Le pianure di Mercurio sono frutto di attività vulcanica

Le dolci pianure del pianeta Mercurio sono frutto di attività vulcanica: è questo il risultato di una nuova analisi dei dati raccolti dalla sonda MESSENGER, condotta dai ricercatori di un’ampia collaborazione internazionale che firmano in proposito un articolo di resoconto sulla rivista Science.

“Per più di 35 anni è rimasta una grande incertezza su quale sia stato il ruolo dell’attività vulcanica sul pianeta”, ha spiegato James W, Head III, professore di scienze geologiche della Brown University e coordinatore della ricerca. Gli studiosi infatti dibattono la questione fin dal 1974, ovvero da quando la missione Mariner 10 riportò le prime immagini della superficie del pianeta, che presentava, in alcune sue parti, pianure senza irregolarità.

Subito si cominciò a ipotizzare un’attività vulcanica ma non esistevano segni della presenza di vulcani nelle vicinanze. Inoltre, le pianure del nord del pianeta appaiono, nelle immagini, della stessa luminosità delle regioni craterizzate, a differenza di quanto avviene, per esempio, nel caso della Luna.

Secondo quest’ultimo studio, nelle fasi primordiali della storia del pianeta, tra 3,5 e 4 miliardi di anni fa, enormi quantità di lava fluirono da fratture della superficie di Mercurio invadendo le pianure circostanti poste a una quota inferiore e colmarono anche fratture profonde più di un chilometro. Il processo riguardò circa il 6 per cento della superficie.

La conferma del fatto che le pianure siano state causate da un vulcanismo molto rapido è venuta dall’analisi di una struttura presente a circa 150 chilometri dalla zona vulcanica, in cui si possono rintracciare le prove di un’antica sorgente di lava, con ampi canali simili a fiumi che si dipartono dalla frattura.

La sonda MESSENGER sta orbitando intorno al Mercurio dal mese di marzo e negli anni scorsi ha eseguito tre sorvoli che hanno fornito agli scienziati una prima prima impressione delle pianure. Per il prossimo futuro si spera di arrivare a una migliore comprensione della composizione chimica e dei minerali presenti alle maggiori latitudini in modo da poter confrontare l’attività vulcanica qui presente con quella di altre regioni.

I flussi di lava pemettono infatti agli studiosi di arrivare a nuove informazioni sulle dinamiche di formazione e di evoluzione dei pianeti, e sul fatto che siano o meno ancora attivi.

“Quando si cerca di comprendere l’origine delle pianure è utile analizzare il margine e i loro dintorni”, ha spiegato Caleb Fassett, coautore dell’articolo. “In tali zone, le differenze tra le pianure e il terreno preesistente possono aiutare a capire in che modo esse si siano formate”. (fc)

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