LIVE: Phoenix arriva su Marte

Questa notizia è una delle piu’ importanti della Storia.
Mi sembra che i media non hanno sottolineato abbastanza la cosa.

Hai ragione, sembra anche a me che ne abbiano parlato un po’ poco!

Phoenix – Sol 67.

Dopo che Phoenix, attraverso la pagina di Twitter, ha smentito direttamente le voci secondo le quali la NASA stava studiando un modo per rendere pubblica la scoperta della vita su Marte, il lavoro per la sonda continua imperterrito ed è stato iniziato un nuovo scavo denominato “Neverland”.
Intanto il microscopio ottico si sta preparando per eseguire nuove osservazioni ed ha già ripreso la serie di immagini di base scattate prima di inserire il campione per assicurarsi che la zona di analisi sia pulita, o per lo meno che si possa vedere se c’è qualcosa da non considerare durante il lavoro di analisi stesso.
Anche le fotocamere sono in piena attività per continuare a documentare il lavoro intorno al lander.

In foto il nuovo scavo Neverland eseguito con il braccio robotico.

Phoenix – Sol 68.

Gli scienziati stanno analizzando i risultati provenienti dai campioni di suolo già inseriti negli strumenti di bordo di Phoenix per comprendere la natura chimica e mineralogica della zona dell’atterraggio.
Nell’ultimo mese due campioni sono stati analizzati nel Wet Chemistry Laboratory del MECA e hanno lasciato supporre che contenessero perclorato, una sostanza estremamente ossidante. Il team di Phoenix ha però atteso i risultati del TEGA che è anch’esso in grado di rilevare (annusando la cottura) quella stessa sostanza.
La conferma della presenza di perclorato e dei dati derivanti è importante per averne la certezza prima dell’annuncio ufficiale. I risultati dell’ultimo esperimento TEGA, eseguito sugli strati a contatto del terreno ghiacciato non hanno trovato evidenze di questo composto.
Questo è sorprendente e ricorda che i risultati di un solo strumento non sono assolutamente decisivi. Gli scienziati del team di Phoenix sono alle prese con la determinazione precisa della composizione del suolo marziano utilizzando tutti i dati a loro disposizione.
“Siamo impegnati a seguire un processo scientifico rigoroso”, ha detto Peter Smith della University of Arizona di Tucson.
“I primi dati del MECA testimoniavano un suolo simile alla Terra, ma ulteriori analisi sembra che evidenzino aspetti non terrestri nella chimica del terreno”, ha aggiunto.
Il team sta anche lavorando sulla possibilità che il residuo di perclorato provenga da Terra contenuto nella strumentazione stessa.
“Quando ci troviamo di fronte a risultati sorprendenti, verifichiamo le potenziali cause terrestri di una contaminazione originata da qualche lavorazione dei componenti della sonda”, ha detto Barry Goldstein, project manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.

Il laboratorio “umido” del MECA studia i componenti chimici solubili del suolo mescolandolo con una soluzione acquosa di diversi reagenti portati da Terra.
La superficie interna di ogni cella ha 26 sensori che danno informazioni sull’alcalinità o acidità del campione dando anche la presenza e concentrazione di elementi come cloruri e perclorati. Quello stesso strumento può rilevare concentrazioni di magnesio, calcio e potassio che formano sali solubili in acqua.

Phoenix conferma che la presenza di perclorato nel suolo lo renderebbe più inospitale, sebbene non completamente inospitale.

Phoenix – Sol 69.

La NASA ha completato da poco una teleconferenza per la stampa.

