Buongiorno a tutti,
durante AstronautiCON 6 ho avuto modo di esporre ad alcuni di voi un interessante teoria riguardo al famoso incidente del Columbia.
Il colonnello Vittori, che ha volato con lo Shuttle nell’ STS-134, ha esposto alcuni dubbi sulle conclusioni del CAIB in un seminario tenuto agli studenti di ing. Aerospaziale del Politecnico di Torino.
Andiamo per gradi:
Un incidente non è mai causato da un solo avvenimento, ma da una concatenazione di eventi. Solo la ricostruzione di tutti questi eventi può far capire cosa realmente sia successo e quali sono le cose che si può apprendere per evitare che questi incidenti ricapitino.
Al momento del decollo un oggetto massico colpisce il bordo d’attacco della semiala sinistra danneggiando il rivestimento della stessa. Sappiamo benissimo che l’oggetto in questione si è staccato, insieme ad altri centinaia, dall’ET a causa delle estreme vibrazioni a cui è sottoposto il sistema al momento del lancio. Eliminare (o solo ridurre efficacemente) queste vibrazioni è risultato impossibile in tutti i seguenti lanci dello Shuttle.
Al momento del rientro, esattamente alle 9:00:18 (Entry Interface +969 secondi) si disintegra nel cielo del Texas.
Perchè?
La risposta del CAIB è a grandi linee: perdita della protezione termica → riscaldamento locale della struttura → abbassamento dei carichi limiti della struttura → cedimento strutturale e distacco della semiala sinistra.
Tenendo presente che i signori del CAIB non sono gli ultimi arrivati e che la teoria è sicuramente valida, il col. Vittori ha posto una questione:
Che cos’era il Columbia al momento del disastro? Un ‘satellite’ o un ‘aeroplano’?
Le condizioni erano quota 200.000 ft velocità Mach 18, andando a fare due rapidi calcoli si trova che la forza agente sul velivolo era per il 50% portanza aerodinamica e per il 50% forza centrifuga…
Come viene gestita la traiettoria di rientro? Lo Shuttle rientra con un’incidenza di circa 40°, questo impedisce l’utilizzo della deriva perchè completamente oscurata dalla sagoma del velivolo, gli unici sistemi di controllo sono le superfici mobili alari (elevons) perchè in fase di progetto si è pensato di eliminare l’opzione TCS (thruster) e utilizzarla solo in caso di emergenza per evitare di portarsi dietro troppo combustibile (quindi peso).
Come fa a controllare la traiettoria con i soli elevons? Semplice, variando l’incidenza si ottiene la resistenza all’avanzamento voluta, inclinando il velivolo a destra e sinistra (cioè virando) con gli elevons si ottiene la portanza utile (cioè la componente verticale della portanza) voluta per il rateo di discesa necessario. (Se vi siete mai chiesti perchè lo shuttle fa le virate…)
Quando si fa una virata però sorgono dei problemi, tipici del mondo aeronautico e assenti in quello spaziale, quali sono gli accoppiamenti degli effetti: quando abbasso l’elevon di destra per compiere una virata (a destra) ottengo un rollio dovuto alla differenza di portanza (tra semiala destra e sinistra) e un’imbardata dovuta alla differenza di resistenza. Quindi il mio muso si alzerà in alto a destra. Un aereo (o un aliante) classico sono costruiti ‘stabili’ e l’effetto diedro riporta il velivolo in condizioni di stabilità… ma uno Shuttle è instabile! Quindi la correzione per evitare di perdere il controllo è gestita dal pilota automatico.
E qui sorge il problema: il computer, cioè il pilota automatico, è capace di risolvere situazioni ben preordinate, non sa gestire situazioni che non conosce.
