LIVE: Phoenix arriva su Marte

Ragazzi si beve!!! :beer: :beer: :beer:
Ci siamo riusciti! :wink: :stuck_out_tongue_winking_eye:
Proviamo con qualcun altro! :wink:
Acc…mi sono tradito… :disappointed:

Phoenix – Sol 99-102.

Sulle pagine di Twitter c’è molta gente che, dato che la missione primaria è completata, sta salutando Phoenix, ma la sonda ci tiene a far sapere che ha intenzione di durare ancora diverse settimane…
I pannelli solari stanno producendo circa 2000 Wh per Sol che non sono i 3500 dell’inizio missione, ma sono decisamente di più del minimo necessario alla sopravvivenza.
È certamente una situazione da tenere presente per quanto riguarda il lavoro “pesante”, tipo scavo e analisi, ma se consideriamo che Spirit è sopravvissuto con 220 Wh per Sol, decisamente ci sono ancora molti Sol davanti a Phoenix.

Patrick Woida, un ingegnere del team, nel suo blog accenna al ritorno alla normalità terrestre per il team che fino a pochi giorni fa viveva seguendo il fuso orario di Phoenix. “Era come vivere continuamente in una sorta di jet-lag (il malessere da cambio di fuso orario) e anche solo vedere i figli era un problema”, in effetti un Sol marziano dura quasi 40 minuti in più di quello terrestre (esattamente 39’35”) e di conseguenza c’è un continuo ‘slittamento’ degli orari da un giorno all’altro. Era una prassi utilizzata per sfruttare il più possibile il tempo a disposizione, grazie anche al fatto che il Sole su Phoenix non tramontava mai. Ora invece inizia ad esserci una notte vera e propria e quindi senza Sole non si può fare nulla. Dovendo preparare le operazioni da un Sol per l’altro (un giorno si prepara e quello successivo si inviano le operazioni) ci si può organizzare per non stravolgere la vita dei componenti del team.
È comunque triste sapere che arriverà il momento in cui l’energia non basterà più per quel meraviglioso congegno.

La coppia di foto allegata mostra la zona sotto il lander con una differenza temporale di tre mesi circa. La prima è stata ripresa nel pomeriggio di qualche giorno successivo all’atterraggio, mentre la seconda risale alle 4 del mattino di pochi Sol fa.
La cosa curiosa è soprattutto quella specie di incrostazione sul braccetto di sinistra che, benché presente in entrambe le foto, denota delle variazioni di consistenza.
Le ipotesi sono due. La prima è che il lander durante la fase finale della discesa abbia in qualche modo scaldato il terreno sciogliendo il ghiaccio e il fango così formato si sia attaccato alla struttura. L’alternativa è che sia del semplice terreno contenente sali che sono sempre stati sollevati durante l’atterraggio. In entrambi i casi le modificazioni potrebbero essere state provocate dall’umidità atmosferica che tende ad essere assorbita e a cristallizzare sulle incrostazioni.
Altra curiosità è lo strato scuro che appare sopra la zona liscia situata al di qua della zampa lontana del lander: a prima vista è un accumulo di materiale lasciato dalla sublimazione dello strato superficiale di ghiaccio scoperto sempre dai motori nel momento del contatto con il terreno. Teoria avvalorata anche dall’apparente abbassamento del livello della stessa superficie liscia.

Stazione meteo.
Dopo un paio di giorni nuvolosi e altrettanti polverosi il Sol 95 era chiaro con il Sole splendente. Temperatura minima -82°C. Temperatura massima -28°C. Vento e pressione non sono pervenuti.

Ci sarà tempo per tentare di utilizzare il microfono ed ascoltare i suoni di Marte? (mi scuso se la risposta alla domanda è già stata data di recente)

Phoenix – Sol 103 e 104.

