50 anni dal volo di John Glenn

grazie Archipeppe per aver condiviso questo materiale!
io nel '58 non c’ero…ha ancor di più valore storico

Grazie Peppe per aver condiviso queste diapositive.
Le ho appena scaricate e archiviate sul mio PC.

d’accordo che ci sono dei vecchiardi in giro, ma non esageriamo… :stuck_out_tongue: :stuck_out_tongue: :stuck_out_tongue:

assolutamente!!
:stuck_out_tongue_winking_eye:

Complimenti per il tuo titanico lavoro Archy però, non per essere pedante, ho l’impressione che le slide n° 9 e 10 siano sbagliate. Il “pacco” dei retrorazzi non veniva sganciato dalla capsula prima del rientro atmosferico???

In genere si, ma se non ricordo male nel volo particolare di John Glenn no perchè si temeva il distacco dello scudo termico

Edit:
Se leggi la didascalia relativa nella slide 9, c’è scritto! Anche se Peppe parla di sacca di ammaraggio… mi fiderei più delle sue info :wink:

Il proxy GE non mi fa vedere le immagini :angry:

E non riesco a scaricare le slide :angry: :angry:

Vi prego tenete vivo il thread ancora un pò che sennò poi non lo ritrovo ( come l’altro sempre di Peppe della Soyuz )

Uno dei componenti della sacca di ammaraggio, in particolare la superficie inferiore, era lo scudo termico.

Infatti, lo scudo termico si sganciava liberando la “sacca di ammaraggio” ossia una sorta di airbag “ante litteram” che consisteva in una sacca di gomma forata all’estremità inferirore e collegata al sottostante scudo termico (ovvero quello che ne restava dopo il rientro) da cinghie ed il cui scopo era quello di gonfiarsi d’aria al momento dell’impatto con l’acqua per mitigarne gli effetti.

Durante il volo di Glenn un’errata telemetria fece accendere a terra la luce di dispiegamento della sacca d’ammaraggio (ma non a bordo della Mercury) scatenando il panico tra i tecnici. Se fosse stato vero Glenn sarebbe morto bruciato durante il rientro dato che lo scudo termico non sarebbe più stato solidale con il resto della capsula. Per cercare di rimediare a questo (inesistente) incoveniente i tecnici della McDonnell (responsabile della produzione della Mercury) suggerirono a Glenn di non sganciare il pacco di retrorazzi dopo l’accensione per il rientro, dato che questo era assicurato alla capsula da tre cinghie di ritenzione le quali facevano pressione anche sullo scudo termico, tenendolo naturalmente in posizione.

Glenn si arrabbiò moltissimo della cosa perché per una buona orbita era stato tenuto all’oscuro di questo problema da parte del Controllo Missione, ma eseguì quanto richiesto e rientrò nell’atmosfera con il pacco di retrorazzi (oramai vuoto) ancora legato alla capsula Mercury (come da me correttamente rappresentato, non per fare il pedante… :wink: ), il che creò non pochi problemi di stabilità alla capsula durante la fase critica del rientro.

In ogni caso il rimedio si rivelò (per fortuna di Glenn) inutile, il pacco di retrorazzi e le relative cinqhie presto si disintegrarono (come efficacemente illustrato nel film “The Right Stuff” di Philip Kauffmann, del 1983 e tratto dall’omonimo romanzo di Tom Wolfe) e lo scudo termico rimase al suo posto.


dopo l’ammaraggio la sacca si riempiva d’acqua e serviva a stabilizzare la capsula con l’abitacolo in alto e sopra la superficie dell’acqua

E’ vero, sopratutto perché inizialmente si pensava di fare uscire l’astronauta dalla parte superiore della capsula (con una manovra a prova di contorsionista).
La prima proposta prevedeva un set di 4 galleggianti intorno alla parte superiore (come quelli poi effettivamente realizzata per l’Apollo CM) scartati poi in favore della sacca d’ammaraggio riempita d’acqua che doveva agire da “contrappeso” ai movimenti in alto indotti dall’astronauta.

