Vademecum dell’astronautico dilettante 4

Vademecum dell’astronautico amatoriale.
Tutto o quasi quello che c’è da sapere sulle tecniche astronautiche.

Dopo la Storia dell’Astronautica, ecco un altro regalo a tutti gli amici di Forumastronautico. Se trovate errori o imprecisioni non esitate a correggere il testo.

Parte 4. I veicoli spaziali.

Il vuoto dello spazio inizia a circa 80 km sopra di noi. In realtà c’è ancora traccia dell’atmosfera terrestre ben al di sopra, ma oltre i 200 km la densità è così bassa da non riuscire a frenare in modo apprezzabile il moto di un veicolo spaziale. Proprio per questo motivo i veicoli spaziali vengono posti in orbita a quote così elevate. Grazie però all’assenza di atmosfera, i nostri veicoli non necessitano di ali o di forme aerodinamiche per muoversi nel vuoto spaziale. Questo facilita il compito dei progettisti, che possono concentrare le loro attenzioni sullo scopo della missione che il veicolo andrà a compiere, senza cercare compromessi con ali ingombranti ed attuatori aerodinamici con profili obbligati. I veicoli spaziali che orbitano attorno alla Terra sono chiamati satelliti artificiali, quelli naturali sono uno ed è la ben nota Luna. I veicoli destinati ad esplorare altri corpi celesti sono chiamati sonde spaziali. L’architettura dei satelliti e delle sonde è molto simile, pertanto le problematiche che pongono nella loro progettazione e realizzazione, in linea di massima, sono le stesse.
Non dovendo dotare il veicolo di ali e simili, il veicolo può assumere la forma di qualsiasi solido euclideo, l’importante è stabilire il centro di massa ed il baricentro, per garantire stabilità al veicolo ed evitare moti parassiti. Pertanto si deve procedere a realizzare la struttura portante, lo scheletro su cui poi verranno fissati tutti i sistemi di bordo. Questi sistemi sono quelli destinati al raggiungimento della missione alla quale è destinato il nostro veicolo, quindi ai sistemi di telecomunicazioni, all’elaboratore elettronico, gli eventuali impianti di termoregolazione (ci sono apparati che esigono il caldo, altri il freddo), i razzi di manovra, i sistemi di navigazione ed infine i generatori d’energia. I satelliti artificiali,indipendentemente che siano d’uso militare, scientifico e commerciale, si possono distinguere in satelliti per le telecomunicazioni (radio, TV, internet, ecc.), satelliti ambientali (mappano in continuazione il nostro pianeta con fotocamere all’infrarosso, radar, ecc.), scientifici (sensori rivolti verso lo spazio o destinati a rilevare il valore delle radiazioni, ecc.), meteorologici, per la navigazione (i più noti sono quelli della serie GPS, non c’è molto da aggiungere) e nel caso dei militari anche satelliti armati(dispositivi anti satellite o anti missile). Le sonde spaziali spesso fondono assieme le caratteristiche di diversi tipi di satellite ed in più hanno la possibilità di far sbarcare moduli appositi su altri corpi celesti, detti Lander,e talvolta adatti anche a muoversi, detti rover.
Per quanto riguarda i satelliti ed i loro carichi paganti, c’è una tale vastità e varietà di dispositivi che poche pagine non bastano a descriverli tutti. Più nello specifico tecnico ci sono i sistemi di manovra e quelli destinati ad erogare l’energia degli apparati di bordo che meritano un approfondimento.
