utilizza fonti di energia come quella idraulica, eolica e il vapore, è molto probabilmente una compilazione tratta da opere ellenistiche precedenti di almeno due o tre secoli.

Insomma, si può dire che la maggior parte delle testimonianze sulle opere scomparse, redatte molti secoli dopo, risultano gravemente inadeguate, perché incomplete, approssimative e spesso male interpretate. La selezione dei posteri ha successivamente privilegiato le compilazioni o comunque le opere scritte in un linguaggio ancora comprensibile nella tarda Antichità e nel Medio Evo, quando la civiltà era regredita al livello prescientifico. Questo fatto ha contribuito non poco alla “rimozione” dell’ellenismo da parte della cultura moderna. E’ accaduto infatti che gli studiosi dell’Antichità, appartenenti nella stragrande maggioranza all’area della cultura umanistica e dunque privi degli strumenti concettuali per analizzare criticamente i testi rimasti, hanno attribuito ai protagonisti della rivoluzione scientifica della civiltà ellenistica il livello relativamente basso degli scritti dei loro epigoni e divulgatori, riducendo la statura intellettuale dei primi rispetto alle altezze raggiunte dal pensiero speculativo del periodo classico. La tradizionale separazione fra le “due culture” ha completato il giudizio corrente che vede il periodo ellenistico come un periodo di “decadenza” rispetto all’apogeo raggiunto dalla filosofia nei due secoli precedenti.
Alla terza domanda Russo risponde semplicemente che la nascita della scienza moderna non è stata né indipendente né casuale. Anzi, i “moderni” non fecero altro, all’inizio, che gradatamente riappropriarsi di conoscenze via via riportate alla luce dal ritrovamento di manoscritti greci, arabi e bizantini importati in Italia dal crescente flusso di traffici commerciali e culturali. “Gli intellettuali rinascimentali,” scrive Russo, “non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche, ma come bambini intelligenti e curiosi che entrano per la prima volta in una biblioteca, erano attratti dai singoli risultati e in particolare da quelli illustrati nei manoscritti con disegni; ad esempio, in ordine casuale: le dissezioni anatomiche, la prospettiva, gli ingranaggi, le macchine pneumatiche, la fusione di grosse opere in bronzo, le macchine belliche, l’idraulica, gli automi, la ritrattistica ‘psicologica’, la costruzione di strumenti musicali.”

Il più famoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste “novità” è Leonardo da Vinci, che riuscì a mettere in pratica, utilizzando le sue straordinarie doti di pittore e di osservatore, alcune delle idee contenute negli antichi testi: dallo studio dell’anatomia con la dissezione dei cadaveri a quello delle opere idrauliche. Tuttavia i disegni di Leonardo raffigurano in genere oggetti irrealizzabili ai suoi tempi perché mancava la tecnologia corrispondente. Ma non di una eccezionale capacità di anticipazione si tratta, ma semplicemente del fatto che all’origine di quei disegni vi erano altri disegni, risalenti a un’epoca in cui la tecnologia era stata ben più avanzata.

Lo stesso Copernico aveva ben chiaro che la sua teoria eliocentrica era una ripresa dell’ipotesi di Aristarco. Ma egli fece di più: riprese anche la teoria policentrica della gravità (capace di spiegare la forma sferica di Terra, Sole, Luna) riferita da Plutarco, superando quella aristotelica. La “rivoluzione copernicana” fu dunque più una battaglia culturale, condotta con l’aiuto delle conoscenze più avanzate dell’Antichità contro la cosmologia che la cultura medievale aveva elaborato sulla base del sistema tolemaico, che non una “scoperta” scientifica autonoma e originale.

