La tragica missione della Soyuz 1

Lunedì 23 Aprile sarà il 40° anniversario del primo volo della mitica Soyuz. Un piccolo gioiello dell’industria spaziale prima sovietica e poi russa, semplice ma per questo robusta e affidabile, capace di svolgere egregiamente i compiti ad essa demandati. Il successo di questa piccola navetta è di dominio pubblico, almeno per gli addetti ai lavori e appassionati, ma come spesso accade dietro un tale successo, si nasconde un tragico e negativo inizio. Nel ricordare il sacrificio di un uomo che con il suo eroismo (eroismo vero e non mediatico come quello a cui siamo abituati oggigiorno), volevo ripercorrere con voi i principali eventi che portarono a quel primo fatidico volo.

IN PREPARAZIONE DELLA SOYUZ 1
In corsa per la Luna, assieme agli Americani, i sovietici cominciarono subito a fare i progetti per una nuova capsula. I lavori iniziarono già a partire dal 64 per poi arrivare al 65 dove venne approvato il disegno definitivo della nuova capsula, nella forma così come la conosciamo oggi, e sulla quale tutte le altre versioni si sarebbero basate. Questo primo progetto di Soyuz viene spesso indicato come la “Soyuz originale”. Ovviamente prima di procedere ad un volo con equipaggio umano a bordo era necessario effettuare una serie di voli di prova unmanned al fine di certificare il mezzo per il volo spaziale. I piani originali prevedevano la costruzioni di 2 capsule entro il quarto trimestre del 65, seguite da ulteriori capsule nel primo e secondo trimestri dell’anno successivo. Il primo volo avrebbe visto fin da subito il lancio di una seconda capsula al fine di cominciare a prendere confidenza con le manovre di docking, necessarie per le future missioni lunari. Stesso programma di volo avrebbero poi dovuto seguire le prime due missioni con equipaggio a bordo, questa volta con anche delle EVA. Nonostante le buone intenzioni, i continui ritardi nella produzione dell’hardware di terra e di volo fecero slittare il primo volo verso la fine del 66. Nel frattempo il successo del programma Gemini, echeggiava in tutto il mondo, impazientendo non poco la classe politica sovietica, che premeva a tutti i costi per accelerare le cose al fine di rivedere al più presto un cosmonauta di nuovo nello spazio. Intanto le nomine per i primi equipaggi vennero già fatte, e si stabilì che il Colonnello Komarov (il quale aveva già volato nella missione Voshod 1) sarebbe stato il primo cosmonauta a pilotare una Soyuz nello spazio. Il 28 novembre 1966 venne finalmente lanciata la prima capsula Soyuz unmanned, denominata 7K-Ok n°2. Il piano di volo prevedeva, come già citato prima, di lanciare il giorno dopo un’altra Soyuz, la 7K-Ok n°1, con la quale si sarebbe poi incontrata e successivamente agganciata. Nonostante l’ascesa fosse avvenuta senza nessun difetto, a parte una leggera caduta di prestazione del lanciatore, al momento della separazione dal terzo stadio, la pressione del serbatoio per il controllo della manovra di approccio e di orientamento, caddè improvvisamente a valori bassissimi. I motori di manovra continuarono a rimanere in funzione per u15 minuti esaurendo quasi tutto il combustibile a disposizione. A questo punto non era più possibile completare il previsto piano di volo, per cui il roll-out della seconda Soyuz venne cancellato. Dopo aver preso in considerazione vari modi per controllare l’assetto della capsula al fine di permettergli un rientro controllato a terra, alla 33° orbita venne dato il comando per il de-orbit. L’accensione tuttavia fu troppo breve, anche se permise comunque alla capsula di iniziare il rientro. Durante il rientro, però, la capsula oltrepassò il territorio sovietico dirigendosi verso la Cina. I computer di bordo pertanto innesco i 23 Kg di TNT presenti a bordo e i resti della capsula caddero nel Pacifico. Quattro commissioni vennero nominate per accertare le cause dei vari malfunzionamenti e quindi per dare ulteriori indicazioni su come migliore il progetto. Alla stampa internazionale questo volo venne reso noto con il nome di Cosmos 133.

