Storia astronautica per principianti: Una Luna comunista

Una 'Luna Comunista’: breve storia dell’astronautica ‘militare’ statunitense.
La guerra nello spazio ci è familiare… Noi appassionati di fantascienza abbiamo visto intere armate di astronavi da battaglia oscurare i cieli, velocissimi caccia minare la sicurezza di immense stazioni spaziali, uomini in esoscheletri potenziati affrontare e sconfiggere incrociatori stellari viventi… E tutti abbiamo visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser…
Ma non è di queste ‘guerre stellari’ che parleremo oggi, bensì di quelle… vere.
La missilistica (e dunque l’astronautica), come ogni tecnologia che si ‘rispetti’, sfuggi immediatamente dalle mani di chi sognava solo impieghi ‘pacifici’. I piccoli missili sperimentali degli anni 30 divennero presto le sofisticate armi della seconda guerra mondiale, che videro nell’A4 (la V2 tedesca) il massimo esponente tecnologico.
Quando il 4 ottobre del 1957 i sovietici raggiunsero per primi l’orbita terrestre con il loro Sputnik, questa nuova ‘Luna comunista’ terrorizzo i vertici politici e militari statunitensi.
Ovviamente non era il piccolo satellite in se a far paura, quanto il vettore che lo aveva messo in orbita.
L’R-7, parto del geniale ‘progettista capo’ Serghej Korolev, se aveva portato lo Sputnik a girare intorno al mondo, poteva parimenti portare un ordigno nucleare in quasi tutte le parti del globo… Stati Uniti compresi.
La corsa allo spazio che ne segui è nota. Nascosti sotto il paravento di enti civili (quali la NASA) sono assai meno conosciuti i mille progetti atti a militarizzare lo spazio, in previsione di un nuovissimo tipo di guerra.

“Come sassi da un cavalcavia”.
Fino ad oggi l’unica vera applicazione militare di successo nello spazio ha un nome preciso: satellite spia.
Il segretissimo ‘Progetto Corona’ del 1960 portò gli Usa in pole position riguardo lo spionaggio dallo spazio; per la prima volta si poteva fotografare il territorio avversario da grandi altezze, senza paura di intercettazione, e con grande precisione… L’U2 di Gary Powers era stato abbattuto sul territorio sovietico il primo Maggio di quello stesso anno segnando, con grande imbarazzo americano, la fine della ricognizione convenzionale ‘impunita’.
A seguire ambedue le superpotenze crearono reti di satelliti in grado di informare tempestivamente riguardo l’attività avversaria, e questo costante tenersi sott’occhio è una delle ragioni per cui non siamo tutti periti in un olocausto nucleare già negli anni 60… Curiosamente, ma non troppo viste le reali difficoltà oggettive, una vera e propria ‘militarizzazione’ dello spazio non c’é (ancora) stata. Lo Sputnik portò molti a sopravvalutare le possibilità di stabilire una forte presenza militare a gravità zero, dunque si studiarono subito contromisure.
Ai vertici statunitensi molti credevano che i russi sarebbero stati in breve tempo in grado di disporre di stazioni orbitanti armate, capaci di lanciare atomiche sull’occidente ‘come sassi da un cavalcavia’.
In un epoca in cui il nucleare veniva trattato con una certa disinvoltura, ed i test atomici erano svolti in superficie od in atmosfera, la cosa sembrava tutt’altro che improbabile.
Erano gli anni della ‘Rand Corporation’, dei dottor Stranamore, dei progetti di armi ‘Fine del Mondo’… Come gli incredibili bombardieri a propulsione nucleare, armi ‘definitive’ che meriterebbero ampia trattazione a parte.
Le linee di azione principali erano proiettate su percorsi ben precisi:
a) armi spaziali in grado di distruggere obiettivi terrestri
b) armi spaziali per rendere inoffensivi i satelliti o le navi spaziali avversarie
c) bombardieri antipoidali pilotati.

