Dopo attenta lettura, vi presento la mia personale recensione al lavoro di Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia.
Pregherei di continuare l’eventuale discussione in questo thread, visto che quello esistente è decisamente stracolmo.
Invito tutti all’uso di uno spirito costruttivo e obiettivo, come si conviene ad appassionati di scienza ancor prima che di astronautica.
Buon divertimento.
In questa recensione parleremo del volume “Dossier Sputnik – Questo il mondo non lo saprà”, un corposo tomo di circa 450 pagine di Achille e Giovanni Battista Judica Cordiglia, edito da Minerva Medica – Edizioni Vitalità. Prezzo € 19,00.
L’opera verte principalmente sul racconto degli autori, che ci parlano in prima persona e con dovizia di particolari delle loro attività di radioascolto, condotte a Torino in un vecchio bunker della seconda guerra mondiale ribattezzato “Torre Bert”. Dagli inizi in una soffitta della loro casa di Erba (LC) utilizzando residuati bellici, fino al trasloco a Torino, passo dopo passo si dotarono di diversi apparati ricevitori, potendo così ascoltare, ed in seguito registrare, diverse frequenze radio contemporaneamente.
Poi ecco il “colpo di fulmine” per lo spazio: il lancio di Sputnik 1 il 4 ottobre 1957, e l’annuncio pubblico delle frequenze radio su cui il “bip – bip” del primo satellite artificiale della storia sarebbe stato trasmesso (20,005 mhz e 40,002 mhz), spinse Achille e Giovanni Battista a dirigere per la prima volta le loro antenne verso il cielo, e a mettersi in ascolto.
Ebbe inizio così un’appassionante sequenza di cronache dei radioascolti effettuati in corrispondenza di ogni lancio, soprattutto d’oltrecortina. Le onde radio provenienti dall’Unione Sovietica, la grande superpotenza tanto amante dei suoi segreti e da sempre agente di disinformazione, erano comprensibilmente la preda più ambita. Si ricevevano frasi, codici, frammenti morse, e i fratelli JC registravano tutto quanto riuscisse a sfuggire a quel muro di segretezza tanto impenetrabile dai mezzi di comunicazione tradizionali.
Venne anche scoperto che le varie stazioni di ricezione a terra, disseminate per il territorio sovietico, si “coordinavano” trasmettendo spezzoni di un brano musicale nelle ore prossime ad un lancio. Quando questa vera e propria sequenza musicale veniva completata, un brano per ogni stazione della catena, per Achille e Giovanni Battista scattava il momento di attivare tutti i registratori e di calibrare la direzione delle antenne, perchè il lancio era davvero questione di poche ore. E la maggior parte delle volte, puntualmente, venivano ricevuti segnali dallo spazio; dalla telemetria alle voci di bordo.
La possibilità, rarissima se non unica a livello nazionale per quei tempi, di disporre di un buon numero di apparati di ricezione, di riuscire a procurarsi il materiale per autocostruire le antenne, e di registrare quanto ricevuto su nastro magnetico, fece balzare i due fratelli e la loro strana attività dapprima alle cronache dei giornali locali, e successivamente attirò l’attenzione delle agenzie di stampa nazionali, in particolare l’ANSA.
Via via che le intercettazioni radio aumentavano di numero, anche grazie ad alcune trovate tecniche davvero ingegnose, i giornalisti dell’epoca capirono che restando nei pressi di Torre Bert si poteva potenzialmente disporre di materiale su un argomento “caldo” e d’attualità come la corsa allo spazio diverse ore se non giorni prima dei laconici comunicati stampa ufficiali della TASS.