La strumentazione a bordo del Phoenix Mars Lander ha rilevato quello che può essere perclorato nel suolo marziano. È una notizia che frena la raffica di speculazioni sul fatto che il Pianeta Rosso sia o sia mai stato abitabile.
Benché il perclorato possa essere altamente tossico, alcuni vegetali terrestri prosperano dov’è presente questo composto e quindi la sua presenza non è né un punto a favore e né un punto a sfavore della possibile abitabilità.
“Abbiamo delle sostanziali evidenze che i campioni di terreno contengono perclorato, che è uno ione del cloro con 4 atomi di ossigeno”, ha detto Peter Smith, dirigente del progetto Phoenix presso la University of Arizona. “Sulla Terra i perclorati sono presenti ad esempio nel deserto di Atacama, in Cile, in associazione con nitrati e sono utilizzati come fertilizzanti. Il deserto è un ambiente eccezionalmente arido che vede la pioggia molto raramente e non ha vegetazione vascolare. È spesso usato dagli scienziati come terreno analogo a Marte.”
“Questi composti sono abbastanza stabili nel suolo e nell’acqua e generalmente non distruggono la materia organica”, ha aggiunto Smith. “Infatti esistono specie di batteri che elaborano i perclorati e vivono dell’energia liberata da questo ossidante. Quindi questo è un importante indizio per capire se esistono condizioni per permettere l’abitabilità di Marte da parte di vita microbica. In sé non è né positivo e né negativo per la vita.”
Ad ogni modo i risultati non sono ancora stati confermati da entrambi gli strumenti principali contenuti nella sonda e mentre il perclorato è definito come un composto tossico con potenti proprietà ossidanti, è troppo presto per trarre delle conclusioni sull’abitabilità della zona dell’atterraggio o in generale di Marte.
“Il modo in cui il perclorato possa influenzare l’abitabilità è una questione complessa della quale non conosciamo ancora la risposta” ha continuato Smith. “E’ un materiale molto stabile e non tende ad attaccare i materiali organici a meno che non venga riscaldato a temperature molto alte. Quindi non è un limite per noi in quanto se trovassimo materiali organici nei prossimi campioni non sarà una grande sorpresa vederli convivere in questo terreno gelato.”
Come già detto altre volte, gli strumenti di bordo di Phoenix non sono in grado di rilevare direttamente la vita, ma solo di riconoscere qualche elemento organico e se esistono le condizioni di abitabilità. Queste informazioni potranno essere utilissime per le prossime missioni.
Michael Meyer, capo scienziato del Mars Exploration Program al quartier generale NASA ha oggi smentito ufficialmente le voci di un possibile coinvolgimento della Casa Bianca sulla possibile divulgazione della notizia di ritrovamento di vita su Marte. Ed ha aggiunto: “Sono necessari molti altri esperimenti per risolvere gli enigmi contenuti nei risultati ottenuti finora. Queste conferenze sono decisamente inusuali, infatti stiamo aprendo una finestra nel progetto per permettere all’opinione pubblica di vedere i nostri progressi in tempo reale. Abbiamo accantonato la tradizione di divulgare solo informazioni definitive a causa dell’estremo interesse dimostrato verso Phoenix, in questa ricerca di un ambiente abitabile nelle pianure settentrionali di Marte.
“Piuttosto delle speculazioni che stanno dilagando su internet”, ha proseguito Meyer, “vi prometto di poter dare uno sguardo diretto nelle investigazioni in corso all’interno dell’Operation Center, ma devo avvertirvi che il nostro lavoro è appena iniziato e soprattutto siamo solo a metà strada della fase di raccolta dati.”
Ma è il perclorato a tenere banco oggi e quindi le domande su questo argomento sono continuate. A ripetute richieste sulle implicazioni nella presenza di questo composto, è sempre stato risposto che non si possono ancora sapere.
I due campioni inseriti nel MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer) hanno confermato la cosa, ma quelli nel TEGA (Thermal and Evolved-Gas Analyzer) no.
Il team sta inoltre verificando che il perclorato non sia involontariamente aggiunto dalla sonda stessa, dato che viene anche utilizzato come propellente missilistico. I retrorazzi di Phoenix erano comunque alimentati ad idrazina.
Pare che tutta questa agitazione provenga dal fatto che l’atomo di cloro è circondato da più atomi di ossigeno del previsto e quindi come scienziati sono affascinati da queste curiosità. La risposta è che diversi sali di perclorato hanno formule e comportamenti diversi e quindi è molto difficile che il terreno analizzato da Phoenix sia rappresentativo dell’intero pianeta.
In effetti i perclorati potrebbero aver influenzato pesantemente il pianeta, dalla formazione del terreno alla presenza di precipitazioni.
“In realtà è stato aperto un nuovo enorme argomento di discussione” ha concluso Michael Hecht, responsabile del MECA. “E potremmo parlare di ogni sfaccettatura a lungo, ma probabilmente il team non è ancora pronto per farlo”.

Phoenix - Sol 70.