Se la configurazione aerodinamica dello Shuttle in rientro non è quella prevista dal computer, come nel caso di un ‘buco’ in una semiala, in cui il profilo aerodinamico risulta per forza essere asimmetrico, questi non sa gestire più la situazione… il velivolo perde stabilità, entra in vite piatta, i carichi aerodinamici anomali, aiutati dalla perdita di resistenza meccanica della struttura dovuta al surriscaldamento nel ‘buco’ (non più quindi la causa principale ma una concausa), portano al distacco della semiala e al tragico finale che tutti conosciamo.
Le prove? Poche, ma che fanno sicuramente pensare: a parte la matematica e le considerazioni della meccanica del volo che vi ho appena esposto:
il sensore di pressione totale della superficie inferiore della semiala sinistra: da 30 secondi a 20 prima dell’incidente la pressione è una linea costante, poi succede qualcosa e questa linea cominicia ad ondeggiare per poi diventare una sinusoide regolare per 15 secondi prima dell’interruzione del segnale. (dalla scatola nera del Columbia).
Cosa vuol dire? Il CAIB sostiene che ci sia stato il distacco dell’ala, poi una rotazione casuale sui tre assi del velivolo integro e poi la sua distruzione. Però una sinusoide regolare non la vedrete mai su un velivolo senza una semiala, la vedete sempre invece in un velivolo ancora integro che va in vite piatta!
Per due secondi, durante quella sinusoide, qualcuno ha staccato manualmente il pilota automatico e tentato di controllare il Columbia in manuale (sempre dati della scatola nera). Che, guardacaso, è proprio un’operazione che i piloti collaudatori (quali sono quasi tutti i comandanti degli Shuttle) sono addestrati a fare quasi inconsciamente nel caso di perdita del controllo del velivolo.
Concludo dicendo che questo post non vuole essere polemico e che la spiegazione del CAIB rimane comunque valida… La spiegazione del col. Vittori però mi è sembrata esauriente e molto ben documentata. Il messaggio finale vuole essere: Bisogna ricercare profondamente le cause del disastro del Columbia e studiare meglio i fenomeni che avvengono nelle condizioni di rientro ipersonico per poter evitare altri disastri e creare velivoli futuri efficienti e sicuri.
Occhio, ciò che sostiene il CAIB (con il quale concordo al 100%) è che quello che ha condotto lo Shuttle a disintegrarsi negli strati alti dell’atmosfera terrestre quel maledetto giorno di febbraio non è stato un cattivo allineamento aerodinamico dovuto al buco nel bordo d’attacco della semiala sinistra, quanto il plasma (ossia il gas, composto da molecole di ossigeno, fortemente ionizzato e caldissimo) che si genera per attrito durante il rientro.
Il plasma ha “camminato” all’interno della semiala sinistra, muovendosi nei punti di minor resistenza, fino alla radice della semiala sinistra. A questo punto ha sciolto, letteralmente, gli attacchi ala-fusoliera portando al distacco della semiala sinistra ed alla catastrofica entrata in vite e successiva disintegrazione di ciò che restava dell’orbiter.
Massimo rispetto al Col. Vittori, ma gli effetti di perdita dell’assetto sperimentati dal Columbia nelle ultime fasi della sua vita erano un effetto più che una causa, quanto all’entrata in vite questo è uno dei possibili effetti della perdita di una semiala (ad esempio).
200.000 piedi sono circa 40 km: non siamo negli strati alti dell’atmosfera ma siamo quasi nella fase ‘aeronautica’ del volo… (solo con la questione ‘caratterizzazione dell’atmosfera’ si potrebbe avviare un altro thread.)
Inoltre io non ho parlato di un ‘cattivo allineamento’ ma di una configurazione aerodinamica non simmetrica, che vuol dire che le condizioni aerodinamiche sulla semiala sinistra erano diverse dalla semiala destra, che inoltre giustificherebbe l’accensione dei thruster da parte dell’autopilota per compensare quello che l’elevon non riusciva a fare da solo.
