Vi ricordate di A.I.?
CREATI IN ITALIA, SONO COME BAMBINI: IMITANO GLI UOMINI E IMPARANO
31/5/2006
ASSOMIGLIA a un bambino di tre anni e deve aiutare a sbrogliare uno dei più intrigati segreti delle neuroscienze, le basi della coscienza, e a segnare il confine tra cervello e mente: è «BabyBot», un robot di papà italiano, progettato per studiare i processi che portano alla percezione della presenza di noi stessi e degli altri oggetti che popolano l’ambiente. E mentre «BabyBot» ha mosso i suoi primi passi - spiega il coordinatore del progetto Giorgio Metta, professore del laboratorio integrato di robotica avanzata (LIRA-Lab) dell’Università di Genova - si sta già lavorando a una versione ancora più sofisticata del robot per andare più a fondo nei meandri della coscienza umana: «Essere presenti in un certo luogo equivale a essere coscienti del luogo stesso e delle relazioni tra gli oggetti». E’ questo che dà il senso della «presenza» (e quindi della coscienza), intrinsecamente multi-sensoriale, vale a dire un’esperienza che richiede l’insieme di udito, vista, tatto. E’ così che è nato il progetto ADAPT (Artificial Development Approach to Presence Technologies) e «BabyBot».
Per dargli vita gli studiosi hanno analizzato la percezione nei neonati da zero a 12 mesi e, quindi, la loro mente. Poi hanno lasciato che «BabyBot» agisse da solo, in modo da capire come si formano alcune delle capacità di percezione proprie del cervello umano e come hanno origine centri nervosi chiave che permettono di imitare le azioni altrui. Sono i centri costituiti dai «neuroni specchio», scoperti dal gruppo italiano di Giacomo Rizzolati dell’Università di Parma. I test suggeriscono che «BabyBot», attraverso una procedura di esplorazione, impara una rappresentazione degli oggetti e, utilizzando questa conoscenza, è in grado di imitare un essere umano che compie determinate azioni su questi stessi oggetti. In pratica, come «BabyBot», inserito in un ambiente con una programmazione di base, si specializza grazie alle pratiche di apprendimento, così potrebbero formarsi i «neuroni specchio». «Lo scopo ultimo - rileva Metta - è verificare se sia possibile costruire un sistema artificiale che si sviluppi in maniera autonoma, fino a darsi motivazioni proprie, diverse da quelle del costruttore e basate solo sulla sua esperienza». In altre parole gli scienziati vogliono vedere se è possibile creare un robot a cui dare solo una programmazione generica e che sia poi capace di apprendere e specializzarsi in particolari compiti in modo autonomo. «Se riuscissimo a ottenere questo risultato, potremmo dire di aver cominciato a raccogliere importanti indizi sulla coscienza di sé». Ma è chiaro che da solo «BabyBot» non può bastare e per questo è iniziato il progetto per un nuovo robot, «iCub», che avrà le dimensioni e le forme di di un bambino di due anni e mezzo, con gambe, braccia, mani e sensori di vario tipo: permetterà di studiare come si possa sviluppare un sistema di gesti e una forma primitiva di comunicazione tra il robot e gli esseri umani, per esempio tramite l’imitazione. La sua realizzazione avverrà grazie al progetto quinquennale «RobotCub», finanziato dalla Ue per 8,5 milioni. Coordinato da Giulio Sandini del LIRA-Lab, è portato avanti da un gruppo di 11 università europee, insieme con alcune industrie e un gruppo di partner americani e giapponesi, che include sia neuroscienziati sia psicologi. «RobotCub» prevede prima di tutto la stesura di un saggio che raccolga le principali informazioni sullo sviluppo cognitivo umano: sarà la base di partenza per lo sviluppo della «mente» di «iCub», una creatura in grado di gattonare, sedersi, manipolare oggetti e soprattutto di apprendere dai propri errori e dall’interazione con l’ambiente e gli esseri umani. «Le applicazioni saranno di due tipi», sottolinea Metta. Prima di tutto permetteranno di fare passi avanti decisivi nel settore dell’intelligenza artificiale: «Se riusciremo a realizzare la mente del robot, poi potremo ideare sistemi intelligenti negli ambiti più disparati, dall’automazione industriale alla sicurezza, dalla guida automatica ai computer user-friendly». la seconda applicazione, non meno ambiziosa, è una migliore comprensione del cervello umano, che avrebbe un impatto enorme sia per le terapie sia per le interfacce neurali uomo-macchina.
da La Stampa Web