Il Thor non era un vero ICBM quanto un MRBM ovvero aveva una lunga gittata ma non intercontinentale ed apparteneva alla stessa classe dei Redstone e degli Jupiter.
Grazie mille delle interessantissime tavole Peppe! E’ un argomento molto interessante…
Non conosco lo sviluppo tecnico fra una versione e l’altra dei vettori delle diverse famiglie ma, nella mia ignoranza, mi chiedevo quali fossero i criteri ingegneristici (ammesso che esistano sempre) perché un vettore appartenga o meno ad una certa famiglia e quindi possa foggiarsi di un certo nome… Analizzando la configurazione fisica (quindi parzialmente le fasi di missione), le dimensioni e le configurazioni dei motori si può osservare come alcuni vettori siano chiaramente l’evoluzione dei precedenti, ma ci sono - in quasi tutte le famiglie? - dei “salti evolutivi” che si discostano profondamente in quanto a configurazione, motori, dimensioni… in questo caso presumo che il nome venga conservato senza alcun (o pochissimi) riferimento tecnico quanto piuttosto proseguire con una tradizione…
Sono conscio che probabilmente occorre calarsi nei singoli casi, talvolta definiti da criteri ingegneristici e altre da tradizione, ma mi chiedo se esista un criterio ingegneristico generalizzabile…
Della famiglia R7 avrei aggiunto l’importante variante Molniya e la Soyuz L (anche se poco conosciuta, fondamentale per provare il Lander LK in orbita bassa). Mentre dal lato cinese i vettori di nuova generazione, Long March 5,6,7 non sono di derivazione icbm, ma bensì derivano i propri motori dalla famiglia Energia/Zenit russa.
Della famiglia Atlas importante è soprattutto l’Atlas II AR (primo ad utilizzare booster strap-on) e l’Atlas III, il primo a rimpiazzare il sistema a 1.5 stadi con un Rd-180.
(Ovviamente da prendere come spunto, assolutamente non una critica, anzi ottimo lavoro da parte tua!)
Queste tavole non sono nate per illustrare lo sviluppo di razzi a partire da ICBM, quanto l’evoluzione dell’intero arco e questo spiega la genesi della tavola dedicata ai vettori cinesi.
Questi disegni sono stati realizzati per essere inclusi in una eventuale seconda edizione del libro Spacecraft.
Pur non essendo ICBM, i sovietici negli anni immediatamente successivi alla II Guerra Mondiale estrapolarono dalla A4/V2 originaria una vasta famiglia di missili balistici dai quali, a loro volta sono derivati dei vettori spaziali (per lo più suborbitali):
Naturalmente esiste un “sequel” ufficiale alla famiglia A4/V2 rappresentato dal lavoro condotto da von Braun e dal suo gruppo di esuli di Peenemunde presso il Redstone Army Arsenal dal quale poi è stato mutuato il nome del missile:
L’ultimo capitolo della saga potremmo chiamarlo “L’attacco dei cloni”, dal momento che si tratta dei Dong Feng DF-1 e DF-2, rispettivamente copie dei missili russi R2 ed R5: