Un occhio per studiare le tempeste del Sole

I nostri antenati spiavano ansiosi il Sole e, quando, finalmente, le ore di luce tornavano ad aumentare, era una esplosione di riti di ringraziamento. Nei secoli abbiamo imparato a prevedere in ogni istante la posizione della nostra stella e sappiamo che reazioni di fusione nucleare le consentiranno di ardere ancora per miliardi di anni. Eppure, il Sole continua a celare molti segreti: alcuni riguardano proprio i fenomeni più spettacolari, come le macchie solari e i brillamenti, cioè le gigantesche lingue di fuoco che possono distaccarsi per migliaia di chilometri. Comprendere questi punti ancora oscuri significherebbe avere una chiave per capire cosa accade anche negli angoli più remoti dell’Universo, perché il Sole è l’unica stella che possiamo studiare da vicino, ma sappiamo che assomiglia come una goccia d’acqua a innumerevoli altri astri. Per rispondere alle domande irrisolte però non bastano gli strumenti oggi esistenti: occorrono telescopi di nuova generazione, in grado di scrutare nel dettaglio la superficie solare. L’obiettivo è riuscire a mettere a fuoco aree del diametro di una decina di chilometri, mentre gli attuali telescopi non consentono di distinguere nulla che abbia un diametro inferiore ai 70 chilometri. A permettere il salto di qualità sarà ad esempio l’ATST (Advanced Technology Solar Telescope), progettato da un consorzio di istituti statunitensi, con la partecipazione di ricercatori europei ed asiatici, e che dovrebbe entrare in funzione nel 2012. «ATST avrà uno specchio del diametro di quattro metri, circa quattro volte quelli dei più grandi telescopi solari esistenti», spiega Gianna Cauzzi, dell’osservatorio di Arcetri dell’Inaf e parte di un gruppo internazionale di ricercatori coinvolto nel progetto. E se il problema è che specchi più grandi raccolgono tanto calore da danneggiare lo strumento stesso, la soluzione - aggiunge - «sarà un efficiente sistema di dissipazione. Inoltre è ormai possibile costruire specchi che, sotto il controllo del computer, si deformano in continuazione in modo da compensare esattamente la distorsione dell’immagine prodotta dal movimento dell’aria: ciò consente di ottenere immagini nitide senza fare il vuoto intorno agli strumenti». Ma perché è necessario osservare così nel dettaglio la superficie della nostra stella? Gli strati esterni del Sole sono estremamente inquieti e a ciò si devono fenomeni sorprendenti, come la temperatura di circa due milioni di gradi a cui si trova la «corona», cioè la parte più esterna dell’atmosfera della stella: è un valore enorme, se si considera che la sottostante superficie è ad «appena» 6 mila gradi. Dato che il calore di una stella è prodotto dalle reazioni nucleari che avvengono nel suo cuore, procedendo dal nucleo verso l’esterno la temperatura dovrebbe diminuire e, allora, che cos’è che scalda l’infuocata corona? «Gli astrofisici ritengono che ciò sia connesso con il campo magnetico del Sole, prodotto dal movimento di particelle cariche. Il campo magnetico solare ha moltissime irregolarità, dovute a innumerevoli campi magnetici più piccoli. E’ a questi che si devono le macchie solari e i brillamenti, ma riteniamo che siano presenti anche là dove in apparenza regna la quiete», continua Gianna Cauzzi. I campi magnetici a piccola scala formerebbero un groviglio che tenderebbe ininterrottamente a riorganizzarsi in strutture più semplici tramite processi che emettono energia: e proprio questa energia «scalderebbe» la corona. «Siamo convinti che i fenomeni che avvengono su scale molto piccole sulla superficie del Sole non siano dettagli, ma la causa profonda di avvenimenti giganteschi».

Barbara Gallavotti

da la Stampa Web