È stato definito quale sarà il prossimo campione di suolo che entrerà nel Wet Chemistry Laboratory del MECA. Occuperà l’ultima delle quattro celle disponibili per l’analisi umida.
Il punto in cui verrà raccolto il campione è “Snow White”, lo scavo all’estremità est della zona raggiungibile. A luglio un campione proveniente da quello scavo è stato inserito nel TEGA ed ha confermato la presenza di ghiaccio d’acqua. Anche una delle altre tre celle del Wet Laboratory ha già analizzato un campione di “Snow White”.
Il Wet Chemistry Laboratory miscela il terreno marziano con acqua purificata proveniente da Terra per identificare nutrienti solubili ed altre sostanze chimiche nel suolo. Gli scienziati sono riusciti a rilevare magnesio, sodio, potassio, cloro e perclorato, determinando anche l’alcalinità media del suolo stesso.
Il team scientifico di Phoenix ha intenzione di caricare gli ultimi quattro forni del TEGA senza attendere che le analisi di ciascuno vengano completate. La strategia è di prelevare più campioni possibile finché l’energia è sufficiente per scavare. L’estate disponibile nell’emisfero settentrionale è già passata per quasi la metà e così l’energia disponibile dai pannelli solari.
“Adesso che il Sole non è più costantemente al disopra dell’orizzonte, la potenza disponibile è in continua diminuzione”, ha detto Barry Goldstein, Project Manager di Phoenix al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Con i Sol che ci rimangono dobbiamo raccogliere e spremere fino all’ultimo bit scientifico della missione”.
Durante le operazioni di cottura che si eseguono nel TEGA, le temperature di vaporizzazione dei vari componenti vengono identificate e una valvola controlla il flusso del gas inerte di trasporto che si occupa di spostare i vapori generati verso lo spettrometro di massa. Purtroppo quella valvola non è più affidabile, ma il team scientifico è fiducioso del fatto che i campioni che verranno raccolti conterranno sufficiente acqua ed anidride carbonica per generare un flusso tale da permettere il funzionamento dello spettrometro. Si sta anche cercando di trovare delle soluzioni ai malfunzionamenti.
Da “Snow White” verrà anche prelevato un nuovo campione di terreno e ghiaccio raschiato direttamente dal fondo dello scavo e seguendo una procedura ottimizzata in modo da minimizzare il tempo a contatto dell’aria e esposto alla luce solare.

Phoenix – Sol 105.

Phoenix ha fotografato diversi dust devils (letteralmente “demoni di polvere” – mulinelli) che danzavano nella pianura che circonda la sonda e al passaggio ravvicinato di uno di essi ha anche misurato una diminuzione di pressione atmosferica.
Questi sollevatori di polvere erano attesi in quella zona, ma Phoenix non ne aveva ancora rilevati.
La Surface Stereo Imager ha ripreso 29 immagini dell’orizzonte verso ovest e sudovest intorno al mezzogiorno del Sol 104. Il Sol successivo, mentre venivano inviate a Terra, il team scientifico si accorgeva di un mulinello non distante.
“È stata una sorpresa trovare un dust devil così visibile da non necessitare di elaborazioni d’immagine”, ha detto Mark Lemmon della Texas A&M University di College Station, responsabile della fotocamera Stereo. “Ma una volta che siamo riusciti a vederne un paio così, ci siamo accorti che con un minimo di elaborazione grafica ne sbucavano fuori altri e ne abbiamo trovati in 12 diverse fotografie”.
Almeno sei differenti mulinelli appaiono nelle immagini e alcuni di essi in più di una immagine. Il loro diametro varia dai 2 ai 5 metri.
“Sarà molto interessante verificare se nei prossimi giorni e nelle prossime settimane i dust devil si moltiplicheranno oppure se questa abbondanza è stato un episodio isolato”, ha aggiunto Lemon.
Il team della missione non è preoccupato per eventuali danni alle strutture della sonda che questi turbini d’aria possono provocare.
“Con la sottile atmosfera di Marte, il carico dinamico che può generarsi dai dust devil è ben al disotto della resistenza delle strutture del veicolo”, ha detto Ed Sedivy manager della missione presso la Lockheed Martin Space Systems Company di Denver. “Il lander è molto rigido con la sola eccezione dei pannelli solari che, una volta distesi, si agganciano in posizione e diventano una tensostruttura”.
Phoenix controlla la pressione atmosferica ogni giorno e nel Sol in cui sono comparsi i mulinelli è stato rilevato un picco negativo del valore di pressione. La variazione è stata minore della differenza fra il giorno e la notte, ma è avvenuto in un tempo molto ridotto.
“Per mezzo di questa missione abbiamo rilevato strutture a vortice che abbassano la pressione per 20 o 30 secondi durante la parte centrale della giornata”, ha detto Peter Taylor un membro del team scientifico della York University di Toronto in Canada. “Nelle ultime settimane, abbiamo visto un’intensificazione di questi fenomeni ed ora questi vortici sembra stiano diventando sufficientemente forti da sollevare la polvere”.
Un fattore chiave nella trasformazione dei mulinelli è l’incremento della differenza di temperatura fra notte e giorno. Le massime sono rimaste intorno ai -30°C, mentre le minime sono scese intorno ai -90°C.
Lo stesso giorno dell’avvistamento dei dust devil, il misuratore del vento ha indicato una velocità superiore ai 5 metri al secondo (18 km/h).
La presenza dei dust devil nella zona dell’atterraggio era già stata rilevata con le sonde orbitali prima della discesa di Phoenix.
“Ci aspettavamo i dust devil, ma non sapevamo quanto erano frequenti”, ha concluso Leslie Tamppari scienziato del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena. “Potrebbe darsi che siano rari e che Phoenix sia stato fortunato, ma continueremo a cercarli per capire se sono frequenti o no”.
I mulinelli visti da Phoenix sono comunque molto più piccoli di quelli fotografati dal Mars Exploration Rover Spirit che però si trova decisamente più vicino all’equatore.

Qui potete vedere un’animazione dei dust devil che circondavano Phoenix.

Phoenix – Sol 106.

Nonostante l’atmosfera rarefatta di Marte, la prima immagine allegata mostra un effetto curioso. Durante il Sol 96, è stata scattata questa foto che rappresenta un pannello solare di Phoenix che vibra nel vento del tardo mattino. È una vibrazione minima, circa mezzo centimetro d’ampiezza, ma è sintomo della presenza di una atmosfera decisamente attiva. Il vento era solo di 4 m/s (circa 15 km/h), ma l’ampiezza del pannello ha una vela notevole e quindi, anche grazie ad una certa flessibilità della struttura, si verificano questi casi di vibrazioni. Anche queste sono sicuramente delle sollecitazioni che, essendo previste in sede di progetto, non mettono a rischio l’integrità strutturale dei componenti di Phoenix.

La seconda immagine allegata è l’originale da cui è tratto l’ingrandimento del Sol precedente. Il dust devil rappresentato si trovava a circa 400 metri dalla sonda ed aveva un diametro di circa 4 metri. L’immagine è stata migliorata e colorizzata.
Questi mini-tornado si formano quando il calore del Sole sul terreno forma delle correnti ascensionali che iniziando a ruotare tendono a concentrare l’energia del vento. Quando queste correnti riescono a sollevare la polvere dal suolo, diventano visibili. Il principio di formazione è esattamente lo stesso che sulla Terra, dove a causa della presenza di un’atmosfera più densa, possono avere effetti devastanti.

La situazione degli ultimi tre Sol registrati dalla stazione meteo canadese è la seguente:
Sol 97 … Sole … T.min. -86ºC … T.max. -30ºC … Buona visibilità.
Sol 98 … Sole … T.min. -86ºC … T.max. -32ºC … Buona visibilità.
Sol 99 … Sole … T.min. -84ºC … T.max. -32ºC … Buona visibilità.

Ecco il video dei dust devils ripresi da Phoenix!

Bel video :clap:

Certo che anche se rarefatta l’atmosfera di Marte è ben attiva!

Phoenix – Sol 107-110.

L’immagine ripresa dalla Surface Stereo Imager Camera raffigura il campione di suolo proveniente dallo scavo “Snow White” inserito all’interno di una cella del Wet Chemistry Laboratory, componente del MECA (Microscopy, Electrochemistry and Conductivity Analyzer). Dei quattro apparecchi sulla destra è il secondo dall’alto.
All’interno della cella il campione viene disciolto in soluzione acquosa allo scopo di rilevare nutrienti e altre sostanze chimiche.
Nel precedente prelievo sono stati rilevati sodio, magnesio, cloro, perclorati e potassio.
“Questo secondo set di analisi”, ha detto Michael Hecht del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, “ha confermato i dati precedenti”.
Nei prossimi giorni il team di Phoenix caricherà anche gli ultimi quattro forni del TEGA, per sfruttare l’energia proveniente dai pannelli solari. L’irraggiamento diurno sta diminuendo e così la potenza disponibile per il lavoro delle varie componenti della sonda.