Risolti i problemi che afflissero il volo di Cosmos 133, l’8 Dicembre si decise di lanciare l’altra Soyuz rimasta a terra, questa volta però con un piano di volo che prevedeva una sola capsula in orbita al fine di convalidare il mezzo. Il 14 Dicembre Soyuz n°1, venne eretta sul pad di lancio 31 e alle 16:00 ore locali i motori del lanciatore R-7 si accesero per spegnersi subito dopo. Messa in sicurezza tutta l’area, una squadra di tecnici si avviò verso la rampa. Poco dopo, improvvisamente il sistema di emergenza della soyuz si innesco lanciando via dal razzo la capsula. Subito dopo un’enorme incendio divampò a partire dal terzo stadio, facendo pochi istanti dopo esplodere l’intero lanciatore. Subito venne aperte una commissione di inchiesta per capire cosa fosse successo. Al momento dell’accensione di motori, il sistema di bordo rilevò un problema in uno dei booster laterali, dando inizio alla sequenza di spegnimento di tutti i motori. Dopo che l’area e il lanciatore erano stati messi in sicurezza, si procedette con il richiudere sul lanciatore l’impalcatura esterna di sostegno. Evidentemente quando il sistema di spegnimento automatico si è attivato, inavvertitamente dovette avere attivato anche il sistema di escape di emergenza. Mentre l’impalcatura esterna del pad veniva rimessa in posizione, le oscillazioni del lanciatore devono avere indotto in inganno il sistema di escape, iniziando così la procedura di distacco di emergenza. Mentre questa avveniva, alcune condutture del modulo di servizio della Soyuz si recisero, facendo così fuoriuscire del combustibile altamente infiammabile, che si incendiò a causa delle fiamme dei motori della torre di escape. Di conseguenza l’incendio dal modulo di servizio si propagò al terzo stadio del lanciatore e quindi a tutto il lanciatore stesso che esplose poco dopo. Degno di nota il fatto che 3 soli giorni prima, in un test del sistema di escape, si verificò il medesimo incidente, anche se il lanciatore non esplose dato che non era pieno di propellente. Kamanin seppe di questo solo dopo l’incidente a Baikonour. Il lato positivo di questo incidente, fu che si dimostrò che il sistema di escape di emergenza funzionava correttamente.

Con un pad fuori uso, alla meno peggio si sistemò il pad 1, affinché potesse ospitare il lanciatore della Soyuz. Dopo ritardi vari, il 7 febbraio 67, con il nome di Cosmos 140 la capsula Soyuz n°3 entrava in orbita. Nuovamente ci furono problemi seri con i motori di manovra e con il sistema di controllo dell’assetto, ma nonostante questo si riuscì a far rientrare la capsula, la quale atterrò direttamente nel lago di Aral, ben 510 Km dal punto previsto di atterraggio. Le operazioni di recupero furono piuttosto difficili, a causa del fatto che la capsula si era conficcata ben dentro un iceberg, affondando parzialmente nelle gelide acque del lago. Alla fine un elicottero riuscì a trascinare fino a riva la capsula così che venne recuperata. Le indagini mostrarono che lo scudo termico durante il rientro si era fratturato, e pertanto vennero fatte delle raccomandazioni riguardo alla fabbricazione dello scudo termico.

Con tre voli conclusisi senza successo, era più che evidente che la Soyuz non era una capsula ancora pronta per essere equipaggiata con cosmonauti. Le pressioni politiche però erano forti e la propaganda spingeva perché al più presto un sovietico fosse mandato nello spazio. Con la consapevolezza che si stava commettendo un grave errore, la missione Soyuz 1 venne approvata.