Non basta spedire il nostro veicolo sulla giusta traiettoria, occorre anche che esso abbia una stabilità e la manovrabilità adatta al tipo di missione. Un modo semplice è quello di disporre le masse all’interno in modo da creare uno squilibrio tra centro di massa e baricentro. Così facendo il veicolo nello spazio si orienterà con il centro di massa in direzione del movimento, sebbenequesto non escluda l’instaurarsi di fastidiosi moti parassiti. Un altro metodo per garantire stabilità all’assetto del veicolo è farlo ruotare rapidamente su uno dei suoi assi. L’effetto giroscopico impedisce al veicolo di cambiare assetto, preventivamente voluto già in fase di progetto. Un tipo particolare è quello che sfrutta la piattaforma inerziale, un complicato sistema di giroscopi in grado di fornire i valori di posizione ed orientamento di un veicolo ad un elaboratore elettronico che attraverso i razzi di manovra mantiene l’orientamento o lo cambia se richiesto. Questa piattaforma è però un dispositivo delicato, preciso ma che può guastarsi facilmente o perdere di precisione ed è anche costoso. Infine vi è un sistema di controllo attuato da sensori puntati su determinate stelle. Al minimo movimento della stella l’elaboratore di bordo risponde accendendo i razzi di manovra. Si può capire che i sistemi di controllo sono diversi e che si restano meglio a certe attività piuttosto che ad altre. Per esempio la piattaforma inerziale è adatta a satelliti come il telescopio spaziale Hubble (HST) che devono spesso cambiare orientamento.
L’ultimo aspetto è quello dell’energia. I primi veicoli erano ovviamente dotati di accumulatori che però non avevano una grande autonomia. Gli accumulatori non bastavano, ma non era neppure possibile spedire nello spazio dei motogeneratori, quindi si decise di sfruttare l’energia solare con pannelli fotovoltaici. La tecnologia è oggi così collaudata che ha raggiunto livelli d’affidabilità e rese energetiche notevoli. Il problema è che spesso i satelliti entrano nel cono d’ombra della Terra. In questo caso accumulatori ricaricabili sono pronti a sostituire l’energia fotovoltaica temporaneamente assente. Per garantire continuità energetica senza dipendere dal Sole,là dove possibile, si usano le celle a combustibile. Sono speciali contenitori dove viene provocata una combustione lenta dell’idrogeno con l’ossigeno grazie ad un materiale catalizzatore, che assorbe l’energia elettrica che si sviluppa nella reazione controllata. Ovviamente il veicolo dovrà essere dotato di capaci serbatoi per i propergoli extra che dovrà trasportare e poi occorre un tubo di scarico a T per liberarsi dell’acqua prodotta dalla reazione. L’acqua fuoriesce dai due gambi della testa del tubo a T perché se uscisse da un gambo solo produrrebbe un moto parassita, uscendo da due direzioni opposte le forze parassite si annullano. Infine, non volendo portarsi appresso serbatoi extra, si può ricorrere alla fissione atomica. E’ possibile convertire in energia elettrica il calore prodotto da reazioni di fissione o utilizzare radio isotopi che producono particele Beta o elettroni, convogliabili in circuiti elettrici. Questi generatori trovano largo impiego su sonde spaziali, che avventurandosi oltre l’orbita terrestre spesso non trovano abbastanza luce solare, oppure quando occorrono grosse quantità d’energia subito disponibili. Ovviamente il lancio di veicoli dotati di energia atomica preoccupano molto per i rischi in caso d’incidente. La quantità di materiale fissile presente a bordo è troppo piccola per generare esplosioni catastrofiche o contaminare vaste aree, comunque resta un rischio, anche se di vastità limitata.
Terminata la vita operativa si deve decidere la fine del veicolo. Se trattasi di un satellite, un tempo lo si lasciava orbitare in attesa della sua caduta, ma si trattava spesso di piccoli oggetti. Oggi i satelliti sono molto grandi e nell’impatto con l’atmosfera terrestre qualche frammento può non disintegrarsi e fare danni cadendo sulla Terra. Dove è possibile, si pilota la caduta del satellite in modo che i suoi eventuali frammenti cadano in un oceano o in un deserto, altrimenti lo si sposta in un orbita cimitero (meglio discarica) più alta, dove il tempo di caduta naturale si calcola in secoli e lasciando ai posteri il compito di ripulire lo spazio. Per le sonde spaziali invece o sono abbandonate in orbita solare oppure sono mandate a disintegrarsi nelle atmosfere dei corpi celesti che hanno esplorato o ci si schiantano contro se atmosfera non c’è.
