rientro e iniezione di acqua

Come noto durante la fase di rientro, a causa delle alte velocità e dell’attrito che conseguentemente si verifica con l’atmosfera, il veicolo spaziale viene ad essere circondato da un campo ipersonico dove la ionizzazione dell’aria impedisce le comunicazioni con i centri di controllo a terra. Ai tempi del programmi Gemini, ci si era subito chiesti se poteva esserci un modo per poter attenuare questa perdita di segnale e quindi poter ricevere segnali dalla capsula anche durante il periodo di blackout. Sarebbe stato molto importante raggiungere questo obiettivo, perché avrebbe permesso di poter tracciare meglio la discesa della capsula in un momento in cui bisogna prestare la massima attenzione ai dati di navigazione e guida.

La soluzione pensata dagli ingegneri NASA fu quella di utilizzare un dispositivo che iniettasse acqua, secondo dei cicli programmati, direttamente nel flusso ionizzato che circondava la capsula. I primi risultati sperimentali, dimostrarono che era più che sufficiente iniettare acqua nella zona circostante le antenne per la comunicazione (antenna in banda VHF per dati e voci, antenna in banda C per dati), contenendo così il volume di liquido da trasportare. Il calcolare quanta acqua si dovesse impiegare, la durata di ciascun ciclo, il tempo di attuazione di ciascun ciclo, la portata di liquido da utilizzare per ogni ciclo, non era cosa facile.

Il problema da risolvere riguardava il diluire la concentrazione di elettroni nel flusso che circondava la capsula, in modo da permettere ai segnali di passare. Per ogni lunghezza d’onda c’è un valore di concentrazione di elettoni Ne al di sopra del quale il segnale non puo passare. Ad esempio per i segnali in VHF, tale concentrazione è pari a 10^9elettroni/cc. L’iniezione di acqua doveva avere una portata e durata tale da garantire una ‘coperta’ larga, profonda e lunga, tale che le antenne venissero a trovarsi in un flusso con una bassa concentrazione di elettroni, così da poter appunto trasmettere/ricevere. Mediante prove in gallerie del vento e modelli matematici, si riuscì a determinare tutti i parametri riguardanti l’iniezione di acqua. Il dispositivo venne quindi realizzato e montato sulla GT-3 (Young e Grissom) in un vano completamente indipendente dagli altri impianti di bordo, se non dall’impianto elettrico. Il dispositivo veniva azionato dal pilota del lato DX.

I risultati che si ottenero furono interessanti:

  1. si constatò come alle alte quote il dispositivo riusciva effettivamente a migliorare la ricezione dei segnali VHF. Al di sotto di una certa quota, però, il dispositivo diveniva inefficacia a causa della maggiore concentrazione di elettroni dovuta all’aumento di densità dell’aria.
  2. si riuscì per tutta la durata del blackout a trasmettere in banda C
  3. si vide come per bassi angoli di attacco il sistema diventava meno efficace. Durante il rientro, la capsula volò con un angolo di 9°, ben al di sotto dei 15° nominali previsti dal piano di volo, e questo portò ad avere dei valori inferiori a quelli stimati con i modelli matematici.
  4. si capì che il materiale sublimato dallo scudo termico aveva un effetto peggiorativo sul sistema, in quanto portava ad aumentare la concentrazione di elettroni nel flusso.

Il fenomeno fisico alla base di questo sistema, risiede nella combinazione di ioni e elettroni nel flusso iniettato di acqua.

In questa immagine è rappresentata la posizione del vano contente il dispositivo per iniettare l’acqua e la posizione delle antenne.

In figura è rappresentata una schematizzazione del campo aerodinamico che circonda la capsula al suo rientro. Come si può vedere dalla immagine più in alto, l’onda d’urto curva è molto più vicina alla capsula nel lato sovravento che non in quello sottovento. Questo fa si che flusso in viscido nella zona sovravento sia attaccato alla superficie mentre quello in sottovento sia separato e quindi turbolento. Come si vede in figura, gli ugelli del dispositivo erano disposti nel lato sovravento in modo che il flusso di acqua potesse rimanere il più aderente possibile alla superficie e riuscire a raggiungere l’antenna VHF che si trovava proprio all’estremità anteriore della capsula.

In figura è mostrato uno schema dell’impianto del dispositivo di iniezione

In figura sono mostrati gli ugelli per iniettare l’acqua nel flusso. Sono di tre tipi, questo perché ogni ciclo di iniezione (12 in totale) prevedeva 3 iniezioni a alta, media e bassa portata

In figura è mostrato il dispositivo installato nel vano della capsula

Veramente interessante!! Non ne ero a conoscenza (anche se, lo ammetto, delle capsule Gemini non mi sono mai molto interessato). Che tu sappia questo sistema è stato utilizzato anche su altre astronavi (Apollo o dai russi?).

Non ne avevo mai sentito parlare,veramente interessante!Essenzilmente serve (a quanto ho capito) più a tracciare la capsula al rientro (per fornire dati anche per il recupero penso) più che per mantenere i contatti con l’interno della capsula.

A dir il vero non so se il sistema sia stato utilizzato anche per le Apollo o per altre capsule Gemini…sono curioso anche io comunque e al più presto vi farò sapere i risultati della ricerca. Così a occhio direi che non è stato più usato, perchè non ricordo di aver visto un simile dispositivo negli schemi del CM.

Alla fine si penso che il sistema dovesse servire più a ricevere dati riguardanti la discesa della capsula, piuttosto che a parlare con gli astronauti…anche perchè non so che si doveva dire :wink:

Comunque mi rifarò vivo sull’argomento.

E non si finisce mai di imparare…
Grazie SivoDave per queste info interessantissime che proprio non conoscevo. :wink:

Ottimo Sivodave!! :smiley:

Quando ho disegnato le capsule Gemini mi sono imbattuto, piuttosto spesso, nelle varie foto che ho usato come “reference” in quegli strani fori.

Io li avevo scambiati per dei connettori elettrico/dati… :flushed:

Interessantissimo. Avrebbero potuto applicarlo sulla Galileo, che credo abbia avuto il rientro più critico di tutta la storia dell’astronautica con in suoi 49 km/s. Anche lì ci fu un periodo di black out nell’alta atmosfera di Giove.

Un saluto
Quaoar