La tesi di Russo va però assai più in là. Anche la rivoluzione scientifica del XVII secolo sarebbe stata essenzialmente la riscoperta di quella di duemila anni prima. Per dimostrare il suo assunto egli analizza l’opera dei suoi due protagonisti principali, Galileo e Newton, rintracciandovi numerosi legami con quella degli antichi scienziati. “Poiché Galileo (…) viene presentato spesso come il fondatore di un metodo nuovo, quasi senza precedenti storici,” egli scrive, “va sottolineato che in Galileo l’obiettivo di recuperare la scienza ellenistica è del tutto chiaro ed esplicito.” Un obiettivo che riprende dai suoi lontani maestri sia l’idea del metodo sperimentale che quella del metodo dimostrativo. “Manca però ancora in lui,” egli aggiunge, “la capacità di usare i più raffinati strumenti matematici ellenistici. Egli infatti, mentre è in grado di usare il metodo dimostrativo euclideo e l’algebra geometrica, non riesce ancora a comprendere del tutto (come del resto non riuscirà nessun altro dopo di lui ancora per più di due secoli) il cosiddetto ‘metodo di esaustione’ e la teoria delle proporzioni.”

Ancora più approfondita è l’analisi critica dell’opera di Newton. Quest’analisi mette in evidenza la contraddizione fra la “debolezza metodologica” dei fondamenti della teoria della gravitazione e l’effettiva evoluzione della dinamica newtoniana verso una teoria coerente al suo interno , utilizzabile subito come modello di moti reali, in particolare di quello dei pianeti. Secondo Russo, infatti, quei fondamenti sono soltanto un eclettico tentativo di utilizzare un ordine espositivo assiomatico-deduttivo non come base di una “teoria scientifica” nel senso di Euclide e di Archimede, ma per sviluppare una filosofia della natura basata su concetti aristotelici. Questa contraddizione si spiegherebbe con la sostanziale coerenza, assicurata da una preesistente comune origine, fra i diversi elementi metodologici, concettuali e osservativi mutuati da Newton dalle fonti ellenistiche a sua disposizione. “Le affermazioni genuinamente aristoteliche,” scrive ad esempio Russo, “pur se inserite da Newton sin dall’inizio dell’opera, non potevano alterare la dimostrazione di teoremi della teoria delle coniche effettuate secondo il modello di ApolIonio.” D’altra parte, la stessa legge “newtoniana” della gravitazione, cioè la legge della dipendenza della forza dall’inverso dei quadrati delle distanze, è riferita da Newton stesso come una conoscenza pitagorica.

Nonostante fosse basata da una parte sulla scienza ellenistica, e dall’altra sulla riflessione circa prodotti tecnologici aventi anch’essi in larga misura la stessa origine, la scienza moderna raggiunse tuttavia abbastanza rapidamente una fase in cui appare molto più “potente”. Perché? Russo elenca alcune plausibili ragioni tecniche. Ad esempio il sopravvento acquistato dal calcolo numerico sui metodi geometrici grazie all’uso delle tavole dei logaritmi, pubblicate per la prima volta nel 1614. L’idea, anch’essa, non era nuova, perché era già stata formulata lucidamente da Archimede. Ma, e qui il ragionamento si allarga alla sfera sociale, nuova era la domanda di questo nuovo strumento di calcolo, derivante dall’allargamento del numero degli utilizzatori dei metodi scientifici. “Gli elementi di superiorità della scienza moderna,” conclude l’autore, “non sembrano poggiare su idee radicalmente nuove, ma piuttosto sul fatto che elementi dell’antica cultura hanno avuto di nuovo nell’Europa moderna la possibilità di interagire e di svilupparsi, con il vantaggio di potersi avvalere di una base sociale molto più ampia, che permetteva di disporre di una quantità di dati molto più vasta.” …

© Feltrinelli 1996-2003.