Indipendentemente dal fatto che tendo a credere alle ‘teste d’uovo’ del CAIB, il fatto che il plasma ‘cammini’ all’interno della semiala e vada a intaccare l’attacco alare della struttura mi fa storcere un pò il naso: credo che la spiegazione del cedimento strutturale dovuto ai carichi strutturali al di fuori del diagramma di inviluppo dello Shuttle dovuta alla vite piatta, unita all’indebolimento (e non cedimento completo) della struttura per il riscaldamento localizzato sia un’ipotesi, quantomeno, altrettanto valida.
Quello si, infatti Vittori proponeva di provare le condizioni del volo su un simulatore dinamico (praticamente una centrifuga con più gradi di libertà), in cui installare un modello strutturale dello Shuttle e sottoporlo al profilo di carichi aerodinamici basati sui database di tutti i 134 voli di rientro STS (compreso quello dello stesso Columbia).
Il problema è ‘mettere le mani’ su questi dati… probabilmente potrebbe ottenerli un’università americana, per noi la vedo un pò difficile!
E poi serve la centrifuga…
Non ricordo la fonte, ma sapevo che fino a 7.000 km/h la navetta usava i razzi di manovra, non le appendici aerodinamiche, che credo siano soggette a carichi eccessivi alle condizioni di rientro.
Il flusso di gas ionizzato, una volta entrato nell’ala ha fatto scempio di tutto quello che trovava. Ha surriscaldato le strutture portanti che soggette a sforzo si sono deformate e poi rotte. Le vibrazioni ci stanno benissimo combinando gli effetti dei moti dei gas ionizzati con quelli della risposta dinamica delle strutture e dei sistemi di controllo del volo.
Che i computer non sapessero cosa stava succedendo è scontato. E nemmeno l’equipaggio lo sapeva. Tanto che come affermato sopra, qualcuno ha preso i comandi pensando che i computer si fossero guastati.
Quanto all’avvitamento dalle immagini si ha la sensazione che la scia nasceva da qualcosa che ruotava. L’ala tagliata ha perso portanza, mentre l’altra è rimasta inalterata. La navetta ha iniziato a ruotare attorno all’asse longitudinale, poi ha perso l’equilibrio e la rotazione è passata sugli altri due assi. Il resto viene di conseguenza.
Temo che nessuno, umano o cibernetico, avrebbe potuto salvare il Columbia. La domanda sarebbe un altra: se il danno fosse stato rilevato prima, cosa si poteva fare?
Questo è sicuro, al momento del rientro la sorte del Columbia era comunque segnata.
Se il danno fosse stato rilevato prima non so cosa si sarebbe potuto fare. La riparazione in orbita sarebbe stata possibile?
Un fatto è comunque chiaro: il computer dello Shuttle era programmato per gestire un insieme finito di possibili situazioni, che limitavano uno strettissimo ‘corridoio’ di eventi. Al di fuori di quel path codificato ogni rientro sarebbe stata una possibile tragedia.
Nel ritiro degli Shuttle bisogna prendere in considerazione il fatto che non era più una questione ‘SE fosse successo un altro incidente?’, ma di QUANDO.
Come dice Biduum “per un limitato tipo di danni”: i danni del Columbia sono comunque valutati eccessivi anche per le missioni successive, per le quali in un caso simile, la procedura prevedeva l’abbandono del veicolo al rientro atmosferico a portelloni aperti e di coda, in modo da disintegrarlo il più possibile, l’ equipaggio sarebbe rimasto sulla ISS in attesa di un altro shuttle con i soli due piloti a bordo. Questa procedura ha portato al numero massimo di astronauti a bordo dello shuttle ridotto a 6 e a due missioni anomale: l’ultima di manutenzione di hubble, per la quale era pronta in rampa una seconda navetta di salvataggio pronta a decollo in pochi giorni, non essendo possibile spostarsi dall’ orbita di hubble all’ orbita della ISS; e l’ultima missione shuttle STS135 ridotta a 4 componenti per eventualmente permettere il recupero degli astronauti con di soyuz pilotate da russi visto che non c’erano più shuttle disponibili.
