Cari amici appassionati di esplorazione umana dello spazio,
grazie per l’attenzione e l’entusiasmo dimostratomi! Non e’ accidentale che un italiano sia stato coinvolto in questo progetto pioneristico…come italiani abbiamo una buona reputazione come…esploratori! Meglio cosi’, no?
In queste poche righe, cerchero’ di darvi un resoconto della mia esperienza come modello per questa avveniristica tuta e qualche breve commento sul perche’ studi come questo sono importanti per il futuro dell’uomo nel sistema solare…
Prima di tutto, cerchiamo di dare qualche breve cenno di teoria sulla progettazione di tute spaziali in genere.
Obiettivo generale di ogni tuta - sia spaziale che planetaria - e’ quello di tenere in vita l’astronauta, consentendo al medesimo tempo la piu’ ampia gamma di movimenti possibile. La tecnologia attualmete disponibile permette di raggiungere tali principali obiettivi con il mantenimento di un volume costante all’interno della tuta. Per compiere anche il piu’ semplice movimento in questo ambiente chiuso ed isolato dal mondo esterno e’ necessario compiere un lavoro, cioe’ applicare una certa forza nella direzione desiderata. Questi sforzi e queste azioni possono causare ed in effetti causano - quando protratti per ore - un serio affaticamento. Ogni progetto di tuta spaziale o planetaria vuole minimizzare il suddetto tipo di problema.
La soluzione oggi comunemente adottato e’ quella di costruire la tuta in piu’ strati, il primo dei quali e’ fatto di gomma, di lattice. Le altre coperture (anti meteoriti, radiazione, termiche, anti polvere e cosi’ via) sono meno larghe dello strato di lattice (che funziona come un pallone che viene gonfiato).
Ora, siccome i rivestimenti esterni della tuta sono piu’ stretti del lattice interno, sono propri questi strati esterni che subiscono la maggiore pressione causata dai nostri movimenti. Per agevolare tali azioni, le tute sono progettate con un gran numero di spicchi, i quali - quando la tuta e’ completamente pressurizzata (con una pressione di parecchie atmosphere) - permettono all’astronauta di compiere movimenti. Con questo stratagemma il volume e’ tenuto costante all’interno della tuta e l’astronauta puo’ svolgere i compiti assegnati e quelli eventuali previsti nella sua missione.
Attualmente tre tipi di approccio sono seguiti nella costruzione di tute spaziali: guscio duro (tuta interamente fatta di parti dure interconnesse in giunti meccanici), approccio misto (con parti dure e flessibili) ed infine tute aderenti alla pelle (ancora teoriche, dove la testa dell’astronauta e’ pressurizzata normalmente, mentre il resto del corpo e’ tenuto sotto pressione dall’effetto elastico del rivestimeno a diretto contatto con la pelle). I vantaggi di tale approccio sono nell’eliminazione del problema del volume costante e la riduzione del pericolo di improvvise perdite di pressione (che possono portare all’implosione dei polmoni dell’astronauta). Problema comune a tutte le tute finora costruite e’ l’impossibilita’ di girare il collo naturalmente. Ci si deve spostare con tutto il corpo per guardare di lato.
Le moderne tute spaziali sono dirette discendenti delle tute ideate per i voli ad alta quota (21 km) usate per esempio negli aerei spia americani durante la Guerra Fredda, come i famosi U-2 od il primo aereo-razzo a raggiungere i margini dell’atmosfera terrestre (il leggendario X-15, antesignano della recente Spaceship One genialmente progettata e costruita da Burt Rutan in California).
