Ciao a tutti
ho fatto questo “collage” perché mi aiutiate a capire meglio l’aerodinamica degli aerospazioplani.
L’X-38 è un classico “lifting-body” stile anni Sessanta. Nel forum si è parlato molte volte del rapporto tra portanza e resistenza, e mi piacerebbe capire cosa significhi questo per un veicolo a rientro aerodinamico, cioè che succede se c’è troppa portanza (“spiattella”?) o troppa resistenza (invece che come un mattone cade giù come un sasso?).
L’USV del CIRA, e l’X-37 hanno un’ala abbastanza tradizionale, ma l’apertura alare è più grande di quello che si aspetterebbe un profano per un velivolo ipersonico, penso perché nelle ultime fasi del volo deve avere una buona portanza, ma allora perché non farla a delta gotico tipo quella dello Space Shuttle? Un’altra cosa che hanno in comune è l’impennaggio a farfalla, che è usato pochissimo in ambito aeronautico (l’unico esempio che mi viene in mente è un vecchio addestratore francese, il Fouga Magister). L’USV non mi pare che abbia il… naso a patata (“blunted-nose”) come gli altri però.
L’X-33 assomiglia molto all’X-38; un veicolo così “pacioccone” dovrebbe avere un buon rapporto tra volume e superficie esposta al calore, ma dovrebbe anche avere un comportamento pessimo alle basse velocità, e questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il lancio è comunque verticale.
L’X-43 ha un’aerodinamica tutta sua, con la fusoliera portante che ha un profilo simile ad un’ala. Anche lui ha impennaggi a farfalla. Il fatto che la fusoliera debba garantire la portanza in un decollo orizzontale (qui penso all’X-30 che ha la stessa architettura) fa sì che il bordo d’attacco sia molto spigoloso, il che dovrebbe dargli problemi di surriscaldamento. Ha un sistema di raffreddamento attivo?
Lo Skylon è quello più “aeronautico”, e infatti, non penso sia un caso visto che il decollo è orizzontale. E’ l’unico tra quelli che pure hanno una fusoliera diciamo tradizionale che sembra seguire la regola delle aree, ed ha anche una configurazione canard. Assomiglia molto al Lockheed CL-400 Suntan, un progetto americano degli anni '50 per un aereo-spia a proulsione ad idrogeno (poi gli fu preferito il più tradizionale - si fa per dire - SR-71 Blackbird), vedi http://en.wikipedia.org/wiki/Lockheed_CL-400_Suntan - tutti e due i progetti hanno i motori in gondole alle estremità alari; e la domanda è: perché?).
Alla fine una domanda scema scema scema. Al posto di materiali termoresistenti, al rientro non si potrebbe soffiare aria fredda sul fronte delle onde d’urto in modo che si stacchino dal veicolo?
Penso che la prima imprescindibile distinzione che si deve fare, nell’elenco da te citato, sia quello di suddividere i vari mezzi a seconda della loro destinazione finale, test atmosferici, voli suborbitali, voli orbitali. Da questo primo macro-parametro dipende molto di tutto quello che vuoi analizzare, per questioni di ottimizzazione, funzionalità e sollecitazioni.
Per quanto riguarda il “soffiaggio” come raffreddamento non è possibile per un semplicissimo motivo… da dove prendi l’aria? (benchè sia rarefatta), se dall’esterno sarebbe della stessa temperatura di quello che vuoi raffreddare… per cui non servirebbe a nulla…
Sono tutti progetti di veicoli che rientrano dall’orbita (X-38, X-37, Skylon), o di “testbed” aerodinamici per veicoli che comunque dovrebbero farlo (X-33 per il Venture Star, X-43 per l’X-30 NASP, USV…).
In quanto all’aria fredda, pensavo ad un sistema tipo quello del motore SABRE che raffredda l’aria del flusso ipersonico prima di bruciarla.
No no calma, dettagli come quelli che hai sottolineato (forma del muso, superfici mobili ecc.) possono variare considerevolmente dalle versioni atmosferiche a quelle per voli suborbitali o orbitali.
Se vuoi una divisione più corretta:
- test atmosferici: USV, X-43
- velivoli orbitali: skylon (se mai volerà…), X-38, x-37b, X-33, X-30
Da profano pensavo che un velivolo che dovesse fare da modello aerodinamico per un altro velivolo dovesse somigliargli il più possibile. Potresti essere più dettagliato? Per esempio: se dall’USV dovessero mai derivare un aggeggio che deorbiti sul serio, che modifiche pensi che gli farebbero?