Tornati da un viaggio negli Stati Uniti, per incontrare degli esterrefatti e ammirati dirigenti NASA, gli autori si impegnarono in diverse migliorie e cambiamenti alla stanza di ascolto di Torre Bert. I banchi dove erano disposte le apparecchiature vennero ricostruiti e “customizzati” a guisa di quelli visti oltreoceano, nel centro di controllo missione di Houston. Furono anche costruiti due giganteschi e scenografici pannelli (“orbitometri”), che dotati di una schiera di lampadine, davano l’impressione che lo staff della stazione fosse in grado, tramite la semplice ricezione di segnali radio, di seguire e tracciare la posizione dei satelliti, mostrandoli al pubblico presente accendendo in sequenza i bulbi luminosi. Un occhio di riguardo fu prestato all’abbigliamento: Achille, Giovanni Battista, e tutti gli altri collaboratori che nel frattempo si erano aggiunti per coprire vari turni di sorveglianza, vestivano sempre in camice bianco, dando al tutto un “look & feel” ancora più professionale. All’impresa si affiancò anche la sorella dei due autori, che studiò e si impratichì con il russo tanto bene da poter tradurre le trasmissioni provenienti dal cosmo. Più tardi le venne affiancata anche una traduttrice professionista, transfuga dall’ex Germania Est.
Ecco quindi completato il meccanismo efficiente e ben oliato: ad ogni intercettazione partiva una telefonata da Torre Bert verso diversi giornalisti, ormai sempre all’erta sulle notizie provenienti dal centro di ascolto torinese, nella quale si dettava un vero e proprio comunicati stampa. I cronisti accorrevano a Torre Bert per poi riportare tutto sulle loro cronache. Un meccanismo, si diceva, dai risultati esaltanti: sempre sulle prime pagine, anche del Corriere della Sera. Mantenere questo livello di attenzione era fondamentale, cosa difficile con il routinario susseguirsi di lanci andati a buon fine.
Fin qui il racconto di una straordinaria avventura giovanile, che regalò ai suoi protagonisti celebrità e soddisfazioni.
Giunti alla lettura di tre quarti del volume, ancora però non si trova alcuna traccia significativa delle famose “intercettazioni” dei Lost Cosmonauts. E allora in cosa consiste il dossier promesso dal titolo? La risposta si trova a pagina 327. Finalmente da quel punto si parla di cosmonauti mai tornati dal loro viaggio nello spazio, e si elencano diversi episodi a supporto:
→ 28/11/1960 – Presunto messaggio in codice morse in lingua inglese ricevuto da un oggetto in allontanamento dalla Terra: “SOS to the whole World”. Il messaggio pare ripetersi regolarmente, anche se affievolito, fino al 30/11. L’intercettazione è attribuita ad una capsula manned sovietica. Frequenza non dichiarata. Apparato ricevente non dichiarato.
→ 02/02/1961 – Presunto battito cardiaco e respiro affannoso intercettato alle 20.25. Frequenza non dichiarata. Apparato ricevente non dichiarato.
→ 16-23/05/1961 – Presunto doppio lancio, una capsula con due astronauti, un’altra con un solo occupante. Per uno dei veicoli, occupato pare da una donna di nome Ludmila (citano loro registrazione), accende i razzi frenanti all’inverso, sfuggendo in un’orbita più alta (cfr pag. 383). Frequenza non dichiarata. Apparato ricevente non dichiarato.
→ 14/10/1961 – Presunta breve intercettazione di un cosmonauta perito in missione. Frequenza non dichiarata. Apparato ricevente non dichiarato.
→ Altri episodi, meno precisi nella descrizione del contesto, tranne per il “Polyot 2”, le cui frequenze sono state comunicate dalla TASS (19.895 Mhz), le frequenze non sono dichiarate, così come l’apparato ricevente.
Concluso il capitolo, che in totale copre un centinaio di pagine (meno di un quarto del totale!), la delusione comincia a farsi spazio. Soprattutto quando lo sguardo cade sul paragrafo di chiusura della parentesi dedicata ai Lost Cosmonauts. Partiamo dal titolo, una vera sfida alla curiosità del lettore: “Essere un po’ vili per starsene tranquilli…”. Ed il breve pamphlet che ne segue, riportato parzialmente qui di seguito, (senza intenzione di violare alcun copyright), è piuttosto autoesplicativo.