Attenti, Dynasoar !
Apparve presto evidente quanto difficile ed insensato fosse posizionare atomiche in orbita. A fronte di qualche minuto di vantaggio guadagnato sulla reazione nemica, si sarebbero dovuti affrontare troppi rischi legati al portare le armi nucleari nello spazio, ed al loro mantenimento. Nessuna delle superpotenze intraprese questa strada, e con piena ragione.
I fatti avrebbero più avanti dimostrato l’inaccettabilità del rischio: sono noti gli incidenti che negli anni 70 ed 80 avrebbero portato dei satelliti ‘Cosmos’ a disintegrarsi in rientro fuori rotta, spargendo su vasti territori (poco) materiale fissile, che utilizzavano per assicurare energia ai circuiti. Immaginiamo cosa sarebbe successo se a cadere sulla terra fosse stata una piattaforma spaziale armata di missili nucleari: non è detto che Clint Eastwood possa sempre salvare la situazione…
Più interessante l’idea del bombardiere antipoidale.
Un progetto tutt’altro che nuovo a dir la verità, visto che pure i tedeschi lo avevano studiato sulla carta con il loro spazioplano ‘Sanger-Bredt’ ancora prima del secondo conflitto mondiale. Fu appunto l’ingegnere tedesco Dornberger, già attivo a Peenemunde, a proporre per la Bell Aircraft negli anni 50 aggiornate rivisitazioni di quel progetto, denominate Bomi e Robo.
L’idea di uno spazioplano, in grado di entrare in orbita a cavallo di un missile (magari del Titan II, già in dispiegamento) e di rientrare in atmosfera come un aereo supersonico pilotato, colpiva la fantasia dei militari, e sembrava una naturale evoluzione di progetti già in corso quali gli aerei-razzo sperimentali (gli X-Planes, che avrebbero visto nell’X-15 il loro rappresentante più performante).
La possibilità di disporre di una nave riutilizzabile, facile da mettere in uso e capace di rientrare a terra come un aereo pilotato, e non come una palla di cannone, era decisamente avanti per il tempo.
Progetti molto ambiziosi, che richiedevano realisticamente tempi assai lunghi per la progettazione e lo sviluppo. Con il patrocinio dell’USAF il progetto definitivo passo alla Boeing, che propose il Dynasoar (Dynamic Soarer), un piccolo spazioplano multifunzione, con un equipaggio di due o quattro uomini.
L’introduzione in servizio del Dynasoar (ogni assonanza con ‘dinosaur’ era assolutamente voluta) avrebbe richiesto molti anni: la particolarità del progetto richiedeva diversi stadi di sviluppo. Il Dynasoar sarebbe stato solo il prodotto finale di una classe di velivoli sperimentali. Il progetto partì nel 1959, e richiedeva molti test iniziali con modelli automatici lanciati da bombardieri B-52. Sarebbero seguiti test pilotati in atmosfera e, nella migliore delle ipotesi, nessun Dynasoar evoluto sarebbe entrato in orbita prima del 1970.
Sulla carta il Dynasoar prometteva meraviglie: rapide ricognizioni, bombardamenti nucleari di una precisione impensabile per un ICBM (Missile Balistico Intercontinentale), affidabile servizio di ferry con le future stazioni spaziali.
Nel 1959 tuttavia molti dei sistemi necessari erano solo ‘previsti’, ma ben lontani dallo sviluppo.
Mancavano vettori adatti, e la stessa propulsione autonoma dello spazioplano era da definire.
La fine del progetto era tuttavia segnata già dall’anno precedente. Il 1958 aveva visto la creazione dell’ente spaziale civile americano, la Nasa. Le attività autonome dei militari per lo spazio persero credito verso la presidenza, soprattutto dopo l’elezione di Kennedy nel 1960.
Ma il vero colpo di grazia venne… dai russi. Gagarin in orbita diede una spinta enorme al progetto Mercury, la prima (convenzionale) capsula statunitense con un uomo a bordo, nel nome del ‘mandiamo qualcuno su il prima possibile’.
Quando poi il Presidente fece le note promesse, quantomeno azzardate, al mondo…
Non ci furono soldi al di fuori dello sforzo per la corsa alla Luna. Il progetto Dynasoar fu cancellato nel 63, otto mesi prima dell’inizio delle sperimentazioni in volo. L’USAF continuò un modesto progetto di ricerca nel campo dei ‘lifting bodies’ (piccoli spazioplani a corpo portante) fino al 1975, con sganci dai soliti B-52 in alta quota.
In quell’anno l’USAF fu invitata ad abbandonare le proprie ricerche e ad entrare nel progetto Space Shuttle.
Col senno di poi lo potremmo definire un grave errore, ma questo esula dall’argomento.

Una talpa nel KGB
La necessità aguzza l’ingegno; nei primi anni 60 i satelliti spia non erano certo agli attuali livelli, ed ai militari mancava pesantemente la possibilità di avere osservatori in prima persona dallo spazio.
Il MOL (Manned Orbiting Laboratory) era una specie di super-Gemini. Si pensò di unire alla capsula biposto Gemini, allora in uso con successo presso la NASA, un lungo modulo cilindrico accessorio. Si sarebbe così avuta una piccola stazione spaziale, in grado di rimanere in orbita per almeno un mese. Nel modulo due astronauti avrebbero gestito l’osservazione ottica, radio e radar del territorio ‘nemico’; era prevista anche una certa capacità di intercettazione ed ispezione di satelliti in orbite prossime.
Anche questo progetto militare non ebbe seguito, appena fu chiaro che le tecnologie stavano rendendo sempre più inutile, quando non deleterio, un apporto umano diretto ad un sistema di osservazione orbitale.
Nel 1969 calò il sipario anche sul MOL. Da segnalare comunque che nulla di questo progetto andò perso; le sofisticate strumentazioni furono usate sulle nuove generazioni di satelliti spia, e gli esperimenti previsti per l’equipaggio furono poi svolti durante il progetto Skylab.