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LA MISSIONE
L’addestramento degli equipaggi per le primi missioni manned soyuz iniziarono già a partire dal settembre del 65. Il piano di missione approvato prevedeva prima il lancio di una capsula con a bordo un solo cosmonauta seguita il giorno successivo da un secondo lancio con questa volta a bordo 3 cosmonauti. Le due capsule si sarebbero poi incontrate in orbita e aggagiate. Due cosmonauti della seconda capsula sarebbero poi passati tramite EVA nell’altra Soyuz, ritornando a terra con essa. Un simile piano, piuttosto ambizioso per essere il primo volo della Soyuz, probabilmente avrebbe consentito ai russi di acquistare conoscenza sulle necessarie operazioni di docking e EVA per future missioni lunari. Mentre i preparativi per la missione fervevano, nel periodo febbraio – marzo del 67, si continuava a valutare la funzionalità della nuova astronave. Nessuno dei tre voli unmanned precedenti si era rivelato un successo al 100%, ognuno di essi ogni volta poneva di fronte ai progettisti nuovi errori e problemi che dovevano essere risolti per poter arrivare a dire che la capsula potesse essere operativa. Tuttavia si era abbastanza fiduciosi che il lavoro di revisione fin li svolto, fosse stato più che sufficiente per evitare l’insorgere di nuovi problemi. Ci fu chi propose di verificare a terra che effettivamente l’impianto di condizionamento della capsula potesse sostenere il carico di 3 uomini per 3 giorni completi. Tuttavia questo avrebbe comportato degli ulteriori ritardi che non ci si poteva permettere, per cui non venne effettuata nessuna simulazione. Si raccomandò comunque di non far durare la missione oltre le 66 ore, anche perché il sistema non disponeva di nessun dispositivo che mostrasse ai cosmonauti quanto aria rimaneva nei serbatoi. Si decise pertanto che il lancio avrebbe avuto luogo o il 22 o il 23 di aprile. Piuttosto difficile fu il decidersi su come sarebbe avvenuto il docking. Korolyov era del parere che fosse meglio affidarsi completamente ad un sistema automatico, mentre come era del resto ovvio, i cosmonauti preferivano un approccio manuale, il quale sarebbe stato anche più facile. Fu Komarov alla fine a proporre la soluzione vincente: fino a 350 metri di distanza la manovra sarebbe stata sotto il controllo del computer di bordo, dopo di che Komarov avrebbe condotto manualmente la parte finale della manovra.

Il 22 di Aprile Komarov iniziò le necessarie procedure di preparazione al volo. In giornata venne visitato da Kamanin che li ricordò come l’obbiettivo primario era quello di poter ritornare a casa sano e salvo, il docking sarebbe stato di secondaria importanza. Con viso stranamente cupo e preoccupato, Komarov si avviò verso la rampa di lancio. Il lancio avvenne alle 03:35c MT del 23 Aprile, e dopo una decina di minuti la capsula entrava in un orbita di 196.2 X 225 Km con inclinazione di 51°, 72. Subito però ci si accorse che qualcosa non andava. La telemetria trasmessa a terra mise in evidenza come il pannello solare sinistro non si fosse dispiegato, impedendo in questo modo all’antenna di back-up per la telemetria di dispiegarsi a sua volta. Anche il sensore stellare 45K presentava problemi, probabilmente a causa di un po’ di umidità in esso presente che quindi oscurava lo strumento. Dopo aver completato la prima orbita, Komarov comunicò a terra che stava bene ma che in nessun modo era riuscito ad orientare la capsula verso il solo. Si dice anche cha avesse provato a dare dei forti pugni sullo scafo al fine di poter liberare il pannello con le vibrazioni. Il problema era piuttosto serio. Dovendo far ricorso alle sole batterie di riserva, l’energia si sarebbe esaurita molto rapida, e la missione non avrebbe potuto durare più di un giorno. Tra la settima e tredicesima orbita, essendo la capsula fuori dal network di comunicazione sovietico, a Komarov venne detto di dormire un po’, anche se molto probabilmente non riuscì a farlo. Nel frattempo a terra si decideva sul da farsi. Era evidente che le cose stavano andando ben diversamente da quanto prestabilito. Soyuz 2 venne cancellata e si decise che l’unico modo per poter riportare a terra la capsula sarebbe stato effettuando un controllo manuale, anche se questo avrebbe presentato alcune difficoltà. Al ripristino delle comunicazione al termine della tredicesima orbita, Komarov comunicò che nuovamente aveva avuto difficoltà ad orientare la capsula, anche perché si trovava nel lato oscuro e quindi con pochi riferimenti a cui appoggiarsi. Fu deciso di tentare il rientro alla diciassettesima orbita, ma quando le comunicazioni vennero ristabilite era evidente che la Soyuz era ancora in orbita. Kamarov spiegò che mentre stava effettuando la manovra di de-orbit un improvviso cambio di assetto portò il sistema a spegnersi automaticamente, annulando quindi la manovra. L’ultima opportunità di atterrare si sarebbe avuto alla diciannovesima orbita. A dir il vero le batterie avevano energia sufficiente per tre ulteriori orbite, ma questo avrebbe comportato atterrare fuori territorio sovietico, cosa da evitare ad ogni costo. Le nuove istruzioni per il secondo tentativo di de-orbit vennero comunicate a Komarov direttamente da Gagarin e dopo la diciannovesima orbita la Soyuz cominciò ad rientrare con traiettoria balistica. Al ripristino delle comunicazioni dopo il consueto black-out, Komarov riportò che stava bene e che il rientro stava procedendo come da norma.