Per ulteriori approfondimenti sulla progettazione di tute spaziali consiglio a chiunque di procurarsi l’eccellente libro scritto da Gary Harris, guru americano del settore
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Migliore enciclopedia online che parla di tutte le tute note al pubblico…
http://www.astronautix.com/craftfam/spasuits.htm
La tuta sviluppata presso l’Universita’ del North Dakota dal team di ingegneri e ricercatori sotto la guida di Pablo de Leon e Gary L. Harris grazie ad un finanziamento diretto della NASA dell’ammontare di poco piu’ di 100000 dollari
http://www.thespaceshow.com/detail.asp?q=439
http://www.thespaceshow.com/detail.asp?q=445
e’ un tipo ibrido di tuta con parti dure e parti flessibili. Il torace e l’elmetto costituiscono le parti dure della tuta, mentre il resto del corpo e’ protetto e coperto da una tuta composta di una serie di strati, a partire dal lattice interno fino a vari strati intermedi ed esterni in un tessuto fatto di…kevlar!
Inizialmente si voleva separare la pressurizzazione dell’elmetto da quella della restante parte del corpo…ma qualche ritardo e la mancanza di ulteriori finanziamenti non hanno consentito il tempo materiale di costruire le parti necessarie. Di sicuro questa e’ un opzione che sara’ affrontata in una eventuale (e necessaria) tuta di seconda o terza generazione.
Questo prototipo di tuta pensata, ideata e costruita per un ambiente polveroso, corrosivo e accidentato come quello Marziano e’ stata progettata specificamente per il sottoscritto…in ultima analisi grazie al lavoro certosino e meticoloso di giovani ingegneri aerospaziali come Mark Williamson la tuta si’ e’ dimostrata non solo piuttosto comoda e manegevole, ma anche in qualche modo elegante e calzante. E’ come se fossimo tutti andati dal sarto.
Official Mars Suit Website www.human.space.edu
Mars Suit Blog http://spacesuitlab.blogspot.com/
La tuta in questione e’ un prototipo appositamente pensato, progettato e realizzato per un ambiente di tipi marziano, caratterizzato da bassa pressione atmosferica (solo 1-2% di quella terrestre) e polvere abrasiva ossidante (si pensa anche carica elettricamente). Ecco perche’ la nostra tuta e’ diversa da quelle che vediamo usare dagli astronauti in orbita nelllo Space Shuttle e nella Stazione Spazione Internazionale quando sono chiamati a svolgere operazioni al di fuori della stazione o della navetta.
Una tuta spaziale, sia che si tratti del tipo utilizzato per brevi (7-8 ore) escursioni in orbita, sia che si tratti delle tute usate durante gli sbarchi Lunari negli anni ‘60, e’ una vera e propria astronave in miniatura, perfettamente separata dall’ambiente esterno e con una certa capacita’ di sostenere la vita nel proibitivo ambiente spaziale od extraterrestriale per un limitato numero d’ore.
Un problema comune ad ogni tuta planetaria e’ costituito dall’usura e dal logoramento. Si tratta di cose inevitabili. L’ambiente extraterrestre non e’ ospitale e protetto come quello a cui siamo abituati sul nostro pianeta: senza la protezione offerta dalla nostra atmosfera, ogni sorta di radiazioni provenienti dallo spazio profondo ed altre condizioni estreme pongono seri problemi per la nostra sopravvivenza. Ogni tuta spaziale deve offrire percio’ uno schermo contro radiazioni e fortissimi sbalzi di temperatura.
La tuta ideata e sviluppata all’Universita del North Dakota sotto la guida di Pablo de Leon e Gary Harris (il primo ingegnere aerospaziale, il secondo guru nel settore dei sistemi di supporto vitale) cerca di fornire una prima risposta a queste sfide.
