Ricerca, scappano i cervelli tornati in patria

Non ho parole :rage:

Ci torna sopra un attento osservatore delle dinamiche dell’IT e della ricerca. A sei anni dal programma per il rientro in Italia dei ricercatori fuggiti all’estero, il panorama è peggiore di quel che si può immaginare
Roma - Egregia redazione, sul tema del rientro dei cervelli, su cui ho avuto l’occasione di intervenire qualche tempo fa, vi invio un aggiornamento. Molti di quelli che lavorano nella ricerca ricorderanno il famoso programma per il rientro dei cervelli iniziato dal governo italiano intorno al 2001 fra l’era Berlinguer e l’era Moratti (non si può quindi dire che non fosse un obiettivo condiviso da entrambi gli schieramenti). Molti applaudirono, pensando alle frotte di fisici, medici, biologi e ricercatori vari che sarebbero finalmente rientrati in Italia dal mondo intero per apportare il loro contributo scientifico ai nostri atenei e centri di ricerca.
Che ne è di questo programma a distanza di 6 anni? Come spesso accade, da noi non se ne è parlato molto. È di ieri un articolo apparso su Nature che illustra la situazione. Riassumendo, il programma sta fallendo perché il diavolo… pardon, il Ministero ha fatto le pentole ma non i coperchi. Allora: quelli che all’epoca affluirono nel nostro paese per usufruire dei 3 milioni di euro destinati a finanziarne la ricerca, si trovano oggi senza lavoro, senza un contratto né una prospettiva, con un’anzianità maturata all’estero che non viene riconosciuta, anche laddove i risultati di ricerca siano eccellenti.
L’articolo attribuisce la responsabilità di ciò in parte alla crisi finanziaria, ma anche alle università che sono bloccate dal dovere di rispettare graduatorie che non prevedono l’eventualità di arrivi “esterni al sistema”, e al Consiglio Universitario Nazionale che ha decretato che solo chi era già professore anche all’estero può mirare a una cattedra da noi (con un paradosso simile alle aziende che assumono solo personale giovanissimo ma con lunga esperienza).
Ovviamente, le suddette frotte di ricercatori (che non sono poi comunque tanti ad esserci cascati, perché “cca nisciuno è fesso”) stanno già guardandosi intorno e cercando la prossima università (estera) che preferirà guardare al loro curriculum piuttosto che lasciarsi annegare fra graduatorie e burocrazia.
È inutile, non c’è verso: all’Italia avere ricercatori in gamba proprio non interessa (vedere anche la storia del ricercatore russo cacciato dalle difficoltà della Bossi-Fini.
Sotto con nani e ballerine, scatole da aprire e cosce lunghe, giusto quello ci meritiamo.

http://punto-informatico.it/p.aspx?id=1884302&r=PI

Il problema secondo me è un groviglio di diversi fattori e responsabilità. Tra cui:

  • Un sistema universitario ancora in troppi atenei fondato sulla baronìa e su uno scambio di personale/materiali/progetti tra università ed aziende insufficiente e visto - in parte - dall’università come un obbligo;

  • Lo stipendio medio di un dottorando di ricerca si aggira su circa 800€ mensili, sufficiente per far scappare all’estero non solo i migliori cervelli, ma anche buoni studenti determinati;

  • Le prospettive dei dottori di ricerca non sono ottime, in quanto le aziende non riconoscono - ameno la maggior parte - a livello monetario, la preparazione di un ricercatore rispetto ad un comune laureato (cosa che invece avviene negli Stati Uniti e in molti paesi europei);

  • I posti riservati a dottori di ricerca e conseguenti contratti non sono adeguati ad un paese che vorrebbe eccellere nella tecnologia, come ha fatto per centinaia di anni, pur in situazioni storiche differenti;

  • Gli investimenti sono inadeguati, sia da parte dello stato e degli enti preposti (si vedano le lamentele dei rettori nelle finanziarie dello scorso governo e di questo, oltre alle dimissioni in massa di interi cda e consigli scientifici) sia da parte dei privati; ovviamente dove non c’è ricerca non ci sono nemmeno cervelli, quindi o controllo di qualità o estero, anche se esistono isole felici (Ferrari, ma non solo…)

  • Dulcis in fundo: a mio parere i piani per il rientro dei cervelli si sono sempre appoggiati su fondi una tantum e progetti di ricerca brevi, senza affrontare una vera riforma del sistema università/impresa e della ricerca, mentre si continua a mettere mano a quell’orribile nuovo ordinamento didattico, che crea (parlo per esperienza personale) studenti meno preparati dei colleghi trentenni. Quindi, se non ci sono le condizioni perchè non emigrino nuovi cervelli, tanto meno ci sono per un rientro dei più preparati.

  • Un’altra cosa: l’enorme lassismo dell’unione europea di fronte ad una politica di ricerca comune, mentre si permette alle aziende di creare - in modo pure democratico - centri di ricerca in Cina, mentre in USA si proteggono a suon di decreti le proprietà intellettuali e le importazioni.