Nuovo articolo di Rudy Bidoggia pubblicato su AstronautiNEWS.it
Bell’articolo, grazie Rudy!
Si è detto che in futuro si vogliono fare “catture multiple”. Cosa si intende: catturare più detriti e portarseli tutti dietro in un rientro distruttivo, oppure catturare un detrito alla volta, spingerlo in una traiettoria di rientro e poi ripartire a catturarne altri?
Penso che le catture multiple allo stato attuale siano più un obiettivo a lungo termine che un progetto vero, ma la seconda ipotesi non è irrealizzabile. Giusto per fare un esempio, se non dico errato, Hayabusa 2 per la prima volta nella storia dovrebbe abbandonare un oggetto in atmosfera terrestre e proseguire la missione. Lo farà a dicembre 2020 con i campioni di Ryugu solo se la missione verrà estesa.
Bando per 30 posti per lo sviluppo del progetto
Non è stato spiegato ma a logica propenderei per la tua seconda ipotesi: catturo un detrito e ne modifico l’orbita per farlo rientrare “in breve”, mi stacco e procedo verso un altro detrito.
Va da sé che anche scegliendo accuratamente la sequenza di detriti, serve parecchio carburante.
Finché ho la memoria fresca: oggi ero al Museo della Scienza a MI dove Franco Ongaro ha tenuto una conferenza. Durante lo snack post chiusura, al quale erano ammessi solo Vip, e per mezzo di conoscenze fatte in ESTEC ero presente anche io, Ongaro ha spiegato che sono valide entrambe le opzioni.
Innanzitutto perché si è scelto quel detrito: per catturare qualcosa in maniera semplice bisognerebbe che entrambi i satelliti fossero attivi, perché si potrebbe manovrare o almeno capire meglio l’assetto di entrambi. Invece un detrito in genere è un corpo morto che sbindella un po’ a caso, perciò il satellite attivo di recupero dovrebbe innanzitutto capire il pattern di movimento del corpo morto, e poi posizionarsi in modo da avere velocità relativa = 0. Infine agganciarlo, ma dove? "Adesso abbiamo iniziato a mettere maniglie dappertutto, ma spesso i detriti sono oggetti costruiti anni fa, senza maniglie di aggancio. Ecco perché è stato scelto l’anello adattatore del Vega. Sia il lanciatore che la parte superiore subiscono molte vibrazioni, perciò l’anello dev’essere molto solido, massiccio e stabile. Essendo anche fatto ad anello è possibile agganciarlo, e senza rischio di distruggerlo ". Inizialmente si faranno deorbitare satellite con braccetto e detrito insieme, ma poi magari si studierà un modo per portare il detrito ad una altezza tale da far deorbitare lui in una traiettoria corretta in modo che non cada su una città, e allo stesso tempo poter far risalire il satellite attivo alla ricerca di altri detriti.
In merito alla rete cattura detriti dice “è come una Panda che si tira dietro un camion sul ghiaccio. Mentre tira ok, il camion si muove, ma se c’è da frenare o modificare l’assetto è un problema”.
Beh, un applauso
Se, per dimensioni e caratteristiche, si ha la certezza che quel detrito vaporizzi al rientro lo si potrebbe portare su un’orbita dove il decadimento e’ abbastanza veloce, e anche se il punto di rientro non e’ controllabile pazienza.
Questo potrebbe far risparmiare parecchio propellente, suppongo.
È ok pensare ad un mezzo capace di deorbitare un satellite inattivo e a rischio (vedi il caso Spaceway-1)
Ma imho il problema maggiore sta nella quantità di detriti da 0.01 a 5 centimetri.
Sono non solo in grado di mettere fuori uso qualsiasi mezzo se >2cm (e ce ne sono centinaia di migliaia) e quelli <2cm sono costantemente una fonte di degrado delle performances degli strumenti più sensibili/esposti e dei pannelli solari.
Questi ultimi non derivano da rotture o esplosioni, ma semplicemente da particelle di vernice che si staccano o residui di combustione.
Fino ad oggi ce la siamo cavata con poco, ma dobbiamo fare sempre conto della nuova space-era, quella delle large constellations. Lanci a go go.
Hai voglia a mettere maniglie e placche magnetiche per il resupero dei satelliti integri. E hai voglia anche a rendere pulito e impeccabile il sistema di rilascio, il micro detrito ce lo teniamo sempre in coda e da mettere in conto.
Impossibili da dragare, forse l’unica soluzione saranno pannelli solari capaci di affrontare questo “appannamento”?
Ad oggi (per quello che mi risulta) la ricerca va avanti per i sistemi di rilevamento (vedi pure MINIEuso) e per le tecniche di recupero, come arpioni e reti.
Nulla però che indichi un qualche avanzamento nello sviluppo di nuovi Whipple Shield (scudi fatti di vari strati di Kevlar ed alluminio intervallati da spazio vuoto) o nuovi tipi di pannelli solari.