La pressione interna della tuta durante i tests eseguiti nel parco nazionale delle Badlands e’ stata poco piu’ di 2 atmosfere (il massimo sostenibile dalla tuta e’ 4.7 atmosfere - 1 atmosfera equivale alla pressione dell’aria esercitata sul nostro corpo a livello del mare sulla Terra). La tuta va’ pressurizzata dal momento che il nostro sangue bollirebbe senza la pressione naturale a cui siamo abituati da madre natura. Nel vuoto dello spazio o - nel nostro caso - nella tenue atmosfera di Marte, esiste il bisogno di fornire tale pressione, al fine di compensare la differenza. Solo cosi’ possiamo sopravvivere al di fuori del nostro pianeta. Sebbene non pressurizzata fino al limite teorico sostenibile, la pressione interna e’ stata tale da creare al sottoscritto qualche fastidio ed affaticamento durante lo svolgimento di compiti di precisione con le dita o durante i tentativi di inchinarsi sul suolo per raccogliere oggetti. Piu’ la pressione aumenta (essendo cio’ necessario per la nostra sopravvivenza), piu’ e’ difficile compiere i nostri usuali movimenti. Chiedete ad ogni astronauta che ha fatto un’escursione a bordo della stazione spaziale: il dolore alle dita ed avambracci e’ spesso penoso, specialmente dopo ore ed ore trascorsi all’esterno in delicati compiti di manuntezione o costruzione.
Dal momento che questo prototipo di tuta Marziana e’ stata progettata in maniera personalizzata per il sottoscritto, il prodotto finale e’ estremamente confortevole (anche se solo una volta che la tuta viene pressurizzata) e grazie alle giunzioni appositamente costruite permette di muoversi agilmente su un terreno accidentato ed esplorare l’ambiente extraterrestre. Tra i tests che dovuto superare c’e’ stato anche quello di guidare un piccolo All Terrains Vehicle…una sorta di piccola jeep capace di guidare su ogni tipo di terreno accidentato…una esperienza piuttosto divertente ed impegnativa allo stesso tempo.
Pressione, mobilita’, temperatura. Un grande problema al di fuori dell’atmosfera terrestre e’ la dissipazione del calore: nel vuoto dello spazio oppure in un atmosfera diversa da quella terrestre (come quella apparentemente tenuissima di Marte) disfarsi del calore in eccesso non e’ facile come aprire una finestra e creare ventilazione. Tutto si dissipa tramite radiazione od usando tutta una serie di sistemi per il mantenimento di una temperatura il piu’ costante possibile.
La tuta tende a riscaldarsi sensibilmente man mano che eseguo nuove operazioni, cammino, compio una serie di sforzi con le braccia e le gambe. Il sistema di raffreddamento utilizzato e’ costituito dall’aria che viene pompata da un compressione esterno o montato sullo zaino. Dio solo sa quanto ho sudato dentro la tuta prototipo! La temperatura interna comunque non ha mai superato i 37 gradi centigradi. Piu’ avanzati sistemi di raffredamento utilizzano liquidi in uno speciale “pigiama” che viene indossato prima di vestire la tuta.
La tuta e’ una sorta di grande cipolla con tutta una serie di strati e rivestimenti, ognuno dei quali si prende cura di un particolare aspetto legato alla nostra sopravvivenza nel rigido ambiente extraterrestre. Immagina di vestire non uno, non due, ma 5 o 6 pigiami o tute da ginnastica…giusto per dare un’idea della sensazione sconfortevole che si prova entrando nella tuta quando non e’ ancora pressurizzata.
All’interno il nostro prototipo e’ fatto di lattice. Questo lattice e’ poi rivestito di successivi strati, per lo piu’ in kevlar (lo stesso materiale plastico usato in attrezzature militari come elmetti e giubbotti anti-proiettile). La fibra in Kevlar usata per tessere la tuta e’ 5 o 6 volte piu’ resistente dell’acciaio. L’uso di questo nuovo tipo di fibra unito ad un ingegnoso uso delle giunzioni consente una discreta liberta’ di movimenti. Il risultato finale e’ una tuta piuttosto comoda ed anche indistruttibile, il che di certo non guasta. Altri strati aiutano a proteggere dalle radiazioni e dalle forti escursioni termiche, mantenendo all’interno della tuta una temperatura il piu’ costante possibile.