Phoenix – Sol 111.

Ottima notizia per Phoenix.
La NASA ha deciso di estendere la missione di quasi due mesi, cioè fino a novembre. Attualmente il limite sarà la congiunzione del Pianeta Rosso con la nostra stella, cioè il transito di Marte dietro il Sole. Il momento centrale di questo transito sarà il 5 dicembre alle 23 e occorre considerare che almeno 7-10 giorni prima e altrettanti dopo ci sarà un black-out delle comunicazioni con tutte le sonde, sia in orbita che sulla superficie di Marte.
Se quindi per il 20-25 novembre la Sonda sarà ancora attiva, non lo sarà più a metà dicembre, quando il pianeta riemergerà dal disturbo solare.

Altra buona notizia è che il microfono del Mars Descent Imager (MARDI) verrà attivato nei prossimi Sol per sentire finalmente i rumori di un altro pianeta. Non sentiremo molte cose, anzi, oltre ai rumori di Phoenix potremo ascoltare solo il suono del vento di Marte.
Il Mars Descent Imager, costruito dalla Malin Space Science Systems, era stato installato sulla sonda per riprendere e ascoltare le ultime fasi della discesa su Marte a partire dal momento in cui veniva sganciato lo scudo termico. In effetti era una telecamera con possibilità di ripresa sonora, montata sotto il lander e nelle intenzioni avrebbe dovuto dare una ripresa soggettiva dell’atterraggio. Poco prima dell’ingresso nell’atmosfera era stato deciso di lasciare spenta questa apparecchiatura nel timore che il lavoro aggiuntivo dato ai computer di bordo potesse creare problemi alle componenti fondamentali di Phoenix, come il comando dei paracadute, il controllo dell’assetto e le impostazioni dei motori. Proprio il microfono era stato indiziato di aver portato al fallimento la sonda Mars Polar Lander nel 1999.
L’attesa per l’accensione del microfono è però continuata e finalmente dovrebbe trovare esaudimento.

Nell’immagine allegata una foto dello scudo termico di Phoenix alla massima definizione disponibile. Questo disco scuro di circa 2,5 metri di diametro si trova a circa 150 metri dal lander, mentre il controscudo con i paracadute si trova a circa 300 metri. La macchia scura sul terreno sulla destra dello scudo è l’impronta dell’impatto sulla superficie marziana.

Splendida notizia!!! :beer:

Phoenix – Sol 112-116.

Se il braccio robotico riuscisse a spostare un sasso gli scienziati vorrebbero dare un’occhiata sotto.
Gli ingegneri che hanno sviluppato i comandi del braccio robotico hanno preparato un piano per spostare un sasso a nord del lander. Questo sasso delle dimensioni circa di una videocassetta VHS è stato chiamato informalmente “Headless”.
“Non sappiamo se possiamo riuscirci finché non ci proviamo”, ha detto Ashitey Trebi Ollennu, un ingegnere in robotica del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.
“L’idea è di spostare la piccola roccia provocando il minimo disturbo alla superficie al disotto di essa. Bisogna riuscire a insinuarsi sotto di quel tanto che serve per sollevarla e non farla scappare dalla pala”.
Phoenix riceve i comandi per l’intera giornata ogni mattina e quindi non c’è modo di correggere l’operazione nel caso si veda la roccia sfuggire.
Lo Stereo Imager ha permesso di creare una dettagliata riproduzione tridimensionale di “Headless” per preparare i movimenti del braccio.
Negli ultimi Sol il braccio ha allargato lo scavo nei pressi del sasso e i comandi inviati dovrebbero far rotolare “Headless” nello scavo durante il Sol odierno.
Spostare le rocce non è fra i molti compiti del braccio di Phoenix. Se però la cosa funzionasse, permetterebbe di scoprire un’area sufficiente per eseguire uno scavo direttamente sotto il sasso.
“Studiare il terreno posto lì sotto è così attraente da indurci a provare questa nuova tecnica”, ha detto Michael Mellon, un componente del team scientifico di Phoenix presso la University of Colorado di Boulder.
La motivazione scientifica è relativa allo strato ghiacciato trovato sotto la superficie negli scavi eseguiti intorno al lander. Scavare fino a questo strato al disotto di una roccia potrebbe svelare indizi sui processi che influenzano il ghiaccio.
“Le rocce sono più scure del materiale che le circonda e trattengono il calore”, ha aggiunto Mellon. “In teoria lo strato di ghiaccio dovrebbe scendere più in profondità sotto le rocce. Se riusciamo a rilevare questa variazione, avremmo l’evidenza che il ghiaccio è probabilmente in equilibrio con i vapori d’acqua presenti nell’atmosfera”.
Una possibile alternativa, se il ghiaccio fosse più superficiale, potrebbe essere che la roccia raccoglie l’umidità dall’atmosfera e la rilascia nel terreno.