Ci sono però dei veicoli che invece, per la natura della loro missione, devono tornare sulla Terra integri, oppure devono sbarcare su altri corpi celesti. Ai primordi dell’astronautica si credeva ingenuamente che un veicolo dal pronunciato profilo aerodinamico e dotato di un consistente spessore d’acciaio avrebbe potuto immergersi in qualsiasi atmosfera senza danni. I primi esperimenti però mostrarono che profilo ed acciaio erano nettamente insufficienti. Le temperature che si sviluppavano a causa dell’attrito con l’atmosfera superavano tranquillamente i mille gradi centigradi. La prima soluzione fu quella di realizzare degli scafi molto spessi là dove l’attrito era maggiore, ma essendo parte integrante del veicolo, una volta arrivato a terra il veicolo diventava inutilizzabile. Anche la realizzazione di scudi termici sganciabili non migliorò molto la situazione. Ancora oggi molti veicoli usano una protezione che potremmo definire passiva. Una quasi attiva fa ricorso ad un principio della fisica noto come ablazione. Costruendo uno scudo termico formato da strati di acciai diversi, nell’impatto con l’atmosfera il primo strato si surriscalda fino all’incandescenza e da qui allo stato liquido, che per azione della pressione dell’aria si sposta. Spostandosi raffredda lo strato successivo che si presenza all’azione riscaldante dell’attrito a temperatura più bassa. E così via fino all’ultimo strato, ma a amano a mano che il veicolo s’addentra nell’atmosfera, la sua velocità diminuisce e con essa l’effetto riscaldante. Anche questo veicolo però, una volta arrivato a terra, è inutilizzabile. Per salvare il veicolo e renderlo riutilizzabile occorre rivestirlo di speciali rivestimenti ceramici e di grafite, capaci di resistere alle elevate temperature che si generano in quella che è nota come fase di rientro. Applicate con collanti alla struttura esterna di un veicolo lo proteggono efficacemente, ma sono molto fragili ed occorre controllare che siano sane, prima del rientro.
Superata la fase del rientro, arriva il momento dell’atterraggio. In quest’ultima fase il nostro veicolo può essere totalmente privo di carburante, quindi se può si libera dello scudo termico e s’affiderà ad un paracadute per frenare la caduta. Poco prima dell’atterraggio possono entrare in azione degli speciali razzi frenanti, oppure il veicolo si sgancia dal paracadute e grazie a speciali palloni rimbalzerà sulla superficie finché non si fermerà, poi i palloni si sgonfieranno in modo da posizionare con il giusto assetto il veicolo. Infine il veicolo si poserà con le sue zampe. Nel caso il sito d’atterraggio sia privo d’atmosfera ovviamente tutta la discesa e l’atterraggio dovranno essere eseguiti con appositi razzi frenanti. Un caso particolare fu quello di alcuni satelliti militari che venivano recuperati da speciali aerei mentre ancora scendevano appesi al paracadute.
Le sonde spaziali a questo punto entrano in attività. Alcune sono però dotate di rover con i quali esplorare i dintorni. Curiosamente fino ad oggi i rover non sono mai stati dotati di cingoli ma sempre di ruote. Questo perché le ruote spesso avevano motori ed ammortizzatori indipendenti così che in caso di guasto ad una ruota, le altre potessero proseguire la missione. Diversamente un veicolo cingolato sarebbe restato immobilizzato o poteva scingolare, cioè perdere il cingolo e fine della missione.
Raramente il veicolo che atterra su un altro corpo celeste ritorna sulla Terra, ma se deve farlo a bordo ci deve essere un missile capace di partire da una base improvvisata, con il suo carico composto spesso da campioni di terreno, e ritornare.