Un problema che abbiamo avuto durante i tests e’ stato con l’elmetto. Spesso, dal momento che l’aria non arrivava con sufficiente pressione dopo 30 minuti circa di lavoro pesante, l’elmetto tendeva ad annebbiarsi un po’, per quanto la visibilita’ rimaneva accettabile. In una tuta di seconda generazione, un migliore sistema di ventilazione per andra’ costruito per l’elmetto. Nel nostro caso, si tratterebbe di aggiungere una serie di tubi che trasportano l’aria fresca dal compressore.
Cerco di darvi qualche particolare su come ci si sente una volta dentro.
Una volta dentro la tuta pressurizzata si e’ totalmente isolati dal mondo esterno. L’unico modo per comunicare e’ usare gesti o parlare via radio. Dentro la tuta fa molto caldo!
Il clima in North Dakota e tutto l’Upper Midwest in genere e’ molto asciutto, dal momento che si e’ cosi’ lontani dalle grandi masse d’acqua degli oceani. Durante la settimana trascorsa nelle Badlands tra fette di parco nazionale, bisonti, mucche, e piccoli pozzi di estrazione petrolifera, abbiamo letteralmente sperimentato ogni tipo di condizione climatica ci si puo’ aspettare nella tiepida Primavera continentale da queste parti. Quasi sotto zero i primi giorni fino a 15 gradi di sole l’ultimo giorno.
I risultati finali dei vari tests sono stati estremamente soddisfacenti, poiche’ la tuta ha resistito e nonostante qualche piccolo segno di logoramento ha tenuto dopo tutta la serie di attivita’ da me svolti sul terreno. In un paio di occasioni i bio-sensori hanno rivelato un incremento nel tasso di anidride carbonica dovuta ad un temporaneo malfunzionamento del compressore per l’aria: anche solo 2% di CO2 puo’ creare nausea, vertigini e svenimento…per fortuna il compressore ha ricomiciato a funzionare perfettamente e personalmente non mi sono accorto di nulla. Solo alla fine della giornata abbiamo scoperto l’esistenza di questi sbalzi in pressione e gas all’interno della tuta.
Quindi, considerando l’ammontare e varieta’ di lavori svolti, la tuta ha tenuto molto bene. Ora la nuova sfida e’ sviluppare un buon sistema di supporto vitale che si possa inglobare nello zaino posteriore e che sia il piu’ leggero possibile.
Infine, permettetemi di consigliare a chiunque con la passione per una presenza umana nello spazio ed in altri pianeti di leggere tutto il materiale reperibile su Werhner Von Braun, padre del programma umano spaziale Americano. In piena guerra fredda alla fine degli anni ‘50 Von Braun scrisse un’enorme quantita’ di libri, articoli su stampa generica e specializzata, un paio di documentari con Walt Disney…in tutti questi lavori lo scienziato di origini tedesche dimostra la completa fattibilita’ di una missione umana su Marte con tecnologie disponibili agli inizi degli anni '60, quasi dieci anni prima del primo sbarco sulla Luna.
Consiglio caldamente a tutti di leggere, anche se in inglese Wernher Von Braun: Crusader for Space (la migliore biografia sul leggendario rocketman) ed anche un manualetto tecnico scritto da lui medesimo durante i primi anni trascorsi negli States dopo la seconda guerra, The Mars Project.
Considerando poi un razzo come il Saturn V e la sua capacita’ di portare in orbita 140 tonnellate di materiale alla volta e considerando il fatto che alla fine degli anni ‘60 erano gia’ pronti i primi razzi nucleari per volo interplanetario, si puo’ tranquillamente affermare che una missione umana su Marte oggi e’ definitivamente fattibile.
Il finanziamento per l’avveniristico prototipo di tuta per Marte e’ venuto dalla NASA e non direttamente dall’Amministrazione Bush.
