Vademecum dell’astronautico amatoriale.
Tutto o quasi quello che c’è da sapere sulle tecniche astronautiche.
Dopo la Storia dell’Astronautica, ecco un altro regalo a tutti gli amici di Forumastronautico. Se trovate errori o imprecisioni non esitate a correggere il testo.
INDICE:
- La propulsione a razzo (di seguito)
- I missili
- Il volo spaziale
- I veicoli spaziali
- I veicoli spaziali abitabili
- Laboratori e stazioni spaziali
- Le missioni Apollo
- Motivazioni
Parte 1. La propulsione a razzo.
Muoversi sulla Terra è abbastanza semplice, basta allungare un passo e via. Per andare più veloce al movimento della nostra gamba si abbina quello della ruota ed abbiamo la bicicletta. Se poi alla ruota abbiniamo un motore a scoppio ci si muove ancora più alla svelta.
Per muoversi in cielo occorrono invece delle ali. L’aria che scivola intorno a loro genera una forza chiamata portanza che si oppone alla forza di gravità. Per far scivolare l’aria sotto le ali occorre un propulsore che le muova. Però, a mano a mano che saliamo l’aria diventa sempre più rarefatta e si raggiunge una quota dove, per quanto ci si muova velocemente, l’aria non è più sufficiente a sostenerci e ad alimentare il nostro motore, quindi si cade. Questa quota è posta a circa 80 kilometri sopra di noi ed è considerata l’inizio del vuoto spaziale.
Che nello spazio ci fosse il vuoto era noto agli astronomi del diciannovesimo secolo. Anche Jules Verne lo sapeva, infatti quando scrisse il suo romanzo “Dalla Terra alla Luna” si pose il problema di come fare a volare nel vuoto. Tutti i mezzi di locomozione allora in uso non erano inidonei, poi ebbe l’intuizione di sparare un proiettile verso la Luna, bastava fornirgli la velocità sufficiente. A quei tempi c’era già una forma di propulsione idonea al volo spaziale, ma Verne non la tenne in considerazione. Fu invece il russo Konstantin Tziolkovskij a pensare che la propulsione a razzo fosse la propulsione ideale. Era l’applicazione diretta del terzo principio della dinamica, il principio della conservazione della quantità di moto o principio di azione e reazione. Tziolkvskij ebbe la conferma del principio guardando dei ragazzini che saltavano da una carrozza abbandonata in un parco. Quando un ragazzino saliva sulla carrozza e si lanciava a terra da dietro, la carrozza si muoveva in avanti. Il contrario se un ragazzino si lanciava davanti, la carrozza si muoveva all’indietro. Tziolkovskij però doveva combattere con i pregiudizi degli scienziati del suo tempo che sostenevano che senza un punto d’appoggio, ogni movimento era impossibile. Per loro l’elica di una nave non spostava l’acqua dal davanti verso l’indietro, ma “trivellava” l’acqua e spingendo sulla stessa muoveva l’imbarcazione. Tziolkovskij però non si fece scoraggiare e produsse molti saggi sull’uso della propulsione a razzo nello spazio, meglio se alimentata da combustibili liquidi. I razzi a combustibile solido che allora venivano utilizzati non erano idonei, perché utilizzavano l’aria ambientale come comburente. Tziolkovskij comprese che nello spazio ci si doveva portare appresso combustibile e comburente e che la forma liquida era quella meglio gestibile. Come lui, l’americano Robert Goddard la pensava allo stesso modo. Anche lui schernito dal mondo scientifico, si prese la sua rivincita quando riuscì ad accendere un suo prototipo di razzo a combustibili liquidi in una macchina a vuoto spinto, dimostrando inequivocabilmente che la propulsione a razzo funzionava anche nel vuoto.