Che a me risulti l’unico che sia effettivamente uscito dal “collo di bottiglia” è stato Alan B. Shepard al termine del volo MR-3 il 5 maggio del 1961. Dal volo successivo era stato introdotto il portello dotato di bulloni esplosivi (che tanto cari stavano costando a Gus Grissom al termine di MR-4) che rendeva possibile l’uscita dell’astronauta dalla stessa parte da cui era entrato.


Carpenter?

Onestamente non lo so.

Carpenter fece uno dei più clamorosi “fuori bersaglio” della storia con oltre 300 km di distanza dal punto di ammaraggio previsto (tanto che inizialmente si era pure pensato il peggio) a causa di una serie di errori, essenzialmente umani.
Carpenter fu trovato fuori la capsula, che attendeva tranquillamente i soccorsi sul suo “life raft” (ossia il materassino gonfiabile) ben altro atteggiamento rispetto al panico di Grissom, però non so se sia uscito fuori da sopra oppure abbia espulso il portello di ingresso.

La foto che ho postato prima, in se, non prova niente se non il fatto che Carpenter era stato debitamente addestrato per uscire da sopra…

Per quanto riguarda la storia di Carpenter, ho cercato di documentarmi un pò, secondo Mark Wade (nella sua Enciclopedia Astronautica) Carpenter sarebbe uscito dalla Capsula Sigma-7 proprio dalla parte superiore, di lì avrebbe buttato a mare il canotto gonfiabile ed avrebbe atteso le squadre di soccorso.

Splashdown was noisy but less of a jolt than the spaceman had expected. The capsule, however, did not right itself within a minute as it was supposed to do. Carpenter, noticing some drops of water on his tape recorder, wondered if Aurora 7 was about to meet the fate of Liberty Bell 7, and then sighed in relief when he could find no evidence of a leak. He waited a little longer for the spacecraft to straighten up, but it continued to list to his left. Grissom’s last transmission from Mercury Control had told Carpenter that it would take the pararescue men about an hour to reach him, and the astronaut realized that he had evidently overshot the planned landing zone. When he failed to raise a response on his radio, he decided to get out of the cramped capsule. Then he saw that the capsule was floating rather deeply, which meant that it might be dangerous to remove the hatch. Sweating profusely in the 101-degree temperature of the cabin, he pulled off his helmet and began the job of egress as it had been originally planned. Carpenter wormed his way upward through the throat of the spacecraft, a hard, hot job made bearable by his leaving the suit circuit hose attached and not unrolling the neck dam. He struggled with the camera, packaged life raft, survival kit, and kinky hose before he finally got his head outside.

http://www.astronautix.com/flights/merryma7.htm

In ogni caso posto anche un mio disegno circa il lungo percorso evolutivo nella progettazione della capsula Mercury, da quella di massima effettuata dal gruppo di Maxime Faget a Langley fino a quella esecutiva realizzata dalla McDonnell Aircraft Co. di St Louis.


Il DA fu quello che poi fu usato realmente?

Povero Scott Carpenter!
In realtà la causa principale dei problemi riscontrati durante il suo volo è da cercarsi in alcuni malfunzionamenti della capsula:

[b]overexpenditure of fuel" was caused by an intermittently malfunctioning pitch horizon scanner that would later malfunction at reentry. Still, NASA later reported that Carpenter had:

“exercised his manual controls with ease in a number of [required] spacecraft maneuvers and had made numerous and valuable observations in the interest of space science. . . . By the time he drifted near Hawaii on the third pass, Carpenter had successfully maintained more than 40 percent of his fuel in both the automatic and the manual tanks.
According to mission rules, this ought to be quite enough hydrogen peroxide, reckoned Kraft, to thrust the capsule into the retrofire attitude, hold it, and then to reenter the atmosphere using either the automatic or the manual control system.”
At the retrofire event, however, the pitch horizon scanner malfunctioned once more, forcing Carpenter to manually control his reentry (“The malfunction of the pitch horizon scanner circuit [a component of the automatic control system] dictated that the pilot manually control the spacecraft attitudes during this event.”
The PHS malfunction jerked the spacecraft off in yaw by 25 degrees to the right, accounting for 170 miles (270 km) of the overshoot; the delay caused by the automatic sequencer required Carpenter to fire the retrorockets manually. This effort took two pushes of the override button and accounted for another 15 to 20 miles (32 km) of the overshoot. The loss of thrust in the ripple pattern of the retros added another 60 miles (97 km), producing a 250-mile (400 km) overshoot[/b]

In poche parole,la stessa cosa sarebbe probabilmente accaduta anche a Deke Slayton,se secondo i piani originari fosse stato su quella Mercury e non fosse stato messo a terra da una leggera anomalia cardiaca.
Consideriamo pure che durante Gemini 10 il mitico John Young a causa di un errore consumò anche più carburante:

La navigazione ottica eseguita direttamente dagli astronauti fallì a causa del fatto che i valori calcolati dagli astronauti non corrispondevano ai risultati ottenuti dai calcolatori del centro di controllo a terra. Gemini 10 fu comunque in grado di avvicinarsi al satellite. La manovra di aggancio riusci perfettamente e senza incontrare problemi. A causa degli errori nella manovra di rendez-vous, furono necessarie alcune correzioni di rotta che comportarono un elevato consumo di carburante (60% della disponibilità dell'OAMS).
.

Il fatto è che Young faceva parte del giro giusto (quello della “right stuff”),Carpenter no.
Tutto,o quasi, poteva essere perdonato ad uno dei “ragazzi giusti”,nulla a chi faceva parte della cordata sbagliata.
I peccati mortali di Scott Carpenter erano quelli di essere interessato alla scienza,di non essere stato esattamente un “fantino dell’aria” (in Marina pilotava un The Lockheed P-2 Neptune a elica), di fare squadra col boy scout John Glenn.
In realtà per le sue qualità Scott non era poi diverso da uno Story Musgrave; forse il suo guaio è stato quello di arrivare alla NASA con vent’anni di anticipo.

EVVAI ce l’ho fatta! :smile: :smile: :smile: :smile: :smile:

Ti sei chiusa dentro una capsula Mercury, e poi sei uscita dalla botola superiore?

O sei riuscito ad entrare nel giro di Slayton e Shepard?

Entrambe.
Quando gli astronauti richiesero le famose “modifiche” dopo l’ispezione del mock-up nel 1959 (maggior controllo manuale della capsula, finestra in asse con gli occhi dell’astronauta al posto dei due oblò, portello di accesso dotato di bulloni esplosivi, ecc. ecc.) oramai la produzione “di serie” della Mercury era già bella che avviata presso gli stabilimenti di St. Louis della McDonnell.
Pertanto fu deciso di far volare tutte le capsule “D” finora costruite (10 su un totale di 20 ordinate) e di passare alla “DA” appena possibile (il che significava non prima di un anno).

Tant’è vero che le “D” furono utilizzate fino al volo di Alan Shepard il quale fu l’unico astronauta del progetto Mercury a volare sulla capsula originale. Dal volo di Grissom in poi si passò alla “DA” tanto che la capsula Liberty Bell-7 era siglata #11A (ossia 11mo esemplare prodotto modificato, da qui il suffisso “A”). Per la cronaca 5 capsule della serie “DA” non volarono (ossia le #10, 12, 15 , 17 e 19).

Il seguente sito riporta la location di tutte le capsule Mercury prodotte ed il loro stato di servizio:

http://web.mac.com/jimgerard/AFGAS/pages/mercury/index.html