Devo dire il Presidente Bush ha fatto davvero un ottimo lavoro con il discorso fatto dopo la tragedia dello Shutte Columbia. La Nuova Visione per NASA annunciata all’inizio del 2004 rappresenta - in poche parole - la cosa giusta da fare. NASA deve tornare ad esplorare il sistema solare con missioni umane, non solo con robots. La flessibilita’ e capacita’ di improvvisare e risolvere problemi e situazioni impreviste che e’ tipica di noi esseri umani non ha equivalenti in natura e tecnologia. Bush ha ordinato alla NASA di costruire una nuova famiglia di veicoli per accedere l’orbita terrestre e portare in orbita uomini e mezzi. Una volta lassu’ senza il freno della gravita’ terrestre si puo’ davvero andare dappertutto e raggiungere ogni meta, premesso che si abbia abbastanza carburante!
Di certo l’entusiasmo e’ sempre grande negli States per qualsiasi evento riconducibile all’esplorazione dello spazio, di altri pianeti ed alla creazione di una nuova frontiera. Come e’ certo anche come negli Stati Uniti esistano le capacita’ e le dimensioni per creare di nuovo un programma spaziale che permetta di tornare sulla luna e poi progettare il primo sbarco su Marte. Il problema e’ trovare un altro Presidente come Kennedy con lo stesso coraggio ed impudenza, sostenuto dal Congresso e sopratutto dal pubblico.
Di sicuro un modo per coinvolgere le persone comuni e’ senza dubbio quello di parlare di altre persone, come gli astronauti, raccontando le loro esperienze, idee, ambizioni, sentimenti e sogni. Il programma spaziale Americano ha raggiunto straordinari livelli di popolarita’ negli anni ‘60 proprio perche’ tutti, ma proprio tutti potevano immedesimarsi col proprio astronauta preferito. In quest’ottica il nostro progetto di prototipo di tuta appositamente e specificamente progettato e costruito per me e’ stata una mossa certamente azzeccata. Von Braun - e tanti altri come lui - sarebbe stato orgoglioso di tutta l’attenzione che abbiamo ricevuto dai media negli Stati Uniti ed oltre.
Molte persone mi hanno chiesto se sarei disponibile ad andare su Marte…Personalmente sono un forte sostenitore per l’uso di gravita’ artificiale nel volo spaziale. Esistono le capacita’ ingegneristiche per costruire enormi strutture che - una volta messe in moto a rotare - possono fornire tutta la gravita’ di cui abbiamo bisogno per non risentire di tutti gli spiacevoli effetti dovuti all’assenza di gravita’. Il maggiore problema per una missione su Marte non e’ la durata per se o la mancanza di tecnologie. Un grande timore esiste con riguardo agli effetti dell’assenza di peso: osteoporosi, perdita di tono muscolare, sbalzi di pressione sanguigna ed altro ancora.
Personalmente non sono fiducioso nell’uso di medicine per contrastare questi effetti negativi: sarebbe molto meglio costruire una grande struttura rotante capace di ricreare con la forza centrifuga un certo livello di gravita’ (anche se e’ vero non sappiamo quale e’ il livello minimo di gravita’ di cui abbiamo bisogno per non ammalarci).
In ultima analisi, con un buon sistema di gravita’ artificiale, sarei di sicuro tra i primi volontari per un viaggio - di sicuro epico - su Marte.
Robert Zubrin non fa altro che dimostrare cio’ che Von Braun ha gia’ dimostrato 50 anni fa’: una missione interplanetaria su Marte e’ fattibile, oggi come ieri. La volonta’ politica ed il supporto da parte dell’opinione pubblica sono i veri fattori decisivi in questo tipo di avventure.