Alcuni esempi della tecnologia ellenistica,il “meccanismo di Antikitera”.Antikitera è un’isoletta rocciosa a nord-ovest di Creta. Nel 1900 dei pescatori di spugne, persa la rotta a causa di una tempesta, riuscirono a trovare riparo su questa isoletta quasi disabitata dove ripresero a pescare. Fortuitamente scoprirono il relitto di una enorme nave che all’epoca trasportava statue in bronzo ed in marmo.
Dopo la segnalazione alle autorità del ritrovamento, gli archeologi lavorarono sul relitto sino al settembre del 1901. Tra i reperti ripuliti vennero individuati un’intera serie di ruote dentate, parte di un meccanismo, molte delle quali con iscrizioni.
Il relitto, a giudicare dalla ceramica facente parte del carico, fu fatto risalire all’inizio I secolo a.C.,probabile copia di un analogo dispositivo del III secolo A.C… Alcuni esperti sostenevano che i resti provenissero da un astrolabio, mentre altri erano convinti appartenessero ad un planetario. Le varie polemiche e supposizioni arrivarono ad un punto morto ed il mistero di Antikitera rimase irrisolto.
Nel 1951 il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il meccanismo esaminando minuziosamente gli oggetti e riuscendo, dopo circa vent’anni di ricerca, a riassemblare i pezzi ed a scoprire lo scopo del congegno. Risultò essere un computer per calcolare i calendari solare e lunare. Le varie ruote riproducevano il rapporto di 254:19, per ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole, tenendo in considerazione il fatto che la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari.Una recente analisi, basata su dettagliate scansioni ai raggi-X del meccanismo, fatta da Michael Wright, curatore dell Istituto di Ingegneria meccanica al Museo delle Scienza di Londra, ha portato all’individuazione dell’esatta posizione di ogni ingranaggio. Tutto questo ha portato a pensare che Price avrebbe sbagliato una serie di osservazioni e che avesse manipolato il numero dei denti degli ingranaggi che erano incompleti.
Wright ha trovato prove che il meccanismo di Antikythera sarebbe stato in grado di riprodurre accuratamente il moto del sole e della luna, usando un modello epiciclico elaborato da Ipparco, e dei pianeti Mercurio e Venere, usando un modello epiciclico elaborato da Apollonio di Perga. Ha inoltre dichiarato che il meccanismo deve essere stato costruito mediante l’ausilio di antichi attrezzi, anche se la realizzazione di una ruota metallica dentata implica l’utilizzo di lame sofisticate ed un altissima abilità.
Se solo si pensa che i primi calendari ad ingranaggi, simili ma meno complessi di quello di Antikitera, furono realizzati a partire dal 1050 d.C., bisogna rivedere il nostro pensiero sull’antica tecnologia greca.Ecco la simulazione del meccanismo: http://www.etl.uom.gr/mr/index.php?mypage=640x480

Eolipila. http://www.racine.ra.it/ungaretti/SeT/macvapor/eolianim.html

Senza andare cosi lontano le conoscenze Mediche dei Dottori dell’Impero Romano erano paragonabili a quelle che si sono aquisite nella prima guerra Mondiale .

Per non parlare delle straordinarie realizzazioni architettoniche e sopratutto idrauliche che possedevano i Romani.
Pensate che, senza le approfondite cognizioni di Fisica dei Fluidi che abbiamo ai nostri giorni, i Romani nel I sec. d.C. realizzarono l’acquedotto del Serino che portava acqua potabile (di elevatissima qualità) dalle fonti del Serino (situate nell’avellinese) passando per Castellamare di Stabia, Pompei, Ercolano, Napoli, Baia e terminava nella colossale “Piscina Mirabile” una enorme cisterna artificiale scavata nella roccia del promontorio di Bacoli e che serviva a rifornire di acqua tutta la flotta imperiale ormeggiata a Baia (la Piscina Mirabile contiene svariati milioni di metri cubi di acqua).

Lunghezza complessiva dell’acquedotto circa 80 km, ma ci pensate??

Oggigiorno molti pezzi di quell’antico, e straodirnario, manufatto sono ancora visibili in Campania, mentre la Piscina Mirabile non solo esiste ed è ben conservata ma è anche visitabile (io stesso l’ho visitata la settimana scorsa)!!!