Qui puoi vedere le differenze fra USV e quanto era stato pensato per l’orbita, si possono facilmente vedere differenze sensibili fra i due differenti testbed, ognuno con differenti obiettivi:
http://usv.cira.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2&Itemid=21
http://usv.cira.it/index.php?option=com_content&task=view&id=3&Itemid=18
L’idea “scema scema” tanto scema non era. Ho fatto una ricerchina e sembra che la DLR tedesca stia lavorando su qualcosa di simile:
http://www.dlr.de/en/desktopdefault.aspx/tabid-728/1208_read-24147/
http://www.dlr.de/en/desktopdefault.aspx/tabid-728/1208_read-24279/
http://www.iag.uni-stuttgart.de/people/markus.kloker/text/STAB-06_effu-cool.pdf
No, l’idea non era scema, ma come ho scritto sopra hai il problema di procurartelo il gas per il raffreddamento, e portarselo dietro per tutta la missione forse non è così conveniente, senza dubbio anche se non troverà sbocchi operativi per bilancio costi/benefici è senza dubbio un campo di studio interessante tecnologicamente.
Cercherò di rispondere al primo post di Bubba e spero in maniera concisa. Diciamo che, come ha scritto anche Albyz, si tratta di mezzi diversi concepiti in tempi diversi e per scopi diversi. Ossia ognuno ha la configurazione che ha per motivi propri inerenti al programma a cui appartiene.
Innanzitutto bisogna raffinare un pochino la “tassonomia” dei veicoli spaziali che avevo introdotto in un post precedente:
Capsule di rientro (blunted)
- Capsule di rientro balistiche (L/D = 0 in regime ipersonico, ad es. Vostok, Mercury)
- Capsule di rientro semiportanti ( 0,25< L/D < 0,5 in regime ipersonico, ad es. Gemini, Soyuz, Apollo, Shenzou, Orion, Dragon)
Aerospazioplani (non alati e ibridi)
- Corpi portanti puri e biconici (1<L/D<1,3 ad es. X-23, X-24A, HL-10, M2-F2/3, X-38, Kliper)
- Ibridi, corpi portanti con superfici alari attive (1,3<L/D<1,5 ad es. Spiral OS, MiG 105-11, Shuttle Orbiter, Buran,X-30, X-33, HL-20, Hermes, X-37A, X-37B, X-40, X-43, X-51).
Aerospazioplani puri (1,5<L/D<3, ad. es. X-20, X-24B/C, Skylon)
Come vedi si tratta di una classificazione alquanto complessa, ma è l’unica possibile considerando le diverse caratteristiche di ciascun mezzo, sopratutto al rientro nell’atmosfera.
Quanto allo sviluppo dell’USV ho avuto la fortuna di poterlo assistere da una posizione privilegiata essendo amico di lunga data con l’Ing. Gennaro (Rino) Russo del CIRA, all’epoca responsabile del programma. L’USV era stato concepito come un programma di ricerca “incrementale” in cui a diversi “step” i dati ricavati dal “gradino” precedente venivano riversati in quello successivo e non necessariamente in termini di architettura. Si voleva esplorare diversi “inviluppi” di volo con diverse caratteristiche e ben con tre veicoli diversi, pur appartenendo alla stessa famiglia, USV-1, USV-2 ed USV-3. In realtà l’USV-1 è stato costruito e fatto volare in due esemplari (FTB-1 e FTB-2 che come configurazione ricordano vagamente un F-18 Hornet) costruiti dalla Marotta AT di Cercola (in provincia di Napoli) mentre l’USV-2 è stato cancellato e l’USV-3 è divenuto l’USV-X ossia la versione orbitale (come abbiamo visto sensibilmente diversa) da lanciare con un razzo Vega.
Il tutto se la memoria non mi inganna…
Quanto ad un TPS con sistema soffiato, onestamente, ne so poco. Posso dire che negli utlimi tempi mi sono fatto una certa cultura su quelli a base di tessuti in fibra ceramica, e non aggiungo altro…
Grazie mille Archipeppe.
La tua… tassonomia mi è stata molto utile per riordinare le idee.
