L’idea di corpo portante risale alla metà degli anni '50.
Il corpo portante è un apparecchio che tramite la sua forma aerodinamica genera una portanza e quindi, contrariamente alla capsula, può volare nell’atmosfera più o meno come un comune aereoplano.
Si distingue da uno spazioplano come lo Shuttle dal fatto che lo spazioplano genera la portanza tramite le ali, mentre in genere il corpo portante non ha ali.
Comunque spazioplani e corpi portanti sono imparentati, quindi le considerazioni sui corpi portanti sono valide anche per gli spazioplani.
Uno degli spazioplani più eleganti è, a mio parere, quello della figura 0.
Il corpo portante rispetto ad una capsula offre 3 vantaggi :
1 - una minore decellerazione in fase di rientro,
2 - la possibilità di cambiare rotta una volta rientrato nell’atmosfera,
3 - la possibilità di atterrare orizzontalmente, su una normale pista di volo.
Il corpo portante decellera meno rapidamente nel rientro in atmosfera perchè ha una forma più aerodinamica rispetto alla capsula.
Quindi genera meno attrito con l’aria e il suo scudo termico è meno sollecitato.
Già i primi studi fatti dalla NASA, negli anni '50, confermavano che la decellerazione al rientro di una capsula sarebbe stata di 8,5g mentre quella di un corpo portante si sarebbe assestata a soli 2g.
Inoltre una capsula, una volta rientrata in atmosfera, non genera alcuna portanza aerodinamica, quindi non può far altro che cadere verticalmente frenata da paracadute.
Al contrario, un corpo portante a causa del flusso dell’aria sul suo dorso (figura 1), genera una portanza sufficiente a garantire la manovrabilità necessaria all’atterraggio su una pista o in altro luogo prestabilito.
In figura 2 ho riportato il confronto tra le capacità di manovra di una capsula, praticamente inesistenti, e quelle di un corpo portante come l’HL-10.
Se questi fatti erano già noti sin dagli albori dell’era spaziale, perchè si è deciso di utilizzare delle capsule per i viaggi spaziali?
Vi sono diverse ragioni.
La prima è che agli inizi non c’erano lanciatori sufficientemente potenti per il lancio di un corpo portante.
Infatti la forma del corpo portante aggiunge un peso non irrilevante alla struttura che deve entrare in orbita.
Tanto per dare un’idea si è calcolato che uno spazioplano dovrebbe pesare circa il 10% in più rispetto ad una capsula con la stessa capacità di carico.
La seconda è che non c’era ancora un’esperienza sufficiente : il corpo portante è molto più complicato di una capsula.
La terza è che l’atterraggio orizzontale di un corpo portante avviene ad una velocità sostenuta, superiore a quella di un comune aereoplano, e quindi è piuttosto pericoloso.
In effetti la NASA sviluppò un progetto di corpo portante, l’X-20 Dyna-Soar, ma poi lo accantonò.
Altri esperimenti con forme più primitive di corpi portanti come l’HL-10 riguardarono solo il volo atmosferico.
Terminata l’esperienza delle capsule alla metà degli anni '70, la NASA riconsiderò il progetto Dyna-Soar : nella figura 3 ne è illustata una possibile variante.
Ma poi per una serie di ragioni si scelse di progettare uno spazioplano come lo Shuttle.
La ragione principale è probabilmente dovuta al fatto che si voleva un veicolo che fosse quanto più possibile riutilizzabile.
Mentre del corpo portante sopravvive e viene riutilizzata solo la parte che rientra in atmosfera, nel caso dello Shuttle solo il serbatoio esterno è perduto.
Le figure 4 e 3 possono dare un’idea quantitativa di come sarebbero andate le cose se si fosse operato diversamente.
In questo caso si sarebbero potute coniugare la semplicità dei lanciatori a perdere con la riutilizzabilità della capsula.
Cosa che adesso la NASA stà cercando di ottenere col progetto CEV - Ares 1.
Un progetto ancora più ambizioso di quello dello Shuttle è stato quello di uno spazioplano completamente riutilizzabile.
