A che punto siamo con l'ascensore spaziale della Nasa?

Dalla fantascienza alla realtà…forse avremo la possiblità di andare nello spazio con un ascensore?

Leggetevi questi articoli e poi commentate:

http://newton.corriere.it/PrimoPiano/News/2004/08_Agosto/30/ascensione_spaziale.shtml
http://contenuti.interfree.it/118/IDNotizia6817.htm
http://www.tdf.it/2006/stair_ita.htm

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NEL PANORAMA delle recenti innovazioni scientifiche, la nanotecnologia è senz’altro la più rivoluzionaria e straordinaria. Macchine di dimensioni molecolari, ma più resistenti del titanio, computer autoconfigurabili più piccoli di una mollica di pane. Sono dieci anni che sentiamo parlare di tutte queste meraviglie microscopiche, ma ancora stentiamo a crederci. Dadi e bulloni ci sono molto più familiari. Ma alla realtà non si sfugge: i nanotubi, cilindri di carbonio dello spessore di qualche miliardesimo di metro, sopportano benissimo la tensione e il calore, e non si deteriorano facilmente. Se usati come fibre da costruzione, possono generare prodotti centinaia di volte più robusti dell’acciaio (il materiale più resistente presente in natura) ma allo stesso tempo cinque volte più leggeri. E non solo. Date un po’ un’occhiata alle proposte di Brad Edwards, fondatore dell’Highlift Systems di Seattle.

L’intenzione di Edwards è quella di costruire un ascensore spaziale di nanotubi al carbonio: un nastro lungo 110 mila chilometri, largo circa novanta centimetri e più sottile di un foglio di carta, capace di innalzarsi nel cielo e di trasportare facilmente nel cosmo astronavi, fabbriche, addirittura turisti, a un prezzo ridicolo rispetto a quello attuale. Secondo lui tutta l’apparecchiatura potrebbe essere pronta entro dieci anni, catapultandoci in una nuova era dell’esplorazione dell’universo. Nonostante le sue implicazioni rivoluzionarie, però, l’ascensore spaziale non è un’idea nuova. Nel 1895, lo scienziato russo Konstantin Tsiolkovsky, guardando le cabine che portavano i visitatori in cima alla Torre Eiffel, sognava un “castello celeste” collegato alla Terra. E nel 1979, in un romanzo di Arthur C. Clarke, Fountains of Paradise, si parlava proprio di un super ascensore al carbonio in grado di produrre grandi cambiamenti e di cancellare ogni caos.

Dodici anni dopo, in un laboratorio di ricerca giapponese, la scienza ha superato la fiction. Attraverso degli esperimenti condotti sul fullerene, una particolare molecola di carbonio configurata a pentagoni ed esagoni come un pallone da calcio, Sumio Iijima riscontrò in essa la produzione di un derivato simile alla fuliggine. Esaminando questa sostanza al microscopio elettronico, Iijima scoprì che il fullerene si era trasformato in strutture di grafite tubulari, dalle pareti reticolari particolarmente resistenti. Numerosi studi successivi dimostrarono poi che questi nanotubi al carbonio (così erano stati chiamati) conducevano calore ed elettricità. Il giovane Brad Edwards, che allora lavorava al Los Alamos National Lab, teneva d’occhio la situazione, e la sua era molto più che semplice curiosità. In quel periodo era a capo di uno sfortunato programma di esplorazione di Europa, uno dei satelliti di Giove, ma i costi eccessivamente elevati del trasporto avevano affossato il suo progetto. «Cominciai a pensare», ricorda, «che per andare davvero nello spazio avrei dovuto vedermela da solo». E con i nanotubi capì che avrebbe potuto farcela.

Una mente alternativa

A Los Alamos, Edwards si era già guadagnato una certa reputazione di individuo stravagante per le sue idee alternative. Molti gli avevano detto che la sua proposta del refrigeratore ottico - che avrebbe impedito ai macchinari di surriscaldarsi utilizzando il laser per raffreddare un particolare tipo di vetro - andava contro le leggi della termodinamica. Un concetto del genere era nell’aria fin dagli anni Venti, ma prima i laser potevano solo fondere il vetro, non congelarlo. Il team di ricerca di Edwards, invece, aveva progettato un raggio di particolare frequenza che, paradossalmente, assorbiva il calore autoprodotto, oltre a quello generato dalla macchina. Dopo due anni di lavoro, essi riuscirono a realizzarne un prototipo, battendo sul tempo altri ricercatori, tra cui anche un premio Nobel per la fisica.

Nel 2000, Edwards lasciò Los Alamos per l’Eureka Scientific, un gruppo di ricerca finanziato dalla Nasa. Due anni dopo, a Seattle, fondò l’Highlift. Lì, nel suo minuscolo ufficio, fa da un po’ di tempo bella mostra di sé una striscia nera lunga una sessantina di centimetri. È un prototipo del nastro spaziale, centinaia di fibre sottili come capelli legate insieme per distribuire la tensione. Ed è anche un esempio di ciò che la Highlift si propone di distribuire sul mercato: un composto di nanotubi al carbonio quattro volte più duro dell’acciaio. Una volta in vendita, esso potrà essere utilizzato, per esempio, per realizzare racchette da tennis super robuste, per costruire automobili e aereoplani più leggeri ma allo stesso tempo più resistenti, e per garantire decenni in più di durata a infrastrutture come ponti o autostrade. E nel giro di due o tre anni, l’Highlift è sicura di riuscire a produrre un materiale abbastanza indistruttibile da poter essere usato nell’ascensore spaziale.