La missione prosegue senza sosta e sono stati eseguiti nuovi rilievi con il misuratore di conduttanza, oltre ad estese osservazioni con il microscopio ottico. E’ stato anche aperto un nuovo scavo, vicino al primo Dodo-Goldilocks, denominato Cupboard.

Ma dall’ultima conferenza stampa, quando è stata confermata una certa qual apertura verso la divulgazione della sperimentazione, incredibilmente non è più giunta nessuna notizia dal team, escluse le fotografie che provengono dalla sonda.
Ed è appunto dalle fotografie che si riesce a seguire la missione, senza però i soliti approfondimenti e dettagli.
Neanche Twitter è più aggiornato da un paio di giorni…

Phoenix – Sol 71, 72 e 73.

Continua la penuria di informazioni.
In base alle fotografie ricevute, Phoenix ha ingrandito gli ultimi due scavi, ha ripreso nuove immagini della struttura Snow Queen ed ha eseguito estensive riprese con il microscopio ottico.
Non è arrivata nessun’altra informazione, nemmeno attraverso i blog ufficiali redatti dagli studenti in “missione” che fanno parte del PSIP, Phoenix Student Interns Program e passano una settimana alla University of Arizona collaborando con il team scientifico.

Phoenix – Sol 74.

Prosegue lo studio del suolo attorno al Phoenix Mars Lander con l’allargamento di uno scavo, la misurazione notturna della conduttività del terreno e inserendo un campione di materiale nello spazio libero delle porticine, parzialmente aperte, di uno dei forni di analisi presenti sul lander.
Il braccio robotico ha raccolto un campione abbondante da un nuovo scavo, denominato “Rosy Red” e lo ha versato su una stretta apertura del forno numero 5 del TEGA. Alcune particelle sono entrate, ma non bastavano per iniziare l’analisi. E non bastavano neanche dopo aver attivato la vibrazione del TEGA e quindi l’analisi non era ancora possibile.
“Sembra che ci siano dei grumi che ostruiscono l’ingresso”, ha detto Doug Ming del Johnson Space Center di Houston. “Abbiamo comunque visto che quando questo materiale resta un po’ ‘tranquillo’ tende a disperdersi. Abbiamo intenzione di riempire questo forno, anche riattivando la vibrazione o aprendo le porte di un altro forno.”
La misurazione della conduttività è avvenuta fra la sera del Sol 70 e il mattino del Sol 71. L’estremità dello strumento a forma di forchetta, inserita nel terreno, ha misurato la conducibilità elettrica e termica del terreno fra le punte conficcate.
Le attività successive riguarderanno l’ampliamento degli scavi iniziando da quello denominato “Neverland”.

In foto l’abbondante terriccio compatto ammucchiato sui forni TEGA per cercare di caricare il forno numero 5 attraverso lo stretto spiraglio disponibile.

Phoenix – Sol 75.

Una nuova vibrazione indotta al forno 5 del TEGA ha fatto scendere sufficiente terreno all’interno del contenitore da permettere l’avvio dell’analisi.
E’ quindi iniziata ufficialmente la terza analisi del Thermal and Evolved-Gas Analyzer per la determinazione dei vari componenti del suolo marziano.
Questa volta il campione proviene dallo scavo “Rosy Red”.
Continuano nel frattempo in modo esteso le riprese con il microscopio ottico.

Phoenix – Sol 76, 77 e 78.