Lo sviluppo della propulsione a razzo per il volo fu lento. Il principio che ne è alla base e semplice. In un involucro mettiamo una miscela combustibile e l’attiviamo. Questa produce gas ad alta temperatura e pressione che cercano una via d’uscita. Ai lati vi sono le pareti che oppongono resistenza e fanno rimbalzare i gas; questi però spingono sulla testa dell’involucro e non essendovi una struttura in posizione opposta a compensare, scaricano la loro energia sulla testa spingendola mentre gli stessi gas se ne escono dalla direzione opposta attraverso l’apertura, denominata ugello di scarico. Se poi si crea una strozzatura prima dell’ugello di scarico, la pressione nel cilindro aumenta e con essa la spinta sulla testa. Questo è lo stesso principio che è alla base del moto in un’arma da fuoco o nel cilindro di un motore a scoppio, solo che in questi casi si usa l’energia diretta dei gas in uscita per spingere il fondello di un proiettile o la testa del pistone. La propulsione a razzo insomma sfrutta quello che nelle armi da fuoco è denominato il rinculo.
Quando si deve bruciare una sostanza combustibile, occorrono due cose: il combustibile, il comburente e l’innesco. Il combustibile è, per esempio, la benzina; il comburente è l’ossigeno; l’innesco una scintilla che scocca tra due elettrodi. Senza uno di questi tre fattori non si ha combustione. Nel caso del motore a scoppio, la benzina è contenuta in un serbatoio e viene risucchiata da un’apposita pompa, l’ossigeno viene preso direttamente insieme all’aria e la scintilla è generata da un’apposita batteria o generatore elettrico. Detto così sembra tutto facile, ma per ottenere una combustione ottimale occorre che si formi una miscela ossigeno-benzina in ben determinate proporzioni, perché un eccesso di uno dei due componenti può provocare una cattiva combustione o non provocarla proprio (quando si dice motore ingolfato).
Per la propulsione a razzo, la quantità di combustibile da bruciare è così elevata che non è possibile utilizzare l’ossigeno atmosferico, perché l’aria contiene non solo ossigeno, ma anche azoto, anidride carbonica e vapore acqueo, che non sono facilmente filtrabile, e che iniettati nella camera di combustione di un razzo interferiscono con la combustione. Nello spazio poi l’ossigeno non c’è, ecco quindi la necessità di provvedere a iniettare, nella camera di combustione, combustile e comburente puri. Queste due sostanze, in termini astronautici, sono definiti propergoli.
Definiamo il propulsore a razzo. Un involucro, ovvero la camera di combustione, solitamente cilindrico con una estremità aperta, dove c’è una strozzatura, opportunamente sagomata dal progettista, e subito dopo il cono dell’ugello di scarico, a sua volta sagomato in modo da convogliare verso l’esterno i gas combusti ed assorbire la loro pressione residua per trasformarla in spinta. Nessuna componente meccanica è direttamente coinvolta nella produzione del moto e per questo la propulsione a razzo è considerata una delle più efficienti forme di propulsione esistenti, priva com’è di attriti meccanici. Peccato che sebbene il principio di funzionamento è semplicissimo, è molto difficile da realizzare. Per rendere più comprensibile la cosa, basti sapere che durante la Seconda Guerra Mondiale la Germania nazista spese, per sviluppare la propulsione a razzo, molto più di quanto spesero gli Stati Uniti d’America per realizzare la bomba atomica.