Il prossimo “step” del BASP-RP (Bubba’s Aero Space Plane - Research Program…) sarà di farsi una cultura sul rapporto portanza/resistenza.
Ancora grazie mille e preparati spiritualmente perché di domande ne ho tante… ma tante…
Ciao a tutti
riapro questo topic perché ho una domandina da farvi.
Sapete già che gli studi sugli SSTO-HTHL mi intrigano una cifra, e sto pian piano leggendo tutto quello che mi capita tra le mani in rete a proposito.
In uno studio su un SSTO basato su un “Rocket-Based Combined Cycle” ho tovato un accenno a un “ejection mode” del motore, ma l’autore dà per scontato che si sappia cosa sia.
Avete qualche dritta da darmi in proposito? Grazie mille!
Non vorrei dire castronerie, ma penso che l’ejection mode del motore sia una modalità di viaggio che prevede lo sgancio dal veicolo del motore atto a far raggiungere una certa velocità. Il motore dà accelerazione al veicolo, terminata la spinta, esso non serve più e per cui lo si sgancia, dal momento che anche i motori hanno una massa (per quanto piccola e insignificante se paragonata a quella di uno stadio o a quella di un intero razzo).
EDIT: ora che ho controllato non è una massa poi così piccola, quella di un solo motore dello Shuttle (SSME) è pari a 3177 kg.
Ciao Phoenix, ti ringrazio della risposta ma non penso sia quello che hai detto tu. Deve trattarsi di una particolare modalità di funzionamento del motore che permette al veicolo di partire da fermo, un’alternativa ad una fase “turbo-scramjet” che ho trovato da altre parti, che è simile a quella dei motori dell’SR-71 Blackbird. Il motore, …ben fermo dentro l’aereo, usa questa modalità di funzionamento per basse velocità fino a che non raggiunge un numero di mach sufficiente alla compressione del flusso d’aria tipo ramjet/scramjet. Questo è quello che si capisce dallo studio che ho letto. Non capisco in cosa consista questa modalità “ejection” che permetterebbe al motore di funzionare anche a basse velocità. L’unica cosa che mi viene in mente è che usando una specie di postbruciatore, il motore riesca a creare una “depressione” al suo interno che faccia entrare lo stesso l’aria dalla presa, anche senza l’utilizzo di compressori a turbina. Boh? Se ti capitasse di trovare qualcosa a proposito, tienimi informato…
Mi permetto di aggiungere a quanto scritto da Archipeppe qualcosa sui “razionali”: perche’ si sceglie un certo tipo di soluzione, blunt body, corpo portante o spazioplano?
La portanza in realta’ serve, tra l’altro, per due cose:
-
Capacita’ di cross range, ovvero di spostarsi significativamente rispetto al punto di rientro per raggiungere un punto di atterraggio anche lontano (e anche minimizzazione dei g durante il rientro).
-
Eventuale atterraggio con superfici alari o corpo portante (nel secondo caso piu’ perigliosamente perche’ la velocita’ e’ molto maggiore… magari qualcuno ricorda lo schianto nella sigla dell’uomo da 6 milioni di dollari)
La fase di rientro nell’atmosfera e decelerazione e la fase di atterraggio hanno requisiti molto diversi… e non e’ facile fare bene entrambe le cose.
Nulla impedisce di progettare un veicolo con forma e portanza ottimizzata per la fase di rientro ma che poi completa l’atterraggio con paracadute e splash down o retrorazzi o mid air retrieval. Anzi, e’ una soluzione attraente perche’ minimizza i pesi e la complessita’ (il carrello e le ali dello Shuttle pesavano un botto rispetto al totale) e minimizza anche i rischi di schianto toccando la pista ad alta velocita’ con un corpo portante o ali relativamente piccole e progettate per resistere al rientro. Del resto non e’ un caso che come scritto da Archipeppe gran parte delle capsule passate e future sono semiportanti e atterrano verticalmente con paracadute.
La capacita’ di cross range e’ importantissima per due motivi:
-
serve tanto ai militari e allo spionaggio o “strategic reconnaissance” (il progetto dello Shuttle e’ stato modificato per implementare i requisiti dell’Air Force che alla Nasa non servivano… vedi seguito)
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in caso di orbite non equatoriali, le finestre possibili di rientro sono molto piu’ frequenti, perche’ se posso percorrere piu’ chilometri molte piu’ orbite passano sufficientemente vicino al punto di atterraggio.