L’apparecchiatura verrà costruita su una specie di piattaforma petrolifera in mare aperto: in particolare, l’Highlift pensa a un sito del Pacifico orientale, a 1800 chilometri dalle Galapagos. All’inizio verranno lanciati in orbita, a quote relativamente basse, dei razzi-prova (un Delta 4 o un Atlas 5). Una volta sparati, essi si uniranno a formare un’astronave da ottanta tonnellate che salirà fino a 40 mila chilometri circa, entrando in orbita geostazionaria. Da lì, la navicella snoderà il nastro per altri 72 mila chilometri nello spazio, calandone contemporaneamente una seconda porzione di collegamento alla piattaforma. Nella parte superiore gran parte dell’operazione avrà luogo grazie alla forza centripeta, mentre in quella inferiore si farà affidamento sulla gravità. Secondo i calcoli di Edwards, il nastro raggiungerà la superficie terrestre a non più di 180 chilometri dalla piattaforma; un sensore Gps e un radiofaro all’estremità di esso consentiranno a una nave di recuperarlo e attaccarlo alla base.
Utopia possibile?

Con un contrappeso attaccato, la striscia superiore di carbonio resterà tesa grazie alla forza centripeta. Le funzioni di ascensore verranno assolte in questo modo: ci saranno dei ramponi da sette tonnellate, grandi ognuno come un semirimorchio, che percorreranno il nastro a una velocità superiore ai duecento chilometri orari, trasportando carichi pesanti fino a tredici tonnellate. Essi verranno alimentati da laser a elettroni liberi, la stessa tecnologia alla base dell’acceleratore lineare di Stanford. I laser punteranno alle fotocellule situate sulla parte inferiore dei ramponi, che a loro volta spingeranno i motori, consentendo l’ascesa. Secondo Edwards, sarà come prendere l’ascensore in un grattacielo, con la differenza che, in poche ore, ci si troverà nello spazio. Per raggiungere l’estremità del nastro - e coprire quindi un quarto della distanza che ci separa dalla Luna - ci vogliono due settimane. Le economie di scala potrebbero rendere di moda un viaggio del genere, quasi come una gita a Maui.

Oggi trasportare con un razzo o con uno shuttle un carico di mezzo chilo costa quarantamila dollari. Edwards crede che l’ascensore spaziale potrebbe abbassare il prezzo a duecento dollari, e che in un futuro si potrebbe scendere addirittura fino a dieci dollari. Pensate a quanto pesate voi e fate un po’ i conti. In altre parole, quest’ascensore potrebbe essere nel prossimo secolo quello che le ferrovie sono state nell’Ottocento: l’accesso a un nuovo mondo a un prezzo del tutto irrisorio. Improvvisamente, l’universo è molto più vicino di quanto pensassimo.

Ogni volta che il trentanovenne Edwards presenta il suo progetto, gli altri scienziati lo assillano con le loro domande sempre uguali, e lui risponde sempre con la disponibilità di un padre che spiega a suo figlio perché il cielo è blu. E se un aereo andasse a sbatterci contro? Improbabile, visto che la piattaforma sarà a più di settecento chilometri dalla pista più vicina. E in caso di attacco terroristico? Ci sarà un controllo militare. E i fulmini? In quell’area non ci sono molte tempeste. E i meteoriti? La struttura dovrà essere abbastanza robusta da resistere all’impatto, proprio come avviene per le astronavi. La pazienza dello studioso è stata premiata: ha appena ricevuto 570 mila dollari dal programma della Nasa Institute of Advanced Concepts, che finanzia i progetti sperimentali, e spera di ottenere altri soldi dalla Darpa e dall’Air Force. Non solo: l’Highlift ha calcolato che anche gli investimenti privati dovrebbero contribuire ai quaranta milioni di dollari necessari per produrre il composto. Una volta disponibile il materiale, l’azienda farà poi un’altra colletta, per raccogliere i sette miliardi di dollari di cui ha bisogno per costruire effettivamente l’ascensore.

È ancora un sogno. Ma, come molti altri progetti nanotecnologici, potrebbe diventare realtà e cambiare le nostre vite. «La possibilità di mandare in orbita a basso prezzo persone, aziende, addirittura imprese, avrebbe un’enorme ricaduta su ogni aspetto dell’esistenza umana», osserva Harley Thronson, responsabile tecnologico dell’Office of Space Science della Nasa. «Potremmo finalmente vivere in un mondo tridimensionale, invece che limitarci alle due dimensioni che oggi ci è permesso di esplorare sulla superficie terrestre». E la porta d’accesso a questa nuova realtà potrebbe essere stretta come un anello di molecole di carbonio.

tratto da http://magazine.enel.it/boiler/


ascensore.gif

L’ascensore spaziale potrebbe dare un forte impulso alla espolorazione dello spazio ,sopratutto permeterebbe di abattere i costi della messa in orbita del materiale ,ne gioverebbe sicuramente per prima la Stazione spaziale ,ma non solo in un futuro gli astronauti potrebbero andare in orbita con l’ascensore mentre la nave potrebbe essere teleguidata fino all’orbita dopo di che gli astronauti potrebbero prenderne posesso in tutta sicurezza.

Test con un mini ascensore di 1000 piedi.

Mah…

Io resto dell’idea che è pura fantascienza, totalmente irrealizzabile…

Vado lievemente OT . Penso : dato un materiale resistente molto più dell’acciaio ma cinque volte meno denso si potrebbero gia costruire vettori molto più leggeri sopratutto se questo materiale fosse in grado di resistere a temperature dell’ordine di 3000-3500 K poichè in questo caso ci si potrebbero realizzare le camere di combustione . Cosa se ne sa delle capacità dei nanotubi di sopportare temperature elevate ’ e come sono le prospettive di fabbricarne in grande quantità ?