In tal caso non si sarebbe tentato un rientro dello Shuttle con il pilota automatico senza equipaggio? Si parlava di particolari cavi che sarebbero serviti a collegare fisicamente parti differenti del cockpit per permettere ai computer di “pilotare” l’orbiter.
Precedentemente alla missione STS-121 le procedure prevedevano che lo Shuttle danneggiato venisse abbandonato e distrutto facendolo rientrare nell'atmosfera. Le missioni Shuttle successive avevano in dotazione un cavo di 8,5 metri progettato per collegare i controlli manuali del ponte di volo in modo da permettere al controllo di missione di far atterrare lo Shuttle danneggiato senza equipaggio a bordo. Una tale eventualità potrebbe essere presa in considerazione nel caso il veicolo fosse troppo danneggiato per rischiare un atterraggio con persone a bordo, ma con delle possibilità di poter atterrare intatto. Il sito di atterraggio per un tale volo automatico potrebbe essere la base Edwards Air Force Base in California[4] dove un grande letto di un lago prosciugato permetterebbe un maggiore margine di errore. Un altro possibile sito di atterraggio potrebbe essere anche il White Sands Missile Range nel Nuovo Messico.[1] In base alle regole di volo presenti, la traiettoria di rientro dello shuttle danneggiato sarebbe tale che, in caso di incidente i detriti precipitino dell'Oceano Pacifico del sud.[2]
A sessanta chilometri di quota e diciotto Mach siamo più in un ambiente spaziale che in uno atmosferico. Però a tale velocità la densità dell’aria è già sufficiente a permettere almeno in parte il controllo aerodinamico. Da quanto mi pare di ricordare, a quella quota e a quel punto del rientro lo shuttle ha un’inclinazione minore di 40 gradi e proprio per questo motivo si adoperano anche le superfici aerodinamiche nel controllo dell’assetto. La faccenda dei dodici secondi di oscillazione mi è nuova, ma devo dire che la comprendo benissimo, potrebbe far parte della fase iniziale della perdita di controllo. In tutti i sistemi di controllo una perturbazione non violenta dà luogo a risposte via via maggiori e ciò induce oscillazione che vengono controllate mano a mano con interventi sempre maggiori in ampiezza ( non in frequenza ed impiegando sempre più tempo per ogni ciclo) finchè il sistema va in saturazione e non è più in grado di correggere. Nel caso specifico è anche stato detto che gli RCS di prua fossero intervenuti anche dopo il momento in cui essi normalmente non vengono più impiegati. Trovo del tutto plausibile che il comandante ed il pilota abbiano capito dopo pochi secondi che l’oscillazione non era naturale e che giudicassero la situazione talmente seria da appropriarsi del controllo manuale. A questo punto, naturalmente, si tratta di reazioni istintive da pilota, che si fanno anche se si ha capito che la situazione è del tutto fuori controllo e non porteranno a nulla di buono. Il pilota ci prova, sempre e comunque.
Ciò che dice Vittori, almeno da come qui riportato, non mi pare nulla di rivoluzionario. Non trovo idee tali da riscrivere il rapporto del CAIB. Il problema all’ala non fu mai evidentemente scoperto ma semplicemente supposto in base all’analisi delle immagini foto e video dell’ascesa e un rapporto venne fornito anche al comandante il giorno dopo, anche se dobbiamo dire che probabilmente fu “informato” in maniera piuttosto “tendenziosa”. Voglio dire, il CAIB stesso denuncia come moltissimi “sospetti” di danneggiamento dell’ala che sorgevano tra tecnici ed ingegneri non arrivassero ai dirigenti della missione per via del fatto che tra i livelli della NASA ci sono (c’erano) troppi compartimenti stagni e semplicemente le “idee” non circolavano. I controllori di volo non hanno il tempo di capire a fondo ma ci sono state anche decisioni in NASA (durante la missione, come non ricordare la signora che non approvò la spesa per utilizzare un satellite da ricognizione orbitale per fotografare il fondo della navetta bollandola come inutile?) che hanno probabilmente diminuito le possibilità di capire meglio il problema.
