Una volta abituati alla sensazione di microgravità fu l’ora di mettersi al lavoro (in fondo eravamo lì per condurre un esperimento), quindi avviammo il setup di WECOP ed iniziammo l’attività scientifica con i vari run (uno per parabola).
Naturalmente incontrammo tutta una serie di difficoltà legate al fatto che era la prima volta che utilizzavamo la facility in condizione di assenza di peso, diciamola tutta per quanti test avessimo fatto a terra non c’è simulazione che tenga quando poi passi a farlo per davvero.
I problemi tecnici riscontrati li risolvemmo poi nel corso del giorno successivo, ed è per questo che sono previsti tre giorni di volo per campagna.
A questo punto vorrei spendere due parole sul come si suddividono gli esperimenti in un volo parabolico, dunque abbiamo due grosse categorie:
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esperimenti che hanno un tempo di funzionamento pari o inferiore a quello di ogni singola parabola (circa 25 secondi), dunque si itera l’esperimento tante volte quante sono le parabole (al netto di possibili/probabili guasti) e si stila una statistica alla fine della campagna.
Ad esempio: la formazione di un ponte liquido (proprio come WECOP).
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esperimenti che hanno un tempo di funzionamento superiore a quello di ogni singola parabola ma che possono essere suddivisi in una serie di “step” sequenziali e ricomponibili grazie al principio di sovrapposizione degli effetti in maniera tale da ottenere un’intera sequenza al termine di ogni volo.
Ad esempio: il dispiegamento meccanico di un prototipo di pannello solare.
Qual’era il clima che si respirava durante il volo?
Lungi da essere qualcosa di spaziale sembrava più l’attività frenetica che si assiste durante un gran premio di formula uno, dove ogni team di volo fa “correre” l’esperimento durante ogni parabola per poi fare un passaggio “ai box” durante gli stop tra un gruppo di parabole ed il successivo (5 minuti) oppure durante il dietrofront dello ZEROG (15 minuti), il tutto per risolvere gli eventuali problemi oppure effettuare attività di setup.
Torniamo per un attimo ai team di volo, si vola in tanti (3, 4 o anche in 5) perché si deve prevedere sempre la possibilità che qualcuno stia male durante il volo. Sempre tornando al tedescone che mi stava a fianco (quello con la divisa di pompiere), il poveretto stette male durante il volo. Ora è vero che ci avevano raccomandato di fare una buona colazione prima del volo, ma quanto deve essere stata abbondante la sua da riempire ben 3 (e dico tre) vomit bag?
Mistero.
Una volta terminata l’ultima parabola, il comandante Le Barzic annunciò il termine del volo ed il rientro verso l’aeroporto di Bordeaux. Tutti i team provvidero a spegnere i propri esperimenti ed a sedersi al proprio sedile (il posto numerato era riportato anche sulla targhetta a strappo posta sulla tuta di ogni partecipante al volo).
Gli “angeli” della Novespace passarono tra i corridoi a distribuire bottigliette d’acqua che bevemmo avidamente.
Come fu l’atterraggio?
Come il decollo, ovvero lo ZEROG venne giù con un profilo d’atterraggio ripido ripidissimo, molto simile a quello di un velivolo da caccia piuttosto che quello di un velivolo di linea (in fondo lo A300 quello era) carico di ricercatori, stanchi, contenti, spaventati, affranti, divertiti e stomacati (alcuni).
Toccammo la pista con un tonfo pauroso, lo ZEROG rullò rapidissimo verso un raccordo laterale che portava diritto alla zona Novespace/Sogerma.
Immediatamente uno stuolo di tecnici a terra circondò il velivolo ed una volta posizionata la scaletta tutti i team di volo sciamarono all’esterno, chi diretto ai bagni (soprattutto quelli che erano stati male) chi diretto alla mensa della Sogerma (quelli che NON erano stati male).
Pur essendo stato sempre di buon appetito non ricordo mai di aver avuto una fame del genere: ci presentammo a mensa con dei vassoi colmi in maniera imbarazzante.
Deve essere stato l’effetto dello ScopDex va’…