Il microscopio atomico a scansione presente a bordo di Phoenix ha ripreso una singola particella della polvere che caratterizza e ricopre la superficie di Marte. È appena di un millesimo di millimetro di diametro ed è circa sferica. È un granello della polvere impalpabile che colora il cielo di rosa e che avvolge il pianeta in quelle enormi tempeste che periodicamente si scatenano sul Pianeta Rosso.
“Questa è la prima immagine diretta di particelle della dimensione di quelle dell’argilla e le dimensioni rispettano le aspettative ricavate dai colori dei tramonti marziani”, ha detto Urs Staufer dell’Università di Neuchatel in Svizzera, che capeggia il consorzio svizzero che ha costruito il microscopio.
“La ripresa di quest’immagine ha richiesto il microscopio con la più alta definizione mai utilizzata al di fuori della Terra e un substrato appositamente studiato per sostenere la polvere marziana”, ha detto Tom Pike dell’Imperial College di Londra. “Abbiamo sempre saputo che sarebbe stato tecnicamente molto difficile riprendere particelle così piccole. Ci sono voluti una dozzina d’anni per sviluppare un dispositivo in grado di funzionare in un ambiente polare a 350 milioni di km da noi”.
Questo tipo di microscopio a scansione permette di eseguire una scansione tridimensionale degli oggetti da riprendere per mezzo di una finissima punta montata all’estremità di una molla. Durante la scansione, le particelle sono trattenute da una serie di scanalature incise in un substrato microinciso su un wafer di silicio. Questi wafer sono stati prodotti all’Imperial College.
Il microscopio a scansione può visualizzare la forma di particelle di 100 nanometri, un millesimo del diametro di un capello umano. Questo equivale ad un ingrandimento 100 volte superiore al microscopio ottico di Phoenix che ha eseguito le sue prime osservazioni circa un paio di mesi fa. Anche il microscopio ottico ha il record di definizione per le immagini fotografiche extraterrestri con il maggior ingrandimento di sempre.
“Sono molto lieto che questo strumento stia fornendo immagini mai ricevute prima” ha aggiunto Staufer. “Questo dimostra le potenzialità del microscopio e ci permette di iniziare con esperimenti scientifici che aggiungeranno una nuova dimensione alle misurazioni effettuabili dagli strumenti di Phoenix.”
“Dopo questo primo successo stiamo lavorando sulla creazione di una raccolta di immagini della polvere di Marte”, ha aggiunto Pike.
La finissima polvere marziana è il componente che permette di legare i gas dell’atmosfera ai processi del suolo e quindi è un componente essenziale per la comprensione dell’ambiente marziano.
Le particelle viste nel microscopio a scansione facevano parte di un campione prelevato dallo scavo Snow White all’inizio di luglio.
La stazione microscopica include il microscopio ottico, il microscopio a scansione e la ruota di alimentazione campioni. Fa parte del gruppo di strumenti del MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer).

Nell’immagine si vede lo stesso soggetto ripreso con i due microscopi e quello in falsi colori, con un ingrandimento di 200 volte superiore è il diagramma del microscopio a scansione. Il campione risale al Sol 38 ed è stato chiamato informalmente “Sorceress”.
L’immagine mostra 4 fori circolari profondi solo 5 micron e la particella di un micron di diametro è stata ripresa nel foro in alto a sinistra e indicata da un cerchietto giallo.

Phoenix – Sol 79, 80 e 81.

Una fotografia ripresa la mattina del Sol 79 circa alle 6 locali, mostra un leggero strato di brina sul terreno marziano.
In quel momento il sole era a soli 22° circa sopra l’orizzonte e la luce radente che ne scaturiva, evidenziava tutte le formazioni poligonali che caratterizzano il terreno artico di Marte, dove Phoenix si è posata.
Pochi minuti dopo aver ripreso la fotografia il Sole ha iniziato a scaldare il terreno dal quale è rapidamente scomparso quel velo bianco.
È sicuramente ghiaccio di acqua, per gli stessi motivi per cui lo era il primo visto negli scavi: in quelle condizioni non può trattarsi di ghiaccio di anidride carbonica.
Il team di Terra ha elaborato l’immagine ricevuta per evidenziare le parti e far risaltare il velo chiaro di brina che si è formato.
La Surface Stereo Imager Camera ha già ripreso migliaia di fotografie ed ha permesso di definire tutto il terreno che circonda Phoenix.
Nell’immagine qui presente, ripresa verso est-sudest si intravede uno dei pannelli solari della sonda e il masso più grande, in basso, è stato denominato “Qaudlings” mentre quello circa in centro è stato chiamato “Winkies”.

Bella l’immagine. Abbiamo provato a fare una cosa simile con il microscopio di Opportunity ma non abbiamo trovato nessuna brina.

Paolo

Arriva l’inverno!!! :sunglasses:

Phoenix – Sol 82.