Attenzione però,la scienza,la tecnologia,la medicina, “Romana” era praticamente tutta di derivazione Ellenistica.Infatti tutti i termini scientifici e tecnici usati dai Romani sono Greci,Greca la manualistica di riferimento,Greci i nomi tramandati di medici,ingegneri e tecnici (e molti,in specie i medici,erano schiavi).In effetti la ricerca scientifica si interruppe quasi del tutto alla fine della III guerra punica.Quando,intorno al I secolo D.C. riprese l’interesse per la scienza molti degli antichi lavori sopravvissuti nelle biblioteche in gran parte non erano più comprensibili ai contemporanei.Gli studiosi della scienza in età Romana (anche questi quasi tutti d’origine Ellenica) non formulano teorie nuove,ma si limitano a commentare quelle del passato.Nel I secolo D.C.,durante l’epoca di Nerone,uno dei più grandi scienziati è il greco Erone di Alessandria.Egli conosce ancora molta della tecnologia di tre secoli prima,ed usa fra l’altro,viti di precisione,cremagliere,ingranaggi demoltiplicatori,catene di trasmissione,alberi a camme,eliche,stantuffi e diversi tipi di valvole.Sfrutta varie propietà dei fluidi,il principio del moto a reazione,e le fonti di energia idraulica,eolica e a vapore.Tutto questo però gli serve non per costruire macchine per l’industria o la cantieristica navale,come ai tempi dei sovrani Ellenistici o di Re Ierone di Siracusa,ma a fabbricare giocattoli per divertire i nuovi dominatori,i quali usufruendo di migliaia di schiavi non sono minimamente interessati ad apparati meccanici.Ovviamente molto rimane,ma vengono prese soltanto le applicazioni pratiche più facilmente riproducibili,cessa qualunque evoluzione,qualunque idea di progresso.I Romani di età imperiale non rifiutavano certo i benefici della tecnologia;pensavano però che fosse compito degli individui inferiori ingegnarsi a procurarli e quello dei dominatori goderli.Il sistema Romano risolse bene per qualche secolo il problema di acquisire e controllare tecnici competenti,ma non quello di formarli.Li andavano a prendere in provincie in cui,indipendentemente dal potere centrale esisteva ancora una tradizione tecnica e scientifica,e vissero di rendita su quella.Alla fine, al crollo del sistema politico Romano si accompagnò il crollo economico e tecnologico dell’Occidente.Nel VIII secolo D.C. il più grande matematico Occidentale è Beda il venerabile:Nel suo lavoro più impegnativo descrive un metodo per contare con le dita della mani.Molti sapevano ancora contare fino a dieci,ma Beda riesce ad arrivare un pò più in là.Nel frattempo la vita Urbana in Europa è praticamente scomparsa.Nella parte Ellenistica,dove un residuo rapporto scienza-tecnologia-economia era in parte sopravvissuto ciò che rimase fruttificò passando agli Arabi.

Assolutamente corretto. I Romani erano interessati semplicemente a sfruttare le applicazioni tecnologiche senza compiere alcuno sforzo scientifico né incoraggiando la ricerca scientifica (un pò come avviene - putroppo - oggi in Italia: tutti sono interessati ad avere l’ulitmo modello di telefonino che fa di tutto, anche telefonare, ma non sono disposti ad investire nella Ricerca).

Se i Romani avessero puntato sulla Ricerca scientifica non è da escludere che declino dell’Impero sarebbe stato molto più lento. Se poi fossero riusciti a sostituire l’impiego degli schiavi con quello delle macchine, come tu stesso hai ricordato già nel I sec. d.C. era nota l’energia del vapore, probabilmente l’Impero non sarebbe declinato affatto.

Anche gli architetti erano greci ,purtroppo non possiamo fare molto perche una cosa del genere non accada di nuovo , e purtroppo sono convinto che se dovesse accade di nuovo sarebbe devastante,pensate se dovesse scoppiare una guerra Nucleare (ipotesi non cosi remota) torneremmo all’età della pietra .