Ares Cosmos

Complimenti :clap: non sapevo ci fossero scrittori in questo forum :ok_hand:
Oggi ho scaricato la tua prima “opera” Storia dell’Astronautica e non appena avrò finito di leggerla passerò a questa :star_struck:

Unico appunto sarebbe che il baricentro nei veicoli spaziali non esiste, in quanto sebbene utilizzato erroneamente come sinonimo di centro di massa, significa centro dei pesi, che come sappiamo non ci sono in un ambiente in assenza di peso come lo spazio :wink:

Per tutti coloro che attendono il pdf: siamo in attesa che Ares Cosmos ci confermi di aver pubblicato tutti i capitoli… :wink:

E ovviamente i complimenti sono tutti meritati… :clap:

Ciao Ares,
sei un grande. Grazie tantissimo per i tuoi Vademecum, che in maniera stringata ma veramente comprensibile, stai aprendo a noi dilettanti, la porta dell’astronautica.
Desideravo chiederti se potresti spendere 2 parole, sulla navigazione spaziale. Sulla Terra gli aerei hanno radiostazioni di tutti i tipi, per non parlare dell’immancabile bussola, reputo che nello spazio le cose si complicano, . . .e non di poco. E’ tutto frutto di una traiettoria balistica studiata prima della missione, o c’e’ veramente un calcolo del punto? Hai gia’ accennato che l’idea del pilota che guida la navetta nello spazio non e’ reale, ma le correzioni fatte in manuale per il docking o per evitare eventuali collisioni con detriti, portano a variazioni di “rotta”, che a quelle velocita’, potrebbero modificare di molto, la posizione pre-calcolata. Per non parlare poi di viaggi piu’ lunghi, lontani dalla Terra.

Ti ringrazio molto

Saluti a tutti

Devo dirti che anche le mie conoscenze astronautiche sono molto dilettantisctiche. Credo che per le sonde spaziali si utilizzano piattaforme inerziali combinate con l’effetto doppler del segnale radio proveniente dalla sonda stessa. In effetti il volo è comunque una traiettoria balistica, ma con l’aumentare delle distanze aumentano anche gli errori. Uno degli scopi delle prime sonde spaziali era proprio quello di mettere a punto un sistema per riuscire a stabilire la loro posizione con esattezza, ed infatti molte si persero, ma la matematica nn è un’opinione ed ora perdere una sonda è molto difficile.
Quanto al volo pilotato, il docking avviene a distanze brevissime. Lì l’effetto del moto circolare è più lieve e facilmente correggibile.

mi spieghereste per favore “carta penna e calamaio” (ovvero come ad un bimbo) questa cosa…
e come per grandi linee influisce su un orbita/moto di un satellite?
sono a digiuno totale di fisica

Complimenti ares e grazie!

E’ solo una questione di nomenclatura. La massa è la proprietà di un corpo di resistere ad un’accelerazione (pensa all’inerzia), mentre il peso è la forza che ogni corpo dotato di massa sente quando è in un campo gravitazionale.
Il centro di massa è il punto geometrico corrispondente al valor medio della distribuzione della massa del corpo nello spazio, mentre il baricentro è il punto di applicazione della forza peso.
In realtà, siccome il peso è proporzionale alla massa, baricentro e centro di massa sono sempre nello stesso punto. Solo che, essendo pignoli, se il corpo è al di fuori di ogni campo gravitazionale, il baricentro non esiste in quanto non esiste la forza peso.

In ogni caso secondo me nessuna navicella spaziale è mai stata al di fuori di un campo gravitazionale. E la condizione di microgravità non significa che non c’è il peso, ma che la forza centrifuga dovuta al moto è uguale e contraria al peso. Quindi per come la vedo io è corretto parlare anche di baricentro…

Avere il centro di massa sposato rispetto al baricentro è un metodo per orientare il veicolo senza consumo di carburante. Lo usarono i russi con le Vostok e Voskhod in fase di rientro. Con qualunque orientamento la capsula avesse impatato l’atmosfera, essa si sarebbe orientata con la parte “più pesante” verso il moto, quindi con lo scudo termico della capsula orientato correttamente verso la parte interessata dall’attrito. Per fare due esempi, magari non proprio calzanti, è come in auto sterzare e lasciare il volante: le ruote torneranno dritte; in aereo impostare una virata e lasciare i comandi: l’aereo si rimetterà in piano.

Interessantissimo, bell’ approfondimento per un ignorante come me (e nn c è bisogno di capirci di fisica matematica ecc!).

Una cosa mi è venuta in mente: per non far perdere l’ orbita si può far girare il satellite sul suo asse: ma nelle missioni sts in cui hanno dovuto riparare un satellite? (mi viene in mente hubble ma credo ce ne saranno altri) lo “fermano” prima da terra o il mezzo dovrebbe mettersi in una “sottorbita” con il satellite? e con la Iss?