“Sono trascorsi alcuni decenni dai fatti narrati. Oggi America e Russia (già... “Russia”, oggi si chiama nuovamente così) sembra collaborino attivamente nelle ricerche spaziali. Perché “sembra”? perché un vecchio proverbio dice che il lupo perde il pelo... Chi ha seguito le frammentarie notizie della tragedia del sottomarino nucleare Kurks sa bene di cosa stiamo parlando. Intanto di coloro che sono stati spediti lassù e là sono morti non si sa più nulla: vicende smentite o addirittura esistenze negate. Invece, no. Non è così, ma non ci interessa ripercorrere ciò che crediamo dì aver ampiamente dimostrato. Ciò che è ingiusto è quel velo di silenzio, un silenzio non rispettoso e commosso, un silenzio senza pensieri nè pietà. Lassù sono morti degli esseri umani ... Fino ad oggi abbiamo tenuto per noi quanto abbiamo raccontato in queste pagine, perché i fatti erano troppo recenti e avrebbero generato forse nuove paure: il lupo.... Alcuni hanno negato i nostri ascolti, seppur spesso, molto spesso, confermati “in automatico” — si direbbe oggi — dagli annunci ufficiali di missioni umane nel Cosmo. Chi negava non aveva visto né sentito, il più delle volte non ci conosceva neppure, ma negava per non ammettere, per non soffermarsi a pensare, per ignorare emozioni o paure, per negarsi a una realtà scomoda: dire “ non é vero” era l’unico modo per cacciar via dai propri sogni inquieti il volto di quegli uomini. Insomma essere un po’ vili, per starsene tranquilli. “
Riesce difficile però, nonostante quanto dichiarato dagli autori, ricordare dove, esattamente, in quest’opera si leggano le “ampie dimostrazioni”. E non capiamo chi sia classificabile come “vile”.
Riguardo i fatti esposti in questo libro abbiamo alcuni elementi di certezza, che pare corretto esporre immediatamente: i fratelli JC erano sicuramente abilissimi radioamatori, molto competenti e capaci di ottenere il massimo dalle apparecchiature a loro disposizione. Siamo certi che siano avvenute molte intercettazioni di veicoli americani e russi. Gli autori seppero mettere a frutto il loro ingegno e il loro entusiasmo per adattare o costruire apparati di radioascolto eccellenti.
D’altro canto, i fratelli JC erano e sono tutt’ora abilissimi comunicatori. Un’arte acquisita negli anni di attività di Torre Bert, quando stati capaci di sfruttare al meglio l’ondata di interesse mediatico rovesciatasi sul loro centro di ascolto, investendo moltissimo in “immagine”. Dopo lo spegnersi dell’interesse e del ricordo su quelle vicende, i due autori non sono certo stati in silenzio, visto il loro comparire in diversi documentari, di cui uno recentissimo trasmesso da History Channel Italia, e poi in diverse altre iniziative, fino ad arrivare alla pubblicazione di questo volume.
Per quanto riguarda la parte dedicata a “coloro che non tornarono”, i fatti esposti non ci appaiono credibili. Il libro però non supera l’esame di una lettura “laica” e attenta, condotta con un sincero spirito di interesse storico. Troppe cose non tornano, al lettore che conosce un poco la storia del programma spaziale sovietico. E se si cercano prove da approfondire, si resta con un pugno di mosche. Vediamo brevemente perché, basandoci esclusivamente sul commento dei fatti presentati nell’opera.
Innanzitutto dobbiamo considerare il contesto in cui la vicenda si sviluppa: anche se le intercettazioni “rubate” all’etere comunista erano manna dal cielo per i giornali nazionali e non, certamente anche anche per la vicenda di Torre Bert arrivò il momento in cui la curva di interesse del pubblico prese la china discendente. Forse sorse il bisogno di sfornare qualche novità pesante per mantenere alta l’attenzione dei media, e la disponibilità in archivio di alcune intercettazioni curiose, furono gli ingredienti che uniti alla giusta dose di mistero e alla vergognosa disinformazione di parte sovietica, avrebbero rappresentato una ricca pietanza in un periodo come quello della guerra fredda. Ma queste sono soltanto ipotesi senza supporto di fatti, speculazioni personali del recensore.
Tornando al volume in analisi, balza subito agli occhi la mancanza di qualsivoglia dato tecnico che sia non solo utile ai fini storici, ma anche valutabile da altri radioamatori. Sono riportate solo le date delle intercettazioni, ma anche dopo quattro decenni gli autori non si sentono di rivelare le frequenze esatte. Perché? Nulla anche sui dettagli dei ricevitori impiegati; o sulla tecnica di calcolo delle antenne auto costruite.