È stata diffusa una serie di fotografie riprese durante il Sol 80 (ottantesimo giorno marziano di missione su Marte) dove viene rilevata la presenza di brina anche sullo specchietto che serve ai ricercatori a Terra per capire la direzione e la forza del vento.
Nell’immagine allegata si vede la diversità fra la foto delle 00:53 e quella delle 02:32 (ora marziana). È molto evidente la brina che si è formata grazie alla bassa temperatura che a quell’ora è presente nel sito di atterraggio di Phoenix.
Lo strumento raffigurato, una specie di piccola canna da pesca con una lenza voluminosa, è appunto lo strumento, alto circa 10 cm, che permette la misurazione della direzione e forza del vento in base allo spostamento della lenza rispetto alla perpendicolare. Lo specchio su cui vediamo formarsi la brina serve solo per avere una visione dal basso dello strumento.
A questo indirizzo è presente una animazione dove è evidente la formazione della brina.
Tutte le immagini sono riprese con un filtro blu (lunghezza d’onda di 450 nanometri) per migliorare il contrasto delle strutture della sonda rispetto al rosso-rosato dell’ambiente circostante.
La brina luccica al Sole che, ricordiamo, nonostante l’estate inizi a segnare il passo, non tramonta ancora alle latitudini a cui è scesa Phoenix.
Durante tutto il periodo di osservazione il vento si è mantenuto costante da nordest a circa 5 metri al secondo (18 km/h).
Questa brina non desta ancora nessun tipo di preoccupazione per le operazioni della sonda.

Immagini JPL/NASA.

Phoenix - Sol 83 e 84.

I lavori di scavo stanno proseguendo attorno alla sonda.
I nuovi scavi aperti recentemente comprendono “Burn Alive 3” nella zona “Wonderland” situata all’estremità orientale del settore raggiungibile dal braccio robotico. Tutti i nomi delle varie zone sono scelti informalmente dai ricercatori per semplificare le discussioni.
Il team sta attualmente scavando un lato di Burn Alive 3 fino allo strato ghiacciato e prevede di lasciare circa un centimetro di terreno al disopra del ghiaccio dal lato opposto. Questa profondità intermedia posta ad un paio di centimetri al disotto della superficie originaria, fornisce al team scientifico il profilo verticale desiderato per un campione soprannominato “Burning Coals” che sarà il prossimo materiale inserito nel TEGA (Thermal and Evolved Gas Analyzer).
La superficie della pianura artica dove Phoenix è atterrato è fatta a forma di poligoni in modo simile al terreno delle aree che sulla Terra sono caratterizzate dal permafrost, dove il suolo periodicamente si gonfia e si restringe ciclicamente. Alcuni degli scavi effettuati hanno fortunatamente potuto raggiungere sia il centro dei poligoni che le giunzioni fra gli stessi e questo grazie alla posizione raggiunta dal lander durante la discesa. Ad esempio lo scavo “Stone Soup” è stato scavato nella depressione nell’area “Cupboard” vicino al limite occidentale della zona raggiungibile dal braccio. I ricercatori prevedono di scavare il più possibile in questa zona, proprio per studiare le proprietà del suolo nella depressione fra poligoni.
Un campione dell’area Cupboard potrebbe essere inserito nel Wet Chemistry Lab, che fa parte del MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer). La zona da cui si prelevano i campioni da analizzare dipende dai risultati degli scavi che si stanno eseguendo in “Upper Cupboard” e da quelli della sonda di conduttività (Thermal and Electrical Conductivity Probe) inserita nel terreno ghiacciato per verificare la presenza di sali.
Inoltre il braccio robotico potrebbe acquisire un campione ricco di ghiaccio, proprio da “Upper Cupboard” e osservarne le modificazioni all’interno della benna di scavo, con lo scopo di seguirne la sublimazione. L’eventuale fusione potrebbe essere indice della presenza di sali e lo scioglimento del campione con deposito di sale significherebbe che “Upper Cupboard” è il punto giusto per raccogliere il campione per il MECA Wet Chemistry Lab.
“Ci aspettiamo di utilizzare pesantemente il braccio robotico nelle prossime settimane, sia per inserire campioni negli strumenti di bordo che per esaminare il fondo e le pareti dei vari scavi allo scopo di cercare evidenze di variazioni sia orizzontali che verticali nelle varie strutture”, ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis.
Il team scientifico di Phoenix è passato dal “tempo marziano” al “tempo terrestre”, cioè è tornato a vivere seguendo la loro ora locale e non quella di Marte. L’attività giornaliera viene preparata ed inviata in modo che ogni invio prepara la giornata successiva. Lavoro e raccolta dati sono quindi a giorni alterni per poter utilizzare i dati ricevuti per nuove operazioni.
Il prossimo esperimento sarà di raccolta del ghiaccio raschiato dallo scavo “Snow White” per verificarne il comportamento all’interno della pala di scavo esposta al Sole.
Il meteo del Sol 81: temperatura massima -32°C, minima -82°C, pressione 7,73 mBar e cielo sereno e ottima visibilità.