Analizzando meglio le caratteristiche di un motore a razzo si capisce anche perché. Nelle armi da fuoco la camera di scoppio e la canna sono in acciai speciali e molto spessi, per resistere alle pressioni ed alle alte temperature, che per altro non durano a lungo. Nei motori a pistoni il raffreddamento è ottenuto convogliando un flusso d’aria o di liquidi contro le pareti esterne del cilindro e raffreddando la testa del pistone con opportuni getti d’olio. I razzi invece non possono essere realizzati con spessori eccessivi degli involucri e non possono nemmeno essere raffreddati, quantomeno non da fluidi esterni al propulsore, quindi si rischia la fusione della camera di combustione, dal momento che mentre nelle armi da fuoco e nei motori a pistoni, le combustioni sono intermittenti, nei razzi la combustione è continua. Nulla vieta d’utilizzare un sistema di raffreddamento a parte per le pareti del razzo, ma i progettisti devono risparmiare sui pesi e semplificare le strutture, per cui un impianto di raffreddamento costituisce un peso eccessivo, con i suoi serbatoi, radiatori, fluidi, valvole e pompe di spinta. Troppo peso e troppe complicazioni, poi troppo spazio. Da qui la necessità di realizzare camere di combustione leggere e resistenti, almeno per tutto il tempo in cui è previsto che il razzo debba funzionare. Per arrivare a ciò occorrono materiali nuovi che mettono a dura prova le conoscenze tecniche e scientifiche di chi vuole realizzare un propulsore a razzo. Spesso però il razzo, come detto in precedenza, deve funzionare solo per un limitato periodo di tempo, quindi i progettisti possono spingersi fino ai limiti dei materiali utilizzati, dal momento che devono resistere solo quel tanto che basta e se poi si deteriorano, la cosa non ha più importanza.
I i propergoli. Inizialmente furono usate miscele varie come combustibili, ma alla fine si è arrivati a stabilire quali sono i combustibili e relativi comburenti più idonei. I più usati sono la combinazione kerosene-ossigeno (in realtà il normale combustibile usato dai moderni jet ed ossigeno), idrogeno-ossigeno (entrambi in forma liquida) oppure dei propergoli chimici fortemente acidi (molto tossici). Nei primi due casi, l’ossigeno è in forma liquida e per mantenerlo tale occorre possedere conoscenze di criogenica, se poi si parla d’idrogeno, sempre in forma liquida, occorre una conoscenza avanzata della criogenica. Si comprende subito che ciò che viene iniettato in camera di combustione non sono sostanze consuete, come ad esempio la benzina, e questo comporta un’ulteriore aggravio in fase di progettazione e realizzazione, anche dei materiali stessi con cui i propergoli entreranno in contatto, come serbatoi, tubazioni, valvole e pompe. Nel caso di propergoli criogenici però c’è un lato positivo, che essendo a temperature ben al di sotto dello zero, possono essere usati anche per raffreddare il razzo stesso. L’idrogeno e l’ossigeno liquidi non necessitano neppure di un innesco perché detonano appena entrano in contatto.
I razzi a combustibili liquidi sono i più usati, idonei specialmente se c’è la necessità di variare la spinta o se devono essere accesi e spenti più volte, previa adeguata progettazione. In campo astronautico vi sono poi anche razzi a combustibile solido, usati solo per il volo in atmosfera. Essi sono costituiti da un involucro che contiene una “barra cava” di combustibile. La cavità del combustibile funge da camera di combustione ed a seconda di come è sagomata è possibile fare in modo che il razzo modifichi la sua spinta. Ovviamente la sagomatura deve essere adeguata al profilo della missione da eseguire, perché i razzi a combustibile solido, una volta attivati, non possono più essere spenti né è possibile variare a piacere la loro spinta. Generalmente il combustibile impiegato sono gelatine e polveri, spesso inerti a scariche elettriche o alle fiamme libere, ma che avviano dei processi a catena, molto energetici, solo entrando in contatto con determinate sostanze. Prototipi di razzi a combustibili misti sono stati realizzati ma sono stati scartati perché ancora oggi le tecnologie non consentono di realizzare propulsori affidabili.
Per il volo spaziale si utilizzano speciali miscele chimiche come l’idrazina, che contengono combustibile e comburente. Convogliate nella camera di combustione, s’attivano con una scarica elettrica. Tali carburanti sono altamente corrosivi ma si conservano liquidi in ogni condizione ambientale, pertanto realizzare impianti per il loro stoccaggio e trasporto non comporta particolari difficoltà tecniche e sono di uso frequente per i razzi di manovra, meglio noti come razzi vernieri, di qualsiasi veicolo spaziale.