Le misure di “Headless” sono di circa 10cm x 19cm e sporge dalla superficie marziana di 2-3cm.
In foto la posizione della roccia di fronte al lander.

Il meteo del Sol 109 era il seguente:
Temperatura massima -38°C,
Temperatura minima -86°C,
Visibilità discreta con attività di Dust Devils (mulinelli di polvere).

Phoenix – Sol 117.

Il braccio robotico di Phoenix, durante il Sol 117, ha spostato il sasso chiamato “Headless” di una quarantina di centimetri, portandolo nella posizione prevista e scoprendo il terreno che era al disotto di esso.
Il braccio aveva ampliato uno scavo nelle vicinanze del sasso, approfondendolo fino a circa 3 cm per permettere al sasso stesso di scendervi dentro attraverso la pendenza di 3 gradi creata allo scopo.
“La pietra è andata a finire esattamente dove volevamo”, ha detto Matt Robinson del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, responsabile del software del braccio di Phoenix.

In foto il sasso spostato, ripreso circa alle 12:30 locali del Sol 117.

Phoenix – Sol 118.

Questa immagine, proveniente dalla Surface Stereo Imager Camera, mostra la brina mattutina all’interno dello scavo “Snow White”.
La foto è stata ripresa alle ore 9 locali del Sol 113 e mostra, grazie all’elaborazione in falsi colori, lo strato di brina che si trova su tutta la superficie interna della fossa, anche sul terreno ghiacciato presente nella parte alta della foto, dove si notano i 16 fori (il gruppo di 4x4) eseguiti dalla raspa di Phoenix quella mattina stessa, il cui terreno smosso ha coperto la brina stessa, ma ha evidenziato altri pezzi di ghiaccio estratti dal terreno.

La brina non era stata evidente finché il Sole è rimasto al disopra dell’orizzonte. Ora invece che inizia ad essere presente la notte, diventa sempre più presente. Lo scavo è profondo fra 4 e 5 cm ed è largo circa 23 cm.

Foto ed elaborazione: NASA, JPL-Caltech, University of Arizona, Texas A&M Univeristy.

In attesa della conferenza stampa di stasera alle 20 italiane, vi ho preparato un paio di foto dal Sol 120, riassemblandole dalle sorgenti Raw RGB che arrivano dalla sonda.
La benna del braccio di scavo e la brina mattutina che aumenta di giorno in giorno…

Phoenix – Sol 119-123.

Phoenix ha visto la neve cadere dalle nubi marziane.
Gli esperimenti sul suolo hanno anche fornito evidenze della passata interazione fra i minerali e l’acqua liquida, processi che avvengono anche sulla Terra.

Uno strumento laser, il LIDAR, progettato per scoprire in che modo l’atmosfera e la superficie interagiscono, ha scoperto la caduta di neve da alte nubi a circa 4 km di quota sopra la sonda. Le osservazioni mostrano però che la neve si vaporizza prima di raggiungere la superficie.
“Nulla di lontanamente simile è mai stato visto su Marte”, ha detto Jim Whiteway della York University di Toronto, responsabile della stazione meteorologica canadese installata a bordo della sonda. “Cercheremo le prove che la neve possa giungere al suolo”.

Gli esperimenti di Phoenix hanno raccolto indizi sul carbonato di calcio, primo componente del gesso e particelle che possono essere argilla. La maggior parte dei carbonati e delle argille si formano soltanto in presenza di acqua liquida.
“Stiamo ancora raccogliendo i dati ed abbiamo ancora molte analisi da eseguire, ma stiamo facendo grandi progressi nella risposta alle domande che ci siamo posti”, ha detto Peter Smith, capo studioso del progetto Phoenix presso la University of Arizona di Tucson.