Il Columbia, in base alle peggiori supposizioni, era del tutto inadatto a rientrare in atmosfera. Ma poteva benissimo rimanere in orbita per più di un mese dato che era dotato del pallet di combustibili aggiuntivo. Non era dotato di attrezzature adatte a una riparazione nè erano state fatte simulazioni o addestramenti che potessero aiutare in simili condizioni. Il CAIB scrive che si potevano lontanamente ipotizzare solo DUE interventi riparativi, solamente se si fosse stati sicuri del buco nell’ala ma certamente si va nell’ipotesi di pura fantascienza e disperazione. Fortemente rischiosi ambedue. Uno, era riempire il buco nell’ala con materiali densi e pesanti (chiavi, bulloni, computer portatili) e fissarli con adesivi e sacchetti di acqua (che gelando sarebbero diventati duri e stabili) e ricoprire almeno parzialmente il bordo d’attacco con materiali atti a simulare la continuità del profilo. In questo caso il calore del plasma durante il rientro avrebbe attaccato dapprima i materiali densi che avrebbero assorbito l’energia per un tempo FORSE sufficiente ad impedire che la struttura in alluminio ne venisse ammorbidita. Trovo quest’idea molto plausibile ma ovviamente estremamente improbabile da realizzare nelle condizioni del Columbia di allora. Seconda ipotesi, dichiarare emergenza e interrompere tutte le attività di bordo con lo scopo di mantenere in orbita Columbia il più possibile. Atlantis era sulla rampa di lancio e modificando il suo piano di missione poteva FORSE essere approntato in un mese, con un equipaggio di soli quattro astronauti. Missione di salvataggio.
Questa ipotesi sarebbe stata possibile solamente in base a una presa di coscienza totale della NASA e del governo americano, e solamente se una simile decisione fosse presa da qualcuno sia da parte dei controllori che da parte del management in un fulmineo atto unitario di responsabilità. Cose che nella NASA da molti decenni non avviene, mentre avvenne, eccome, con Apollo 13.
La “soluzione” naturale fu invece quella di… non decidere, perchè mancavano dati ed informazioni. Quasi sempre le navette rientravano con grossi buchi dappertutto. Non c’era alcun motivo di supporre che ci fosse… un buco molto più grosso. Il comandande si disse d’accordo con le conclusioni da terra e pensò a mandare avanti la missione, anche perchè lui seppe molto meno di quando si sapeva a terra, che era comunque molto poco.
Il CAIB scrive esattamente questo.
Premetto che il rapporto del CAIB non l’ho letto (o meglio l’ho letto tempo fa a tratti) e purtroppo non ho il tempo materiale per rileggerlo ora, però ero alla lezione di Vittori.
Il colonello è stato volutamente polemico e in alcuni casi ha semplificato la situazione per mettere in evidenza gli aspetti per lui più importanti, ma, a mio parere, è perfettamente consapevole della complessità del problema. Come dice Cristiano “Il problema all’ala non fu mai evidentemente scoperto ma semplicemente supposto” e citando Archipeppe “Occhio, ciò che sostiene il CAIB (con il quale concordo al 100%) è che quello che ha condotto lo Shuttle a disintegrarsi negli strati alti dell’atmosfera terrestre quel maledetto giorno di febbraio non è stato un cattivo allineamento aerodinamico dovuto al buco nel bordo d’attacco della semiala sinistra, quanto il plasma (ossia il gas, composto da molecole di ossigeno, fortemente ionizzato e caldissimo) che si genera per attrito durante il rientro.”