Gli autori non rispondono mai con fatti e documenti chiari alle numerose analisi compiute negli anni alle affermazioni degli autori, riportate su varie fonti, da parte di esperti di radio come Sven Grahn o di esperti storici come James Oberg o Asif Siddiqi.
Alcuni fatti vengono inoltre narrati con alcune macroscopiche inesattezze.
A pagina 338, a conclusione dell’intercettazione del 28/11/1960, gli autori affermano di aver ricevuto un segnale di SOS in codice morse, trasmesso in lingua inglese (non trovate straordinariamente crudele che il cosmonauta morente trovi questo modo subdolo di vendicarsi dei superiori che lo hanno mandato a morire?), proveniente da un oggetto lanciato nello spazio da territorio russo, ed in fase di allontanamento dalla Terra. La durata delle ricezioni era più prolungata del solito, e questo comportamento veniva all’orbita “allungata” che il veicolo spaziale avrebbe percorso in seguito all’accensione in direzione sbagliata dei razzi frenanti, normalmente utilizzati per far ricadere una capsula dall’orbita nell’atmosfera terreste. A parte l’inspiegabile uso della lingua inglese, mi pare ovvio che l’accelerazione eventualmente impressa dal “back pack” non potesse essere sufficiente a imprimere la velocità di fuga dall’orbita terrestre. Ovviamente le tempistiche esatte, la durata di queste “finestre di ascolto”. I dettagli sulle tempistiche sono scarse e non offrono indicazioni (cit. “la ricezione si protraeva per una durata maggiore di quella che solitamente avveniva. Superava di gran lunga i dieci, quindici minuti tipici di un veicolo in rotazione attorno alla Terra e che transiti allo zenit della stazione”, sic), e le frequenze precise non vengono comunicate.
Passiamo ora all’analisi sommaria dell’intercettazione del presunto doppio lancio di capsule manned russe, missione durata ben 7 giorni, dal 16 al 23 maggio 1961. Gli autori affermano di aver identificato tre esseri umani, a bordo di due capsule. Tutto questo ad appena un mese dal lancio di Gagarin. Ed è proprio da questo episodio che è stato tratto uno dei due soli spezzoni mai divulgati al grande pubblico delle intercettazioni, quello riguardante la presunta cosmonauta battezzata Ludmila. Questa donna sarebbe morta (cfr pag 303, riga 2 e 3) durante la fase di rientro in atmosfera, a causa della distruzione del veicolo causata dello scorretto angolo di attacco, troppo ripido. Lo stesso si afferma nel sito lostcosmonauts.com. Ebbene, solo qualche riga più sotto, nella stessa pagina, gli autori riportano alcuni brani di un intervista da loro concessa nel corso del programma “Enigma”, il 7 febbraio 2003. G.B.J.C. afferma che “… i razzi frenanti, funzionando al contrario, avrebbero addirittura accelerato il veicolo”. Tutti sappiamo che accelerando un veicolo in orbita, non si fa altro che aumentare l’altezza dell’orbita stessa. Come questo possa causare il burnup in atmosfera della capsula lo dovremmo far spiegare agli esperti di dinamica orbitale. Resta anche da chiarire come da quella serie di intercettazioni radio, di cui sono stati divulgati solo per pochi secondi, si possa intuire che sia in corso un’accellerazione della navicella.
Non è possibile infine non citare il pessimo apparato iconografico a corredo di quest’opera: le immagini presenti nel volume sono riprodotte a bassa risoluzione e in bianco e nero, nessuna di queste supera la dimensione di 7x5 cm, rendendo di fatto impossibile discernere i dettagli delle apparecchiature e delle antenne, o dei documenti fotografati.
La scelta di stampare questi veri e propri “francobolli” lascia alquanto perplessi: non sarebbe stato opportuno per gli autori rinunciare alla stampa di tante foto piccole e ridondanti, e corroborare invece le proprie tesi con due o tre scatti a tutta pagina? Perchè non chiudere la bocca ai “detrattori”, ai “vili” citati nel libro, con il disegno commentato di qualche antenna, o la foto di apparato di ricezione, o ancor meglio delle “striscie” stampate dall’esame fonocardiografico dei segnali del presunto cosmonauta perito nel cosmo?
Inoltre, di nessuna foto è riportata la fonte: per alcune è ovvia la provenienza dagli archivi personali degli autori, ma per altre, tra cui sei immagini del volto dei presunti cosmonauti morti in volo, nulla si sa sulle fonti.
Non esiste un apparato bibliografico, non sono riportate note a margine di alcun genere che possano ispirare il lettore ad una ricerca più approfondita.
Un altro particolare della storia che ci ha lasciato perplessi è quello che riguarda l’interessamento di un ufficiale dei servizi segreti italiani al lavoro di intercettazione. Non è tanto la visita del funzionario di Stato a casa JC a lasciare dubbioso, anzi, è ragionevole che sia avvenuta. Quello che è strano è che gli autori non si ricordino se avessero consegnato o meno un corposo dossier richiesto dallo stesso ufficiale, che a quanto è scritto nel libro, pretese una relazione documentata di tutte le attività condotte al centro di Torre Bert, ivi comprese frequenze e tempistiche dettagliate e descrizione degli apparati in uso, e che in altre occasioni si portò via degli originali fotografici. Se riceveste la visita di uno 007, e gli consegnaste del materiale addirittura in originale, non ricordereste lucidamente tutti i dettagli?
Rinunciamo completamente ad un’analisi approfondita del contesto storico, perché non può essere inserita in questa recensione senza trasformarla in un romanzo parallelo.
Rimangono perciò aperte diverse domande senza una risposta. Ne accenniamo solo alcune, per stimolare la riflessione del lettore.
→ Perché nessuna intercettazione fu riscontrata da fonti altre fonti, americane e non?
→ Perché in nessuna intercettazione dei presunti Lost Cosmonauts si sente pronunciare chiaramente la parola “korabl” o si fa riferimento chiaro a qualche strumentazione di bordo?
→ Perché le autorità scientifiche e politiche sovietiche, con un programma ufficiale già ben avviato e coronato da diversi successi, hanno aspettato di accumulare qualcosa come 14 morti e un ferito grave prima di interrompere il programma in cui perirono i Lost Cosmonauts?
→ Visti i precedenti disastrosi, perché il volo di Gagarin fu annunciato mentre Yuri era ancora in volo?
→ Perché episodi come quello legato alla morte del maresciallo Nedelin o all’impresa lunare mancata sono trapelate dalle maglie delle autorità russe e invece non un solo foglio di carta, non un solo tecnico ha ancora testimoniato in favore di questa teoria?
→ Che fine ha fatto il materiale che consentirebbe di dare una risposta non ambigua alla questione Lost Cosmonauts come filmati, disegni, documenti tecnici, frammenti di lanciatori o veicoli, tute pressurizzate, infrastrutture di lancio?
→ E per finire, dove sono i nastri contenenti ore e ore di registrazione dei Lost Cosmonauts? Perchè non vengono pubblicati e messi a disposizione di esperti radiofonici e interpreti? Chi le ha ascoltate? Ne esistono delle copie?
E’ un peccato che gli autori non abbiano colto l’occasione di questa pubblicazione per inserire un piccolo CD a corredo, dove finalmente fosse possibile ascoltare qualcosa di meglio di quanto messo a disposizione fino ad oggi. Cosa di meglio per sbugiardare tutti noi sciettici?
Nel libro gli autori accennano spesso alla mole enorme di materiale registrato in loro possesso.
Si sarebbe potuto anche realizzare un sito Internet legato alla pubblicazione del libro, investendo una cifra che non arriverebbe che a poche centinaia di euro, dove accumulare files audio e documenti fotografici a risoluzione maggiori di quella di un bollo di Posta Prioritaria.
Concludiamo, consigliando l’acquisto del volume a tutti i curiosi, e a chi diffida o è rimasto disgustato da questa recensione o a chi vuole semplicemente farsi una sua idea personale.
L’acquisto è invece sconsigliato a chi si sia illuso di trovarci nuove rivelazioni riguardanti tecnica, materiali, frequenze e condizioni nelle quali si sono svolte le registrazioni.
Pensandoci bene, in effetti è solo restando vaghi che sarà possibile alimentare ancora per molto tempo il mito dei Lost Cosmonauts.