Non sapremo mai cosa disse o fece nei successivi minuti. A 7 Km di altezza i paracadute non riuscirono ad estrarsi, per cui con una velocità di 35 – 50 m/s, Soyuz 1 si schiantò alle 06:25 MT a 65 Km a Est di Orsk. Nell’impatto Komarov perse la vita, e subito dopo un incendio avviluppò la capsula. Quando arrivò la squadra di recupero, quello che videro era un mucchio di lamiere ritorte e ancora brucianti. Dopo circa un ora si riuscì a trovare i resti del povero cosmonauta. Spediti al Cremlino, vennero cremati e il 26 Aprile si tennero i funerali solenni.

LA COMMISSIONE DI INCHIESTA
Bloccati tutti i successivi voli manned previsti per l’immediato futuro, immediatamente dopo l’incidente venne nominata una commissione con lo scopo di indagare le cause della tragedia. A sua volta la commissione venne divisa in sette sottocommissioni, ognuna con lo scopo preciso di investigare un specifico aspetto del volo. Per il 5 maggio i primi risultati erano già pronti La causa principale che impedì al paracadute di aprirsi fu individuata nella particolare forma del contenitore dei paracadute stessi, di forma ellittica anzicchè circolare. Questo impedì al drag parachute di potersi estrarre correttamente con la successiva estrazione del paracadute principale. A complicare le cose, il contenitore era troppo piccolo, e a causa della differenza di pressione tra interno della capsula ed esterno, questo veniva ad essere compresso, rendendo quindi ancora più difficoltosa l’estrazione del drag pacachute. Purtroppo il paracadute di emergenza non potè essere estratto dato che non era previsto che esso venisse utilizzato con ancora il drag parachute attaccato e il main parachute non estratto. Prove di cadute in galleria del vento dimostrarono che, infatti, in tale situazione il paracadute di emergenza non aveva nessun modo di poter essere estratto. Tuttavia le reali ragioni per cui il drag parachute non si estrasse non vennero mai capite del tutto. In prove di caduta in galleria del vento, nuovamente si verificò la non apertura dei paracadute, questa volta però senza che il contenitore si deformasse a causa della differenza di pressione. Una spiegazione avanzata chiama in causa il processo di isolamento termico della superficie esterna della capsula. Questa infatti viene ricoperta del necessario strato di protezione e poi invita in un forno per permetterne la polimerizzazione e quindi l’adesione alla scafo. Prima di procedere a questa operazione tuttavia era necessario installare il contenitore dei paracadute, questo perché anche il suo coperchio doveva essere trattato con il rivestimento termico. Quando le capsule per la Soyuz 1 e 2 vennero realizzate, il coperchio non era ancora pronto e per questo si procedette alle operazioni di rivestimento termico ponendo al posto del coperchio una copertura di fortuna. Si pensò quindi che mentre il rivestimento veniva applicato, qualche particella sia accidentalmente entrata nel contenitore e che li sia polimerizzata durante la cottura in forno, rendendo in questo modo la superficie interna del contenitore ruvida e appiccicaticcia, di fatto rendendo problematica l’estrazione dei paracadute. La commissione di inchiesta pertanto procedette con una serie di raccomandazioni riguardanti modifiche da apportare al progetto della capsula. In particolare rimpiazzare il contenitore ellittico con uno circolare e di dimensioni più grandi, garantire che la superficie interna del contenitore fosse adeguatamente liscia e priva di difetti, un sistema di recisione del drag parachute, rimpiazzare il paracadute di emergenza con un secondo paracadute principale così da assicurare la necessaria ridondanza, permettere all’equipaggio di poter intervenire manualmente sull’estrazione dei paracadute, infine una raccomandazione sul rivedere tutti i sistemi automatici di bordo che tanti problemi aveva dato durante questa prima missione.