Per far ciò si sarebbe dovuto inglobare il serbatoio esterno dello Shuttle all’interno della fusoliera dello Shuttle, che ovviamente in questo caso avrebbe dovuto essere più grande.
La figura 5 illustra in maniera suggestiva come si sarebbe potuto procedere.
Mentre la figura 6 è uno studio della NASA che esemplifica di quanto le dimensioni dello Shuttle avrebbero dovuto essere maggiorate.
La forma più grande è quella di uno Shuttle con i serbatoi interni.
La forma più piccola è lo Shuttle con i serbatoi esterni (è quella che è stata scelta).
E la forma intermedia è quella dello Shuttle con il serbatoio dell’ossigeno liquido interno.
L’idea di inglobare il serbatoio esterno ha il vantaggio di poterlo riportare a Terra e di poterlo riutilizzare, ma ha lo svantaggio che si deve portare in orbita un carico inutile.
Quindi il carico utile è inferiore, dovendo scontare il peso del serbatoio.
Tuttavia c’è anche un altro vantaggio che consiste nel fatto che il peso dello spazioplano al decollo è in asse con la spinta dei motori, mentre nel caso dello Shuttle il peso è sbilanciato dato che il serbatoio “pende” tutto da una parte.
Questo fatto indubbiamente complica parecchio la dinamica del volo.
Di nuovo la NASA con la fine dell’esperienza degli Shuttle ha ripreso gli studi sullo spazioplano completamente riutilizzabile.
Sono state compiute diverse esperienze con un prototipo, l’X-33 (Venturestar).
Al fine di migliorare le prestazioni dello Shuttle si è agito su tre fronti :
1- alleggerire la struttura tramite l’uso di materiali compositi,
2- migliorare l’aerodinamica,
3- utilizzare motori di nuova concezione.
Il Venturestar (figura 7) può essere reso più leggero rispetto allo Shuttle, perchè la sua forma più aerodinamica genera più portanza.
In tal modo il veicolo può cominciare a decellerare meno bruscamente durante la fase di rientro, riscaldandosi meno di quanto non si verifichi su un veicolo più compatto come lo Shuttle (figura 8).
Così la necessità di proteggere la struttura con un rivestimento isolante è più ridotta, il che permette di impiegare materiali termoresistenti di maggiore durata e di minor peso.
Nei motori a razzo tradizionali si impiega un ugello a campana per contenere i gas di scarico e dirigerli all’indietro generando l’impulso che fà volare il missile.
Ciascuno stadio del veicolo di lancio è dotato di ugelli di dimensioni appropriate per la quota a cui è destinato a funzionare.
Infatti non è possibile costruire un ugello a campana universale che sia efficiente sia per il volo in atmosfera che al di fuori dell’atmosfera.
Il perchè è spiegato dalla figura 9a e 9b.
Ad alta quota i gas di scarico non verrebbero espansi a sufficienza nell’ugello ed uscendo da questo tenderebbero a gonfiare il flusso uscente come un pallone diminuendo gravemente l’efficienza della spinta.
Mentre lo stesso ugello a bassa quota tenderebbe a far espandere eccessivamente i gas di scarico diminuendo la loro pressione ad un valore inferiore a quello atmosferico.
Quindi i gas dell’atmosfera penetrerebbero all’interno dell’ugello staccando la corrente di gas di scarico dalle pareti dell’ugello e causando forti turbolenze.
Per costruire un motore singolo che funzioni in modo sicuro ed efficiente dal livello del mare fino al vuoto dello spazio, i progettisti, già negli anni '60, idearono una configurazione particolare.
Essenzialmente, essi rimossero metà di un tipico ugello di razzo e lo inclinarono verso l’interno, formando una sorta di rampa centrale.
Le figure 9d e 9c esemplificano il funzionamento di questo dispositivo, noto come aerospike.
Questa configurazione permette al motore di funzionare in condizioni quasi ottimali a tutte le quote.
Attualmente la NASA ha accantonato il progetto dello spazioplano poichè ha verificato che allo stato attuale dello sviluppo tecnologico non è possibile la costruzione di serbatoi sufficientemente leggeri e resistenti.