Le missioni spaziali potrebbero recare danni alla vista

Come è noto, fra i principali effetti fisiologici legati al volo spaziale a lunga durata, vi sono la diminuzione della densità ossea e della massa muscolare; ed ora, secondo i risultati di uno studio appena condotto sulla vista di alcuni astronauti di ritorno dallo spazio, sembra proprio che anche la salute degli occhi debba pagare pegno alle particolari condizioni ambientali legate alla microgravità orbitale.

Secondo i risultati di questo ultimo studio riassunti nell’articolo di Adam Marcus pubblicato il 2 Settembre scorso sull’edizione americana di reuters.com, su oltre 300 astronauti del programma spaziale statunitense, quasi il 50 percento di quelli che hanno partecipato a missioni spaziali a lunga durata (sei mesi o più) hanno riferito di avere avuto dei problemi mai avuti in precedenza, nel vedere gli oggetti vicini a loro mentre erano nello spazio ed anche sulla Terra, per un certo periodo. Inoltre, circa il 23 percento degli astronauti che hanno trascorso periodi più brevi di tempo in orbita hanno riferito di problemi con la visione da vicino sia durante le missioni che dopo il loro ritorno sulla Terra.

Il team di ricerca finanziato dalla NASA, ha anche svolto degli esami specifici su sette astronauti maschi che hanno avuto problemi alla vista di ritorno dalle loro missioni spaziali a lunga durata, trovando in tutti loro diversi sintomi di stress oculare, compresi un accumulo di fluido attorno al nervo ottico, lo sviluppo di pieghe nei vasi che irrorano la retina, l’appiattimento del bulbo oculare ed altro ancora.

Il Dr. Tom Mader, oculista presso l’Alaska Native Medical Center di Anchorage e responsabile dello studio commissionato dall’ente spaziale americano, ha commentato i risultati da lui ottenuti a Reuters Health: “La gente vola nello spazio da oltre 50 anni, e nessuno ancora è diventato cieco, ma sicuramente c’è qualcosa di cui preoccuparsi.”
Secondo Mader questi sintomi sarebbero dovuti all’aumento della pressione del fluido che circonda il cervello in conseguenza agli effetti legati all’esposizione alla microgravità. Tali liquidi non riescono quindi a fare ritorno nella parte inferiore del corpo, congestionando così il cranio. Tuttavia il meccanismo che causa questa situazione non è ancora chiaro.
E’ possibile che la diminuzione della gravità causi dei picchi di pressione sanguigna attorno al nervo ottico, recando danni alla visione, ha proseguito Mader spiegando anche che è possibile che la microgravità possa causare problemi alla vista abbassando la pressione oculare.
“E’ molto difficile per noi, a questo punto, definire quale sia la causa di tutto ciò.” Ha concluso il Dr. Mader, il cui gruppo di ricerca ha pubblicato le proprie scoperte sulla rivista scientifica americana “Ophthalmology”.

Almeno uno dei sette astronauti esaminati nello studio manifesta ancora alcuni dei cambiamenti fisici agli occhi, dopo oltre cinque anni dal suo ritorno dallo spazio.
Degli astronauti che anno completato le visite post volo, un ristretto numero ha avuto problemi in orbita con la visione di profondità; il 6,6 percento in missioni brevi ed il 12 percento in missioni a lunga durata. Il 34 percento circa degli astronauti che ha volato in missioni lunghe e l’11 percento di quelli che hanno partecipato a missioni di breve durata hanno dovuto cambiare le proprie lenti correttive, benché non è chiaro se queste modifiche siano da considerarsi permanenti dopo il ritorno sulla Terra.

Il Dr. Mader ha spiegato al giornalista Marcus che attualmente la NASA sta svolgendo degli studi di follow-up che comprendono anche delle ricerche sulla Stazione Spaziale Internazionale al fine di fissare definitivamente il meccanismo. Gli scienziati inoltre, intendono utilizzare la risonanza magnetica ed altre tecniche per caratterizzare con precisione le capacità visive degli astronauti e l’anatomia dei loro occhi prima e dopo le loro missioni spaziali.
L’essere umano frequenta lo spazio da oltre cinquant’anni, e dopo tutto questo tempo, ancora non sono chiari gli effetti che l’ambiente spaziale produce sulla sua fisiologia e sulle modalità di adattamento del corpo umano. Ne è convinto anche il Dr. David Robertson, responsabile del Center for Space Physiology and Medicine del Vanderbilt University Medical Center di Nashville, Tennessee, che si è dichiarato sorpreso relativamente all’entità dei cambiamenti che subisce l’occhio umano a causa del volo spaziale. Tuttavia, egli ha spiegato che come mostrato nelle fotografie scattate nello spazio, tutti gli astronauti mostrano un marcato gonfiore al volto.
“Ci sono più cambiamenti negli occhi di quelli che mi sarei potuto aspettare, ma credo che il movimento dei fluidi all’interno della testa, ed il gonfiore facciale unito a quello dei tessuti del viso possano in qualche modo alterare la fisiologia e l’efficienza degli occhi.”
Ad ogni modo, gli studi svolti sugli astronauti non hanno evidenziato effetti permanenti sulla salute umana a seguito dei voli spaziali a lunga durata. Ha ribadito Robertson.

Per il momento, i dati a disposizione degli scienziati sono relativi a periodi di esposizione alla microgravità di massimo sei mesi, tuttavia una missione verso Marte, per esempio, potrebbe durare dai 2,5 ai 3 anni, e fin’ora nessuno ha mai trascorso tanto tempo nello spazio ininterrottamente.
Il record di permanenza continua nello spazio, al momento, appartiene al medico russo Valeri Polyakov, che ha trascorso 438 giorni nello spazio fra il 1994 ed il 1995 sulla stazione spaziale russa Mir orbitando la Terra per 7000 volte.