Nelle parole di un altro visionario dell’esplorazione umana del sistema solare e dell’universo, Krafft Ehricke…lo spazio, la conquista e l’esplorazione delle vastita’ spaziali e di altri pianeti nel nostro ed altri sistemi solari rappresenta una opportunita’ unica, straordinaria. Per farla breve, l’esplorazione ed eventualmente la colonizzazione umana del sistema solare e dell’universo nella nostra galassia e forse oltre e’ un occasione irrepetibile per legare il progresso morale, sociale e tecnologico non piu’ a sanguinose guerre e conflitti, ma ad una missione comune e di fratellanza, animati dal comune desiderio di conoscere e capire di piu’ non solo l’universo attorno a noi, ma sopratutto noi stessi. Con tutte le scoperte ed invenzioni che vengono e verranno dall’esplorazione umana dello spazio cio’ che piu’ importa e’ la maggiore consapevolezza del nostro ruolo nell’universo. In ultima analisi, l’esplorazione dello spazio porta e portera’ sensibilii e duraturi miglioramenti nella nostra vita quotidiana, ma anche e sopratutto ci fornira’ di ulteriori strumenti, idee e teorie sui significati piu’ profondi della nostra esistenza, di quel mistero che chiamamo vita, che sembra sfidare ogni legge nota della fisica e che - nonostante cio’ - rende la nostra esperienza cosi’ straordinaria ed irripetibile.
Uno dei principali obiettivi dell’esplorazione umana del sistema solare e’ quello di trovare vita in altri pianeti, altre forme di vita piu’ o meno simili a noi. Una scoperta simile sarebbe di una portata inimmaginabile per le tremende conseguenze sul nostro di pensare ed intendere il mondo ed il nostro ruolo in esso. La ricerca di altre forme di vita fuori dalla Terra rappresenta un obiettivo di per se’ meritorio di attenzione e supporto da parte dell’opinione pubblica e politica, sebbene le ricadute in termini di occupazione e progresso sarebbero tutte molto terrestri (sopratutto nelle prime fasi, tutti i razzi ed infrastrutture saranno costruiti quaggiu’ e non lassu’).
Ancora una volta e’ Krafft Ehricke (in compagnia di Von Braun ed altri) a fornire una definizione accattivante: l’imperativo extraterrestre. Questa sorta di prima direttiva per la specie umana dovrebbe essere il vero motivo spirituale ed ideale per andare nello spazio ed in altri pianeti e restarci. Invece di cercare vita (intelligente o no) altrove, in ultima analisi esiste un dovere morale per noi uomini e donne di espandere la biosfera terrestre oltre i suoi confini naturali come sono stati finora conosciuti e considerati. Per quanto ne sappiamo, siamo le uniche creature dotate di intelligenza, creativita’, capacita’ di sognare ed avere incubi, siamo consci di esistere e di morire. Perche’ rischiare di perdere questa unicita’, questo patrimonio straordinario che e’ nelle nostre mani e menti, per esempio per via di una catastrofe naturale? Esiste percio’ un imperativo morale per esplorare e colonizzare altri mondi, a partire dal nostro sistema solare. L’uomo ha pieno diritto di cittadinanza nel cosmo. Secondo le piu’ recenti teorie la vita sulla terra potrebbe essere stata portata da comete e meteoriti che impattando la superficie terrestre hanno lasciato sul terreno di una giovane Terra nel corso dei millenni i mattoni fondamentali e costituenti del fenomeno straordinario della vita come e’ conosciuto oggi. E’ arrivato il tempo forse di tornare alle nostre vere origini e cercare nelle immensita’ da dove forse tutto e’ cominciato.
Ehricke e’ anche famoso per la seguente osservazione: per raggiungere le stelle dovremo usare la stessa fonte di energia (la fusione nucleare).
Ancora Grazie di cuore per l’entusiasmo e la passione per l’esplorazione umana dello spazio e di altri mondi!
“It is part of the nature of man to start with romance and build to a reality”. Ray Bradbury
Un Cordialissimo Saluto
Fabio
fabio.geo@gmail.com
http://marsmission.grossuperdiu.altervista.org/marsmission/index.php
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