Oltre ai razzi a combustibili chimici, ve ne sono altri tre tipi: la propulsione atomica, la propulsione a fusione nucleare e la propulsione a ioni. Non appartengono alla fantascienza, ma sono tecnicamente realizzabili e solo il secondo caso non è ancora stato realizzato.
La propulsione atomica si ottiene facendo passare un fluido dentro ad un reattore a fissione o simile. Il fluido assorbe il calore, aumenta la sua energia e quindi la pressione. Tale fluido, passando per l’ugello di un razzo, genera spinta. Tale propulsione è stata testata con successo nello spazio mentre sono stati eseguiti degli esperimenti in atmosfera prima delle moratorie internazionali sugli esperimenti atomici. I risultati sono stati tutti molto positivi, ma tale propulsione è stata abbandonata perché porta con sé anche molti isotopi radioattivi, assolutamente nocivi per l’ambiente, infatti il vantaggio di tale propulsione sarebbe stato solo durante il volo atmosferico dei missili.
La propulsione a ioni si ottiene con un dispositivo che ionizza determinati elementi chimici che, attraverso un campo magnetico, sono espulsi dal propulsore. Il loro movimento all’indietro per reazione genera una spinta in avanti. La quantità di spinta è minima, come minima è la quantità di combustibile che viene ionizzato, ma potendo garantire una spinta costante per lungo tempo con consumi quasi irrisori, si ottengono con il tempo spinte considerevoli, per cui questo propulsore è stato installato su sonde spaziali destinate a voli di lunga durata, che sebbene all’inizio avevano una spinta debole, con il tempo hanno accumulato una grande velocità.
Il propulsore a fusione invece è solo allo stadio di progetto ma è giudicato valido. Il suo principio è simile a quello del propulsore a ioni, ma le spinte sono notevolmente più elevate. Il combustibile ideale un isotopo dell’elio: l’elio3. Il suo uso, sulla carta, dovrebbe essere rivoluzionario, ma al momento non è fattibile perché non c’è abbastanza elio3 sulla Terra e la sua raccolta, sulla superficie di altri pianeti o corpi celesti, presenta ancora notevoli difficoltà tecniche.
Vi sono altre forme di propulsione, ma come quelle indicate sopra, sono solo varianti della propulsione a razzo. L’unica forma di propulsione alternativa al razzo ed impiegabile solo nello spazio è quella della vela solare. Ideata da un discepolo di Tziolkovskij, tale Tsander, essa sfrutta l’effetto dell’urto dei fotoni con una superficie solida. La luce infatti è composta da particelle chiamate fotoni che oltre ad essere radiazioni, hanno anche una piccola massa. Il loro urto provoca una spinta. Se sulla Terra tale fenomeno è verificabile solo in laboratorio, nello spazio, in assenza d’attriti, ogni minima spinta genera movimento, tanto che i satelliti artificiali devono spesso correggere la loro orbita a causa della spinta parassita indotta dalla luce solare. Tsander immaginava veicoli sospinti da grandi vele. Negli anni ’80 del ventesimo secolo fu promossa una gara per chi fosse riuscito a costruire un veicolo a vele solari da spedire verso Marte. Sulla carta i tempi di volo sarebbero stati identici a quelli di una qualsiasi sonda spaziale, ma alla fine la gara fu sospesa a causa della mancanza di tecnologie destinate a realizzare vele con superfici nell’ordine di kiolmetri quadrati. Le vele solari ancora oggi sono oltre la portata delle nostre tecnologie e comunque le spinte ottenibili sono troppo deboli per immaginare un veicolo spaziale umano che ne faccia uso.
La teoria della relatività einsteniana ci permetterebbe il volo verso altri astri della nostra galassia ed oltre, ma per attuarli occorrono conoscenze sulla fisica del nostro universo che ancora non sono in nostro possesso e che quando lo fossero, non è detto che ci consentano di volare nello spazio, nemmeno in tempi umanamente ragionevoli.
Per ora altre forme di propulsione esistono solo nella fantasia degli scrittori di fantascienza.
Ares Cosmos