A conclusione di questo breve resoconto della missione Soyuz 1 possiamo di nuovo vedere che come dice il proverbio “la fretta è cattiva consigliera”. Pressioni politiche, decisioni prese da personale non tecnico, per spingere il prima possibile ad un ritorno allo spazio per conquistare le posizioni perdute con gli americani, portarono alla fatale decisione di lanciare comunque questa nuova capsula, anche se era più che evidente che avrebbe dovuto essere ancora migliorata. D’altra parte si può dire che sia stato un bene, che già durante il volo orbitale la Soyuz avesse manifestato problemi vari. Avessero funzionato tutti i sistemi di bordo, o comunque avesse Komarov risolto i problemi maggiori, probabilmente ci sarebbe stato il lancio della Soyuz 2 anch’essa con lo stesso problema al contenitore dei paracadute. Al completamento della missione, probabilmente ci sarebbero stati 4 astronauti morti anzicchè uno solo. Non possiamo che essere profondamente colpiti dal sacrificio di Komarov, che probabilmente era ben consapevole che sarebbe stato difficile poter ritornare a terra sano e salvo. Nonostante fosse consapevole dei numerosi difetti della capsula, rideva e scherzava con i suoi colleghi mentre si avviava alla rampa di lancio. Qualcuno la potrebbe chiamare una insana follia masochista, ma Komarov, così come chiunque altro astronauta, sapeva di che doveva compiere il suo dovere, e sentiva che il suo posto era lassù tra le stelle.

Dopo questo incidente, il programma Soyuz doveva ancora sopportare un’altra perdita, quella dell’equipaggio della Soyuz 11. Dopo questo nessuna Soyuz ha mai più avuto problemi gravi fino ad oggi. E questo lo si deve anche a questi coraggiosi uomini che sono morti proprio per garantire che tali incidenti non potessero accadere più.

Un dettaglio poco noto della missione: essa venne annunciata fin dall’inizio come Soyuz 1, completa di numero, cosa che i Russi non facevano mai, a meno che non ci fosse una seconda navicella pronta a partire a distanza di pochi giorni.
Gli altri esempi che mi vengono in mente sono quelli di Mars 1 e Zond 1, lanciati mentre si preparavano un Mars 2 e una Zond 2.
Va notato anche che sono fiorite molte leggende sul volo di Komarov, che pero’ sembrano essere assolutamente false, tra cui quella secondo cui durante le ultime orbite avesse inviato maledizioni ai pezzi grossi del PCUS. Qualche anno fa e’ stato pubblicato su Spaceflight un pessimo articolo storico che raccoglie come se fossero vere molte di queste voci

Permettimi un piccolo appunto, il patch che hai indicato come patch della missione non è quello reale indossato, ma probabilmente una realizzazione recente occidentale o un patch commemorativo. Questo perchè in quegli anni non era ancora in uso realizzare dei patch di missione nell’Unione Sovietica, che comparvero solo con le missioni Interkosmos e sporadicamente. Nelle missioni precedenti si utilizzavano solamente le bandiere sovietiche e qualche patch generico per programmi generali.
Esistono molti di questi patch realizzati solo in questi anni e con disegni più o meno inventati che riproducono o commemorano vecchie missioni sovietiche.

Albyz ha scritto:

Permettimi un piccolo appunto, il patch che hai indicato come patch della missione non è quello reale indossato, ma probabilmente una realizzazione recente occidentale o un patch commemorativo. Questo perchè in quegli anni non era ancora in uso realizzare dei patch di missione nell'Unione Sovietica, che comparvero solo con le missioni Interkosmos e sporadicamente. Nelle missioni precedenti si utilizzavano solamente le bandiere sovietiche e qualche patch generico per programmi generali. Esistono molti di questi patch realizzati solo in questi anni e con disegni più o meno inventati che riproducono o commemorano vecchie missioni sovietiche.

non lo sapevo, grazie per la precisazione…c’è sempre da imparare!!

Ottimo Sivo… Ed onore a Komarov, che con Gagarin e pochi altri considero un mio ‘Nume tutelare’.
Un eroe vero, se mai ve ne furono.

Salute e Latinum per tutti !

Bel lavoro Sivodave!!