Io la vedo come una concausa. Il plasma ha generato la condizione di rientro atmosferico asimmetrico (cosa che avevo già letto e anche sentito da una conferenza di Guidoni), ha creato maggiori sollecitazioni
rispetto al rientro nominale e il plasma penetrato nell’ala ha abbassato la resistenza a rottura dell’attacco. La nota polemica e provocatoria è stata quando Vittori ha fatto notare che la
rottura dell’ala è avvenuta dopo che è stato re-inserito l’autopilota. Sicuramente il Columbia sarebbe stato distrutto, forse dopo qualche secondo in più, ma questo non cambia la sostanza dei fatti.
Quello che Vittori voleva evidenziare con questa provocazione (che poi era il succo della conferenza/lezione) era/è la mancata caratterizzazione dal punto di vista aerodinamico e di meccanica del volo dello shuttle in quella zona che lui considera “mista”.
Il software di controllo dello shuttle (a detta di Vittori) è rimasto sostanzialmente invariato dalla sua nascita perché all’interno c’erano una serie di “pezze” per considerare un fase del volo su cui si sapeva poco.
E il fatto che abbia funzionato sempre dava la confidenza che avrebbe funzionato ancora e che era meglio non cambiare ciò che ha sempre funzionato. Ma il Columbia è rientrato in condizioni non previste: come ha risposto il sistema di controllo a queste condizioni? Sicuramente non avrebbe salvato il Columbia, ma per futuri spazioplani (e relativi sistemi di controllo) si dovrebbe capire cosa succeda realmente. E dal punto di vista sperimentale è stato fatto relativamente poco.
L’altro problema che metteva in evidenza è la bassa interfaccia uomo-macchina nello shuttle. Per esempio non c’era un indicatore che ti facesse capire qual’era il tuo margine di stabilità (questo a suo dire, ma dato che ci ha volato ed è un pilota, tendo a fidarmi di questo aspetto) e le “handling qualities” sono state tenute in bassa considerazione. Che può andare bene per un velilovo prototipale, ma non per le successive generazioni.
E poi sorgono una serie di questioni: in quel tratto può aver senso parlare di “stallo”? E di “strato limite”? Si parla di un regime in cui il libero cammino medio delle particelle è dello stesso ordine di grandezza
della corda alare dello shuttle. Eppure fenomeni di tipo aeronautico come lo strato limite sembrano presenti.
Questo post è solo per aggiungere informazioni sulla lezione in sè, non sull’argomento dell’incidente del Columbia su cui non so molto di più, ma sottolineando che lo scopo era principalmente di porre omande più che dare risposte.
E mi sembra un’occasione per una buona discussione
Dubito molto che qualsiasi sofware avrebbe gestito quella situazione meglio di qualsiasi pilota.
Una parte fondamentale del tuo veicolo è stata resa vulnerabile da una mancanza di un altra parte. Se l,a navetta poteva volare in quelle condizioni anche senza la protezione termica… la facevano volare.
Sappiamo che qualche mattonella si è staccata, già al primo volo, ma erano “secondarie”. Danno limitato.
Qui si parla dei rivestimenti di grafite del bordo d’attacco, il punto PIU’ critico della struttura. Senza quella protezione termica la struttura era condannata senza appello. E così è stato.
la navetta non avrebbe mai potuto cambiare assetto per “alleggerire” la parte danneggiata senza danneggiare tutto il resto.
Che poi c’erano problemi d’interfaccia… su un veicolo vetusto quale era la navetta… non mi stupisce. In fin dei conti era un compromesso di tante cose, costosissimo. Il mancato aggiornamento di certe funzioni rientra nel clima di risparmio che gravitava intorno al nostro sogno spaziale.
Adesso il sogno non vola più. Il problema è esaurito. Facciamo tesoro per il futuro ed i sette del Columbia non saranno morti invano.