L’immagine allegata visualizza un mosaico di foto che rappresenta il panorama nord di Phoenix con tutta la zona raggiungibile dal braccio robotico.
Da ovest (sinistra) a est (destra) nell’ordine si vedono i vari scavi eseguiti che sono: “Dodo-Goldilocks” i primi che hanno permesso di riconoscere il ghiaccio d’acqua, “Stone Soup”, “Cupboard” diviso in superiore e inferiore, “Neverland” in centro, “Runaway” dove si era incagliata la benna circa un mese fa, “Rosy red” 2, 3 e “Burn Alive” molto più piccoli, “Burn Alive 3” attualmente in scavo ed infine “Snow White” all’estrema destra, il più grande e da cui sono state raccolte anche le raschiature di ghiaccio analizzate.

Foto NASA/JPL.

Phoenix – Sol 85.

Effettuata la raccolta di terreno dallo strato intermedio fra la superficie e il substrato ghiacciato. Il campione è stato inserito in uno dei forni di cottura per l’analisi.
Il campione “Burning Coals” proviene dallo scavo “Burn Alive 3” ed è composto da circa mezza tazza da tea di terreno raccolto fra i 3 centimetri dalla superficie e 1 centimetro dal substrato gelato.
I dati ricevuti da Phoenix hanno confermato che il braccio robotico ha scaricato il materiale al disopra dell’apertura della cella numero 7 del TEGA e che una quantità sufficiente per le analisi ha raggiunto la cella di cottura. Sono già stati inviati i comandi di chiusura della cella e di inizio dell’aumento della temperatura fino al primo livello, cioè 35°C.
Lo scopo di questo primo riscaldamento è la verifica della presenza di ghiaccio nel campione. Il passo successivo è il riscaldamento a 125°C per asciugare il campione. L’ultimo passo è il riscaldamento a 1000°C per capire la composizione studiando i gas che vengono prodotti.
“Ci aspettiamo che il campione sia molto simile ai precedenti” ha detto William Boynton della University of Arizona, ricercatore capo del TEGA. “una delle cose che stiamo cercando è un rilascio di ossigeno che potrebbe significare la presenza di perclorato.”
Il perclorato è già stato trovato in un campione analizzato nel MECA (Microscopy, Electrochemistry, and Conductivity Analyzer) e la sua presenza è stata rilevata in un saggio proveniente dallo scavo “Dodo-Goldilocks” e in uno proveniente da “Rosy Red”. Le conferme dovrebbero arrivare da un campione prelevato da quest’ultimo scavo ed inserito nel forno numero 5 del TEGA la settimana scorsa.
Il campione appena inserito nella cella 7 completa un’analisi stratigrafica su tre diversi livelli di profondità della superficie marziana.
“Vogliamo capire la struttura e la composizione del suolo attraverso l’analisi degli strati per comprendere gli spostamenti dell’acqua, sia liquida che vapore, fra lo strato superficiale e quello profondo ghiacciato” ha detto Ray Arvidson della Washington University di St. Louis, leader delle attività del team scientifico di Phoenix.
Situazione meteorologica del Sol 83: soleggiato con atmosfera trasparente e temperatura massima -29°C e minima -83°C.

In foto: gli sportelli quasi completamente aperti del forno numero 7 del TEGA con il materiale d’analisi ammucchiato sopra alla griglia di accesso.

Phoenix – Sol 86, 87, 88 e 89.