Fin dall’atterraggio avvenuto il 25 maggio scorso, Phoenix ha confermato che lo strato duro sotto la superficie della zona di discesa contiene ghiaccio d’acqua. La determinazione della possibilità che quel ghiaccio si sia un tempo sciolto, potrebbe aiutare a capire se l’ambiente sia mai stato favorevole alla vita, un obiettivo chiave della missione.
L’evidenza del carbonato di calcio nei campioni di terreno provenienti dagli scavi aperti dal braccio robotico provengono dai due principali strumenti chimici di bordo: il TEGA e il MECA.
“Abbiamo trovato il carbonato”, ha detto William Boynton della University of Arizona, responsabile del TEGA. “E questo indica antichi episodi di interazione con l’acqua”.
L’evidenza della presenza di carbonato di calcio proviene dal rilascio ad alta temperatura di anidride carbonica dai campioni. La temperatura di rilascio combacia con la temperatura a cui il carbonato di calcio si decompone rilasciando anidride carbonica, rilevata dallo spettrometro di massa.

L’evidenza dal MECA proviene da un effetto di saturazione caratteristico del carbonato di calcio rivelato dall’analisi umida. La concentrazione di calcio misurata era esattamente quella prevista per una soluzione satura di carbonato di calcio.
Sia il TEGA che la parte di microscopio del MECA hanno suggerito che potesse essere una sostanza simile al gesso. “Vediamo particelle levigate con il microscopio a scansione, non consistenti con l’apparenza delle particelle di gesso che solitamente sono frastagliate”, ha detto Michael Hecht, responsabile del MECA al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.

La missione Phoenix, prevista all’inizio per una durata di 3 mesi, è ora nel suo quinto mese. Consideriamo comunque che la sonda sta andando incontro ad una progressiva diminuzione dell’energia disponibile che restringeranno le attività fino alla definitiva interruzione entro la fine dell’anno.
Prima della perdita totale di energia verrà tentata l’attivazione del microfono per ascoltare i rumori di Marte.

“Per circa tre mesi dall’atterraggio il Sole non è mai sceso sotto l’orizzonte sul nostro sito di discesa”, ha detto Barry Goldstein project manager di Phoenix al JPL. “Ora sparisce oltre l’orizzonte per 4 ore ogni notte e la potenza che scaturisce dai pannelli solari sta diminuendo settimana dopo settimana. Prima della fine di ottobre l’energia non sarà più sufficiente per muovere il braccio robotico”.

La situazione meteo del Sol 112 era la seguente:
Temperatura massima -35°C
Temperatura minima -90°C
Pressione 7,43 mBar
Legermente nuvoloso con brina mattutina e dust devil nel pomeriggio.

La prima immagine generata con le riprese del Mars Global Surveyor, mostra il punto di discesa di Phoenix: 68,2° latitudine nord e 234,2° longitudine est.

La seconda è ripresa nel microscopio ottico ed ha una larghezza totale di 2mm. Rappresenta i granuli che compongono il terreno marziano, mediamente di circa 1/10 di millimetro di diametro raccolti in un punto magnetico della ruota di distribuzione dei campioni. Questo dimostra che i granuli sono più attivi magneticamente della polvere fine.

Foto: NASA/JPL.

Oggi sul sito del “Corriere”, si dice che alla fine di ottobre Phoenix, “oramai vicina al polo nord marziano” dovrà “rientrare” (sulla Terra?) per la perdita di potenza :fearful:
E’ possibile fare errori simili? :facepunch:

Ascoltare per credere (il pezzo è alla fine):

Ma come non lo sai? Phoenix può muoversi trascinandosi, metro per metro, col braccio scavatore…

Non mi stanco mai di elogiare questi fior-fiori di giornalisti :clap:

ma dai… è il pianeta che ruotando si avvicina a phoenix! :grin:
comunque pensare alla neve che scende dalle nubi di marte mi fa rabbrividire :clap:

“…quando il sole invernale perderà la sua potenza.”

E’ il sole che perde la sua potenza :astonished:, non carbura più si è intasato, avrà fatto il tagliando?

Non faccio altro che sfondare porte aperte, non mi sorprenderò più se il 3 gennaio uscirà un articolo senzazionalistico dal titolo: “La terrà oggi si trova più vicina al sole, però fa freddo. Ecco la prova dei cambiamenti climatici!”