Provo a spiegarlo meglio. Se lanci dal KSC, ad una latitudine di 26° circa, l’orbita a minima inclinazione che puoi raggiungere e’ appunto 26°. Questo significa che dopo la prima orbita la rotazione della Terra fa si che non ripassi piu’ sul KSC, e quindi se non puoi “planare” un po’ (non hai cross range) non puoi rientrare ne’ all’orbita successiva ne’ in quasi tutte le altre… solo poche orbite sorvolano esattamente il punto di atterraggio.
Quando hanno progettato lo Shuttle alla Nasa sarebbe bastata una finestra di rientro ogni 24 ore…e per questo bastava un crossrange di 200-400 miglia nautiche.
Mentre la Air Force voleva poter fare missioni di riconoscimento di una sola orbita polare, lanciando da Vandenberg e rientrando subito dopo aver sorvolato i poli e il territorio dell’allora Unione Sovietica… e per fare questo serve un crossrange di 1100 miglia nautiche.
Per implementare questo requisito la scelta delle ali a delta era obbligata. Ma questo ha comportato costi e complicazioni che per i requisiti dell’esplorazione spaziale non sarebbe stato necessario affrontare.
Il progetto iniziale dello Shuttle della Nasa (intendo quello tra i tanti che e’ arrivato piu’ vicino alla realizzazione) era il progetto di Maxime Faget. in tale ipotesi, lo spiego come l’ho capito con parole mie, il veicolo durante il rientro avrebbe frenato soprattutto con la “pancia” ad un elevato angolo di attacco invece che con le ali. Le ali sarebbero state dritte, e non a delta e meno pesanti, piu’ adatte per l’atterraggio che avviene a velocita’ relativamente bassa. Questo tipo di rientro avrebbe comportato, funzionando come un “blunt body” un surriscaldamento molto inferiore e un rientro molto meno critico rispetto allo Shuttle come poi e’ stato realizzato. Dispiace ricordare che uno dei due Shuttle persi si e’ disintegrato proprio cosi’…
Insomma, anche restando nell’ambito degli spazioplani i possibili approcci di progetto sono molto diversi.
Vale la pena di aggiungere che se hai una base di lancio e atterraggio equatoriale, come Kourou, e se lanci su orbita equatoriale… il crossrange non ti serve proprio.
Puoi fare una capsula di rientro in puro stile “blunt body”, solida, che si surriscalda poco e sicura, e nonostante questo rientrare ad ogni orbita.
Peccato che se devi andare ad esempio sulla ISS anche da Kourou devi lanciare su un’orbita molto inclinata… e a quel punto per rientrare devi aspettare l’orbita giusta o avere delle belle alone grandi, costose, pesanti e pericolose…
Bisognerebbe che tutti i principali attori lanciassero dall’equatore e che la ISS fosse su orbita equatoriale…
I piu’ esperti correggeranno o integreranno.
Davvero interessante! In effetti non avevo mai pensato alle finestre di rientro come rationale (non riesco a scrivere razionale…) in un trade off. E in effetti per una missione civile importa poco dover aspettare l’orbita giusta prima di rientrare, perchè si può pianificare la missione con tutta calma in modo da ottimizzare tutti i tempi.
Un aspetto del crossrange non toccato dal post di Indaco ma altrettanto importante è in fase di rientro d’emergenza o comunque per rientri non nominali, avere un cross range elevato può essere un’assicurazione sulla vita… maggiori orbite disponibili e maggiore raggio d’azione in atmosfera per compensare problemi o correggere la traiettoria.
Vi ringrazio per aver ripreso questo thread e in modo anche molto interessante.
Voglio ringraziare Indaco per aver posto nella giusta luce, l’importanza del crossrange come input alla progettazione dei veicoli di rientro.
Come scritto il crossrange è legato alla portanza generata dal mezzo durante la fase ipersonica di rientro nell’atmsfera, è dunque proporzionale al rapporto L/D introdotto in precedenza, dunque maggiore è la portanza generata durante il rientro maggiore è il crossrange, ossia il “ventaglio” di possibile manovra che il velivolo ha sul piano orizzontale (imbardata). Graficamente si presenta proprio come una specie di ventaglio allungato che può essere ampio dalle centiania ai migliaia di Km sui due lati (tanto che nelle capsule balistiche la sua proiezione in piano si presenta come una linea esattamente retta).