Il prossimo campione di suolo marziano proverrà da uno scavo almeno tre volte più profondo di quelli fatti finora.
La sonda sta per terminare la sua missione principale, prevista in 90 Sol, e inizierà la missione estesa che è stata stabilita nel luglio scorso.
“Mentre ci avviciniamo al limite inizialmente stabilito per la durata della missione, siamo emozionati da come sta andando”, ha detto Barry Goldstein del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, manager del progetto Phoenix.
Il principale obiettivo della sonda è ora la raccolta di un campione di terreno dal fondo di uno scavo chiamato “Stone Soup” che è profondo circa 18 centimetri e l’esecuzione di tutte le analisi possibili, la prima delle quali sarà l’inserimento di un saggio nella terza cella del MECA per l’“analisi umida”, quella che si esegue con l’aggiunta di acqua portata da Terra.
“Nella prime due celle del MECA abbiamo analizzato campioni dalla superficie e dall’interfaccia con il ghiaccio e i risultati sono apparsi molto simili. Il nostro obiettivo per la cella 3 è l’utilizzo come cella esplorativa per cercare qualcosa che potrebbe risultare differente” ha detto Michael Hecht, capo scienziato del JPL per il MECA. “La cosa attraente di ‘Stone Soup’ è che questa zona profonda potrebbe contenere e concentrare materiali di tipo diverso”.
“Stone Soup” è posto sulla linea di confine che separa due delle ‘placche’ poligonali in cui è diviso il terreno intorno a Phoenix. Lo scavo è a sinistra (ovest) nella zona raggiungibile dal braccio robotico.
Quando si scava vicino al centro di queste zolle poligonali, è stato trovato uno strato di terreno ghiacciato, duro come il cemento, a circa 5 centimetri di profondità. Nello scavo Stone Soup non è ancora stato trovato uno strato simile.
“La depressione fra i poligoni è una sorta di trappola in grado di accumulare le cose”, ha aggiunto Hecht. “Esteso su una lunga scala temporale è possibile che ci sia una sorta di moto convettivo che permette al materiale di affondare ai lati e risalire al centro dei poligoni”.
Il team scientifico sta studiando gli ultimi due siti finali da cui raccogliere i campioni per le ultime due celle del MECA e in questi giorni ‘Stone Soup’ se n’è aggiudicato uno. “Abbiamo avuto un dilemma fra ‘Stone Soup’ e il materiale bianco presente in ‘Upper Cupboard’”, ha terminato Hecht. “Se avessimo la conferma che lo strato bianco è ricco di sali avremmo certamente analizzato quello, ma non siamo in grado di averne la certezza”.
Entrambi i candidati per la raccolta, davano possibilità di ottenere maggiori informazioni sulla distribuzione dei sali nell’area di lavoro, che possono essere un indicatore della possibile presenza di acqua liquida. I sali tendono a concentrarsi nei luoghi che potrebbero essere stati umidi.
Mentre viene caricata la terza cella del MECA, nel TEGA si sta procedendo all’analisi del campione di terreno a profondità intermedia inserito la settimana scorsa.

Nell’immagine (NASA/JPL) il profondo scavo eseguito dal braccio robotico per eseguire il prossimo prelievo.

Alba gelida su Marte: Phoenix – Sol 90.

Sulla pianura in cui è atterrato il lander marziano Phoenix, non era ancora tramontato il Sole. Essendo all’interno del circolo polare di Marte, l’estate, che in questo periodo coincideva con quella terrestre, portava ad avere il “Sole di Mezzanotte”.
Questo periodo di massimo irraggiamento solare è terminato e dal Sol 86 è iniziato un vero e proprio tramonto seguito, per ora dopo poco tempo, da un’alba.
L’immagine (NASA/JPL) qui allegata è ripresa dal Surface Stereo Imager su filtro rosso in falsi colori e mostra l’alba del Sol 90, quello che completa la missione primaria della sonda. È stata scattata 51 minuti dopo la mezzanotte solare locale durante il lento moto ascendente della nostra stella sull’orizzonte marziano ed ha seguito una “notte” durata 75 minuti. La luce che si vede nel cielo è dovuta a pulviscolo e microscopici cristalli di ghiaccio.
Il tramonto del sole non significa la fine della missione, ma l’inizio di quella estesa, come deciso alla fine di luglio. Il nuovo limite da raggiungere è la fine di settembre.
Poi si vedrà…

Le condizioni meteorologiche stanno cambiando lentamente e gli ultimi dati ricevuti riguardanti il Sol 87 confermano che mentre continua la lenta discesa della pressione atmosferica, giunta a 7,65 mBar, alla diminuzione della temperatura minima, a -83°C, contrasta un aumento della massima arrivata a -27°C. Il cielo continua ad essere terso e la visibilità ottima.

Pensando al Sole di Mezzanotte marziano mi sorge una domanda, su Marte non esiste il fenomeno delle aurore boreali, non essendoci un campo magnetico planetario paragonabile a quello della Terra, o sbaglio?