Scusate se insisto, ma questa frase è sostanzialmente sbagliata. Non è fisicamente possibile avere il centro di massa spostato rispetto al baricentro (che in ogni caso credo sarebbe più corretto chiamare “centro di gravità”, nell’accezione che gli stiamo dando), semplicemente perche sono la stessa cosa (a meno di una costante di proporzionalità).
Quello a cui ti riferisci forse è che avevano il centro di pressione (ovvero il punto di applicazione delle forze aerodinamiche) spostato rispetto a baricentro e centro di massa…

Non sono un esperto ma ricordo che Archipeppe parlando dell’orientamento “automatico” e della stabilità aeodinamica di un velivolo in rientro in atmosfera faceva riferimento proprio a baricentro e centro di pressione aerodinamica come dice Buzz

Pensavo d’aver usato le definizioni corrette.
Mea culpa. Spero solo che si sia capito il senso.

Quello che ha spiegato Ares Cosmos relativamente alla capsula Vostok (e Voskhod, praticamente la stessa cosa a questo fine) non è una relazione "baricentro-centro di massa), bensì la tipica relazione tra baricentro (o centro di massa) e centro delle pressioni, giacchè funziona durante il rientro in atmosfera e sottosta alle leggi dell’aerodinamica. Vale a dire che è abbastanza vero: le capsule russe dei primordi, essendo sferiche, avevano un centro di pressione grosso modo in posizione centrale, mentre il baricentro (o centro delle masse) risultava essere spostato verso la schiena del cosmonauta, semplicemente addensando batterie, sistemi elettrici ed elettronici e il seggiolino eiettabile tutti dalla stessa parte. Ciò produce un leggero effetto di stabilizzazione aerodinamica durante il rientro, poichè il veicolo durante questa fase si poneva in modo che il cosmonauta sopportasse l’accelerazione di schiena. Questo effetto era ricercato, davvero voluto, poichè è il sistema che permette a un malcapitato cosmonauta di sopportare meglio le notevoli sollecitazioni del rientro… sovietico, piuttosto brutale. Ma la capsula comunque era soggetta a violenti oscillazioni e imbardate, che una volta innescate continuavano e potevano anche diminuire e aumentare ciclicamente. La capsula Vostok era rivestita interamente di legno proprio per sopportare un rientro bruciando anche tutta la sua superficie, anche dalla parte opposta a quella voluta. In realtà la capsula Vostok era pessima dal punto di vista aerodinamico anche se fu impiegata fino al 1965, ma era semplice da costruire e semplice da fare rientrare dallo spazio. Il malcapitato cosmonauta sopportava anche dodici g durante il rientro, mentre John Glenn durante il suo rientro, il primo orbitale USA, ne affrontò “solamente” otto in virtù di una capsula molto migliore dal punto di vista aerodinamico. La capsula Mercury era a forma di imbuto ed era meglio progettata per avere una relazione CG-CP (centro di gravità e centro di pressione aerodinamica) più favorevole, ovvero più lontani tra di loro. Durante un volo orbitale, comunque, un oggetto può risentire anche della disposizione delle masse al suo interno, perchè esiste il “gradiente gravitazionale”, ovvero una differenza di accelerazione di gravità tra due punti dello stesso oggetto. Un oggetto allungato si trova a ruotare fino a disporsi con la sua parte più “densa” rivolta verso la terra, e la parte meno “densa” verso l’alto. E’ una forma di stabilizzazione del tutto automatica ed impiegata in alcuni espermenti. Un esperimento famoso che ha dimostrato questo fenomeno è stato quello del nostro Tethered in due missioni shuttle. E si potrebbe scrivere ancora per pagine. Ares Cosmos ha fatto un ottimo lavoro di divulgazione che potrebbe essere diviso in centinaia di piccoli argomenti tutti pieni di particolari tecnici fantastici. Bravi a tutti. Sarebbe bello continuare e cercherò di dire anch’io la mia ogni tanto.