Mi preme sottolinearre, però, che il Columbia (a cui accenna Indaco) non è andato perso per le sue intrinseche caratteristiche di rientro quanto per un problema “meccanico” dovuto allo sfondamento del bordo di attacco della semiala sinistra, causato da un blocco di rivestimento ghiacciato dell’ET. Tale incidente avrebbe avuto un esito comunque fatale anche se lo Shuttle avesse avuto una differente configurazione (ad esempio quella della cosidetta “Phase A”, condotta dal grande Maxim Faget, nel 1969-70 e che aveva portato al progetto di TSTO della McDonnell Douglas, ad esempio).
Si chiedo scusa mi sono espresso male, e questa e’ solo una delle mie imprecisioni.
Quello che volevo dire e’ che ali ottimizzate per il crossrange a velocita’ ipersonica comportano un rientro piu’ critico, con temperature piu’ elevate e per un tempo piu’ prolungato.
E questo comporta in caso di problemi come quello del Columbia, avere margini inferiori in una situazione gia’ precaria per altri motivi, oltre a dover progettare uno scudo termico piu’ “esotico” (e quanti problemi e costi hanno dato le piastrelle isolanti dello Shuttle).
La configurazione di Faget invece prevedeva ali molto piu’ piccole ma dritte, piu’ simili a quelli di un aereo subsonico perche’ ottimizzate per l’atterraggio ma di fatto inutilizzabili durante il rientro, e che quindi richiedevano una quantita’ di scudo termico molto inferiore.
Non sono in grado di dire cosa sarebbe successo se il problema del blocco di ghiaccio fosse capitato ad un veicolo “alla Faget”… le variabili sono troppe ed e’ bel al di sopra della mia capacita’ di comprensione.
La mia osservazione e’ che mi sarebbe piaciuto che lo Shuttle fosse stato disegnato per i soli requisiti dell’esplorazione spaziale, invece che per una capacita’ di utilizzarlo come “ricognitore” tra l’altro destinata a diventare obsoleta molto presto con l’avvento dell’elettronica nei satelliti spia.
I satelliti spia dell’epoca, come i Corona, fotografavano su pellicola che poi doveva essere fatta rientrare.
Sia nel caso della guerra dei Sei Giorni che nel caso dell’invasione della Cecoslovacchia le foto della preparazione di questi confilitti riprese dai satelliti spia sono arrivate a destinazione quando ormai l’evento era gia’ avvenuto.
Per questo i militari volevano un mezzo per poter esaminare subito, al momento del sorvolo o dopo un rientro in una sola orbita, le immagini…e per questo hanno posto questi requisiti per lo Shuttle in cambio della partecipazione agli investimenti.
Peccato che da li a poco con l’avvento dell’elettronica le immagini dei satelliti spia potevano essere spedite a terra immediatamente via etere.
E non e’ l’unico requisito “pesante” che richiesto dagli impieghi militari dello Shuttle: un altro era sulle dimensioni del vano di carico e sulla possibilita’ di riportare a terra grossi carichi. I requisiti della Nasa sarebbero stati per uno shuttle molto piu’ piccolo…con tutto quello che avrebbe comportato in termini di costi di sviluppo e di esercizio, possibilita’ di sviluppo incrementale ecc…
Gran parte di queste info provengono da un testo interessantissimo e incredibilmente ricco di dettagli che consiglio a tutti quelli che non l’avessero gia’ letto: The Space Shuttle Decision di T. A. Heppenheimer
Fa veramente capire bene il contesto, i vincoli tecnici ed economici che hanno portato allo sviluppo dello Shuttle e di gran parte dell’esplorazione spaziale USA… ci sono tanti di quegli spunti da alimentare tantissimi 3d.
Tra l’altro il testo e’ liberamente disponibile online.
Questo e’ il paragrafo che parla di molte delle cose discusse in questo 3d:
http://www.nss.org/resources/library/shuttledecision/chapter05.htm#new
Pero’ e’ tutto interessante, dal primo capitolo all’ultimo… fa capire un’infinita’ di cose sull’astronautica.
Come vedete contiene alcuni dei concetti che ho cercato di riportare… solo scritti molto meglio e con piu’ precisione.
Non ti devi scusare di nulla, grazie piuttosto per il libro a cui hai fatto riferimento. L’ho scaricato subito e appena possibile mi metterò a leggerlo.