Quella della Soyuz 1 è una pagina oscura della storia dell’astronauica, resa ancora più oscura dalla quasi concomitanza temporale del tragico rogo di Apollo 1.

Pessimo anno il 1967…

Komarov detiene il poco invidiabile record di essere la prima vittima di una missione spaziale.
Effettivamente il 1967 è stata una pessima annata. Oltre a Soyuz 1 e Apollo1, va ricordato anche il tragico volo di Michael Adams sull’ X-15 n°3 il 15 novembre 1967, con il quale raggiunse gli 81,09 Km di altitudine divenendo quindi astronauta a tutti gli effetti.

....con il quale raggiunse gli 81,09 Km di altitudine divenendo quindi astronauta a tutti gli effetti.

Secondo i canoni USA, non Internazionali…

Grazie Sivodave per averci ricordato questa “tragica” pagina dell’astronautica troppo spesso dimenticata…
Molto interessante la ricostruzione sulle cause della non apertura del paracadute…
Bravo!

....con il quale raggiunse gli 81,09 Km di altitudine divenendo quindi astronauta a tutti gli effetti.

Secondo i canoni USA, non Internazionali…

Esatto. Per gli USA (o meglio per l’Air Force) le “Astronaut Wings” si acquistano salendo a 50 miglia cioè 80 Km. Se non erro, per gli standard internazionali tale quota è fissata a 100 Km. Ma non credo che sorgano diatribe su questo … :wink:

Ottimo lavoro Sivodave. Ritengo molto importanti queste operazioni di "recupero"storico. :grinning:

Bravissimo Sivodave, un altro ottimo esempio di ricostruzione storica e condivisione delle conoscenze.
Tanto di cappello. :smiley:

Marcozambianchi ha scritto:

esempio di ricostruzione storica e condivisione delle conoscenze.

piacere mio di poter dare un mio piccolo contributo…siamo in un forum, no?

stavo pensando se non sarebbe utile poter inserire nella pagina di ingresso al forum, un piccolo riferimento ai thread in cui abbiamo descritto e parlato degli incidenti mortali occorsi (purtroppo fino ad oggi)…intendo una cosa simile a quella che c’è riguardo alle cospirazioni e amenità varia. FAre una specie di “santuario” dove anche ad un visitatore occasionale si può ricordare quanti sono morti per la conquista dello spazio e sopratutto perchè…insomma in questo periodo dove gli eroi sono quelli che ammazzano i vicini o scassano uno stadio magari proporre qualche figura veramente eroica, che può insegnare qualcosa, non sarebbe male.

é solo una mia idea comunque…

L’idea del Santuario Astronautico mi piace … Per non dimenticare chi con il proprio’estremo sacrificio, ha permesso all’umanità di avvicinarsi allo spazio fino a raggiungerlo andando oltre…
Cerchiamo di riportare nella corretta dimensione la scala dei valori umani …

Bel thread sivodave, molto interessante! 8)

Permettimi un piccolo appunto, il patch che hai indicato come patch della missione non è quello reale indossato, ma probabilmente una realizzazione recente occidentale o un patch commemorativo. Questo perchè in quegli anni non era ancora in uso realizzare dei patch di missione nell'Unione Sovietica, che comparvero solo con le missioni Interkosmos e sporadicamente. Nelle missioni precedenti si utilizzavano solamente le bandiere sovietiche e qualche patch generico per programmi generali. Esistono molti di questi patch realizzati solo in questi anni e con disegni più o meno inventati che riproducono o commemorano vecchie missioni sovietiche.

questo proprio non lo sapevo! :scream:

Veramente ottimo! Quando penso a Komarov mi vengono i lucciconi.

Un piccolissimo appunto:
il Drag e’ la Resistenza aerodinamica. mentre e’ il Drogue il piccolo paracadute che viene espulso per tirar fuori il main.

é vero che permisero alla moglie di Komarov di parlargli quando era in orbita??? Come un ultimo saluto??

Esatto,un pò come è avvenuto per le missioni Mercury e per le Gemini 3 e 4 ,i cui patch sono stati disegnati “a posteriori”. L’unica insegna indossata su tute spaziali e combinazioni di volo sovietiche prima dell’avvento dei patch all’Americana negli anni 70,era lo "Zvezda ‘Rocket’ http://www.spacepatches.nl/salyut_frame.html