Fonte:Reuters.com

Nell’immagine (C) di NASA, Sandy Magnus dell’STS-135, si gode il panorama dalla Cupola dell’International Space Station.


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Durante la sua visita al COL-CC, un ex comandante della ISS ha detto chiaramente che la permanenza in orbita gli ha danneggiato la vista, e ha anche detto che lui è uno dei pochi a dirlo apertamente, visto che nel corpo astronauti si cerca di coprire ogni minima cosa che può prevenire dall’essere scelti per un altro volo…
Preferisco non citare il suo nome, ma si nota che in tutte le sue foto prima della missione non aveva mai gli occhiali, e nelle foto dopo li ha sempre addosso :wink:

Questo è vero, ma è anche vero che non è da tanto che stanno lassù per sei mesi. E purtroppo quando si ha a che fare con esseri biologici, ognuno diverso dall’altro, occorro grandi numeri prima di poter tirare fuori risultati scientifici. Ed è per questo che la ricerca medica sugli effetti della permanenza prolungata in microgravità va così a rilento…

…si parla di missioni BEO, ma non ho ancora visto una sola configurazione preposta alla risoluzione dei due problemi fondamentali per missioni di lunga durata oltre la luna: realizzazione della gravità artificiale (tutto sommato facile) e difesa dalle radiazioni solari (assai meno facile).
Parlare, ad esempio, di Marte senza risolvere prima questi problemi mi sembra un pò vendere la pelle dell’orso…

E anche qui sarebbe utile il modulo toroidale/zona notte…
Passare le ore di sonno in gravità, seppur ridotta, anche se sdraiati, sicuramente (imho) non fa male alla disposizione di liquidi nel corpo… O almeno sarebbe la prova del 9 per appurarlo…

già, sarebbe ora di provare a fare un pò di “gravità artificiale”, la prossima stazione sarà probabilmente più grande, con più personale e con missioni di più lunga durata…

la necessità di “gravità” per evitare gli effetti dello spazio si fara ancor più sentire, iniziarea sperimentare ora, non sarebbe sbagliato… dopotutto è il compito del’iss la ricerca e sviluppo delle tecnologie spaziali.

Sbaglio o la gravità artificiale era stata sperimentata in almeno una (forse due) delle missioni Gemini?

In Gemini 11 (Conrad-Gordon) sicuramente, in altre mi sfugge, ma mi sembra di no.

Gemini 8…anche se fu a dir poco involontario. La capsula inizio a rollare velocemente arrivando a oltre 10 G (non ricordo con precisione), quindi possiamo parlare di super gravita artificiale.

Volontariamente, mi sembra per una volta sola, sfruttando la gemini e lo stadio Agena, collegati con un cavo… anche se fu solo a livello sperimentale e per pochi minuti, sviluppando una piccola frazione di G… sufficente però a spostare piccoli oggetti galleggianti nello scafo

Secondo un recente articolo di CBS news, sembra che l’equipaggio a bordo della ISS abbia iniziato una serie di diagnosi periodiche della vista e della retina a seguito di questo studio:
http://www.cbsnews.com/network/news/space/home/spacenews/files/391240e8453f0a9647f407043058980e-347.html#unique-entry-id-347

Anni fa è stato fatto uno studio sull’incidenza della cataratta degli astronauti senior, da cui di vedeva una maggiore incidenza della cataratta negli astronauti esposti ad una maggiore quantità di radiazione come le missioni Apollo o le Hubble-servicing rispetto a quelle in orbita bassa.

In questo caso l’effetto della radiazione appare trascurabile rispetto a quello fisiologico dell’assenza di gravità, anche se - come è stato fatto notare - la questione può cambiare in una missione su Marte.

C’è poi l’effetto dei lampi di luce, in cui raggi cosmici producono dei flash luminosi eccitando l’apparato visivo degli astronauti. E’ un vecchio fenomeno osservato dalle prime missioni Apollo. Sulla Mir facemmo una lunga campagna di misure (Sileye-1 e Sileye-2) riuscendo adimostrare la presenza di varie cause di LF: protoni intrappolati e nuclei pesanti. Sulla base dell’esperienza acquisita sulla Mir (dove era una vera pacchia operare rispetto alle più rigide procedure della ISS) è poi nato Altea per la correlazione diretta lampi di luce-particelle. Ma su quello cedo la parola a Spidey…

L’aspetto che mi sembra più preoccupante nell’articolo è il riscontro di alterazione dei vasi retinici…se le radiazioni possono opacizzare il cristallino, la cataratta resta pur sempre una patologia che oggigiorno si risolve molto facilmente con un piccolo intervento privo di rischi significativi.

Invece quando parliamo di pieghe retiniche siamo di fronte a un problema le cui possibilità di trattamento sono scarse e poco efficaci, e può condurre a disturbi visivi gravi, fino a cecità.

Questa comunque è la prova che ci sono molti aspetti di fisiologia che ancora non conosciamo per quanto riguarda l’ambiente spaziale e di microgravità: è ovvio che sono tutti problemi che andranno affrontati nell’ottica di vivere a lungo o viaggiare a lungo nello spazio.

Sono d’accordo, il danno principale è quello fisiologico dovuto alla microgravità… la cosa interessante anche per la radiazione è che l’occhio è un organo molto sensibile, spesso “punta dell’iceberg” di effetti fisiologici e neurofisiologici più nascosti nel resto del corpo.