Il Santo manesco
Alla fine degli anni 50 parve urgente dotarsi di un satellite intercettore, una nave in grado di raggiungere, ispezionare ed eventualmente distruggere un satellite avversario.
Il progetto Saint (Satellite Interceptor) fu approvato dal congresso nel 1961.
Si trattava di un drone, guidato da terra. Carico di carburante e ‘maneggevole’ doveva raggiungere l’orbita della nave bersaglio, incrociarla e affiancarglisi, illuminarla con potenti riflettori e riprenderla per l’ispezione con 4 telecamere. Presente fra la strumentazione anche un sofisticato rivelatore di radiazioni, per stabilire la presenza di ordigni nucleari a bordo della nave controllata. In ultima istanza era previsto anche un sistema d’arma per l’eventuale eliminazione del bersaglio. Nonostante la cancellazione di questo progetto risalga alla fine degli anni 60, molte delle specifiche sono ancora del tutto Top Secret.
Il Saint fu condannato da una banale contromisura sovietica, forse un po’ drastica ma sicuramente efficace.
Già dalla metà degli anni 60 i satelliti russi furono dotati di cariche per l’autodistruzione, innescabili da terra o tramite spoletta di prossimità. Ciò rendeva impossibile l’ispezione degli stessi, la cui esplosione avrebbe probabilmente segnato la fine di qualunque modulo Saint nelle vicinanze. Quest’ultimo perse dunque ogni ragion d’essere.

Ci sono più cose in cielo…
Non si pensi che quanto detto finora sia minimamente esaustivo. Non esiste praticamente progetto spaziale di cui non si sia studiata in qualche modo un applicazione militare. Invero non tutto è stato desegretato riguardo l’effettivo spiegamento di ‘armi’ nello spazio. Non illudano i molti trattati ONU sul concetto di smilitarizzazione del vuoto, è pura teoria, ignorata da chiunque sia in grado di raggiungere l’orbita.
Merita una considerazione quella che è stata l’arma spaziale più devastante mai messa in campo dagli USA.
La grande BUFALA delle guerre spaziali. Tutti ricordiamo gli ultimi anni dell’Unione Sovietica; un pachiderma in ansia da prestazioni, depresso da un economia fallimentare ed oberato dalle enormi spese sostenute per mantenere un esercito ipertrofico. Le guerre spaziali annunciate da Reagan, ovvero il futuro dispiegamento di una complessa rete di satelliti in grado di osservare, intercettare e distruggere ogni attività missilistica sovietica, furono un pesante colpo alle reni dell’orso russo; negli anni 80 i sovietici affrontavano la disfatta afgana, la tragedia di Chernobyl, il susseguirsi di 4 premier, il dissenso nell’est europeo.
Beh, ci credettero, aumentando non poco le loro ansie. E non era vero niente.
Da buon imbonitore il presidente americano aveva venduto fumo, fumo e favole.
Intendiamoci, non c’è nulla di potenzialmente sbagliato nel progetto delle guerre spaziali di Reagan, tranne il fatto che all’epoca era completamente irrealizzabile, per la mancanza di tecnologie adeguate e per la mostruosità del costo totale, insostenibile al di là di ogni possibilità anche per l’aggressiva America di Reagan.
Oggi, se è vero che la tecnologia permette sistemi di controllo e tracciamento assai più sofisticati, e vero anche che di sistemi d’arma montati su satelliti intercettori, in grado di distruggere gli ICBM in ascesa non vi è (ufficialmente) traccia.
I sistemi d’arma a particelle continuano ad essere teorici, i laser poco efficienti (gli esperimenti in atto dagli anni 90 con un laser montato su di un 747 contano i successi sulle dita di una mano); solo la ‘banale’ espulsione di proietti ad alta velocità è effettivamente praticabile ed efficace.
Ultimamente la NASA è in fermento, la ‘conquista’ dello spazio americana è ad un punto di svolta. Si parla di un nuovo rinascimento, di un ritorno sulla Luna, di guardare nuovamente verso Marte.
Francamente me lo auguro di tutto cuore, condividendo con tanti altri sognatori il desiderio di ampliare gli orizzonti umani… stona però il vedere come, negli ultimi bilanci statunitensi, non si veda ancora l’approvazione di forti stanziamenti per la NASA, oltremodo necessari in questo interregno fra il ritiro dal servizio del fallimentare Shuttle all’introduzione di una nuova classe di capsule pilotate, quanto il sospetto aumento di finanziamenti all’USAF, in un ottica di neo-militarizzazione dello spazio.
Intanto si parla di nuove armi, di nuovi progetti. Particolarmente ‘interessante’ l’idea di satelliti armati di pesanti proietti, vere e proprie pallottole da Colt da una tonnellata l’una. Sparati con precisione su di un bersaglio a terra, ad altissima velocità, il solo impatto provocherebbe danni prossimi a quelli di una piccolissima atomica.
Questa ‘pistola’ spaziale è effettivamente di facile realizzazione… come diceva il Dottor Stranamore: -Serve solo la volontà !
E gli uomini di buona volontà non mancano mai.

E la Luna comunista ?
Anche i sovietici diedero largo sfogo alla fantasia bellica, con idee spesso simili a quelli statunitensi.
Ogni volo sovietico ha sempre avuto comunque una sia pur minima connotazione militare.
Alcuni dei progetti sovietici sono sinistramente affascinanti, ma questo merita un eventuale articolo a parte.

Salute e Latinum per tutti !