I moderni aerei da caccia (e per moderni intendo dall’F-16/18 in poi) sono stati progettati con una stabilita “rilassata”, ovvero intrinsecamente instabili per poter meglio manovrare in caso di combattimento aereo (cioé esattamente il contrario dei caccia anni 50/60 che puntavano tutto, ma proprio tutto, sulla velocità). Per poter pilotare in tutta sicurezza un velivolo così concepito c’è bisogno tra il pilota e le superfici di controllo attivo, che in mezzo ci sia un computer che consenta di “tradurre” i movimenti di pedaliera e barra in qualcosa di “comprensibile” per l’aerodinamica asimmetrica del velivolo.
In caso vada in pappa il computer al pilota non resta che fare una sola cosa: lanciarsi.
Lo stesso vale, a grandi linee, per lo Shuttle.
L’orbiter è stato pensato per essere guidato manualmente solo nella fase terminale del suo volo, ossia in aria densa ed a velocità subsonica. Tutto il resto del rientro era governato dai famosi 5 computer con cui erano equipaggiati gli orbiter.
Magari alla agli astronauti NASA veniva impartito anche un addestramento a pilotare manualmente durante il rientro ma con la riserva mentale che un’eventualità del genere non dovesse mai capitare (ossia il guasto di più di 2 computer su 5) e da usare solo come ultima disperata risorsa.
Difatti nessun Orbite è mai rientrato a terra con un volo completamente manuale.
Pilotare manualmente l’Orbiter in quelle condizioni sarebbe stato veramente difficile anche se il Columbia non fosse stato danneggiato, proprio perché gli astronauti avrebbero faticato non poco a mantenere l’Orbiter nel sentiero di rientro previsto.
Sul fatto che la struttura fosse condannata senza appello sono d’accordo con te.
Ma per far tesoro di quello che è successo per il futuro bisogna mettere in evidenza tutti gli elementi “sentinella” e poterli studiare.
Mi spiego meglio: che il foam del serbatoio esterno dello shuttle si staccasse lo si sapeva da tanto, ed era un evento sentinella, nel senso che indicava che qualcosa non andava come previsto. Evento che è stato trascurato o meglio sottovalutato fino all’incidente del Columbia. E segnalo anche l’ultimo post di Wayne Hale su cosa si è rischiato anche dopo l’incidente del Columbia http://waynehale.wordpress.com/2012/04/18/how-we-nearly-lost-discovery/ (probabilmente conoscete già il problema) a causa del foam e su quanto difficile sia capire le cause “radice” dei problemi.
La presentazione di Vittori ha messo in luce alcuni elementi ‘oscuri’ sulla dinamica dello shuttle su cui si potrebbe lavorare o ragionare. Può darsi anche che ci siano articoli in letteratura che trattino l’argomento e di cui lui non fosse a conoscenza. Non penso che questi elementi siano la causa diretta e unica del disastro del Columbia, ma il fatto che siano oscuri o poco chiari dovrebbe portare a studiarli se vogliamo una nuova generazione di spazioplani.
Vittori, da pilota, ritiene che la caratterizzazione della meccanica del volo in quella fascia non sia sufficiente e che quindi bisognerebbe approfondirla per il futuro. Le riflessioni sull’incidente del Columbia sono state l’occasione e il filo conduttore della presentazione proprio per porre queste domande.
Riguardo al software e la possibilità del “man in the loop” il problema era proprio che qualsiasi minima perturbazione porta lo shuttle molto lontano del sentiero di rientro previsto, quindi per un essere umano è impossibile prevedere l’effetto che quella correzione avrà nel lungo periodo. Ma se ci sono dei rientri “non previsti” il software non può fare molto.
Riguardo alla necessità di avere un comando “tradotto” dal computer, raccontava del forte accoppiamento del piano latero-direzionale, dovuto anche all’assetto che porta la deriva in ombra. In caso di azionamento degli elevoni che in un aereo tradizionale avrebbe portato ad una manovra di rollio in una direzione, sullo shuttle aveva come primo effetto una rotazione nella direzione opposta. Quindi la manovra di rollio era eseguita con un’azionamento dell’elevone prima nella direzione opposta a quella “normale” per un aereo e poi nella direzione “corretta”