Amici,
stimolato dalle vostre interessantissime discussioni, sono andato a scartabellare il mio archivio cartaceo di ritagli tratti da vari quotidiani (principalmente il Corriere), perchè mi sono ricordato di aver conservato un magnifico articolo a proposito del design previsto per le tute dell’HERMES.
Si tratta di un essauriente articolo divulgativo dell’ottimo Giovanni Caprara, pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 6 marzo 1990.
Rileggere questi articoli ha il sapore del necrologio: citazioni di decine di progetti che, come questo, non hanno mai visto la luce.
Ho scansionato l’intera pagina, ma trattandosi di un file di dimensioni pachidermiche, ho acquisito il testo e selezionato la foto a corredo.
Sarebbe bello che voi esperti di tute mi diceste che fine hanno fatto certe società citate nell’articolo. Se fossero ancora “in vita” sarebbe bello chiedere di vedere qualche bozzetto ingegneristico…
[b]TUTA PARLANTE PER GLI ASTRONAUTI EUROPEI[/b] [i]L’ESA ha varato la costruzione del suo primo scafandro per le passeggiate cosmiche all’esterno della navetta Hermes. Costa più di 100 miliardi e sembra un robot – Un sistema computerizzato costruito dall’italiana Laben permette anche il dialogo con l’uomo – Sarà pronta in 4 anni e nel 1999 verrà collaudata nello spazio[/i]TUTA PARLANTE PER GLI ASTRONAUTI EUROPEI
L’ESA ha varato la costruzione del suo primo scafandro per le passeggiate cosmiche all’esterno della navetta Hermes.
Costa più di 100 miliardi e sembra un robot - Un sistema computerizzato costruito dall’italiana Laben permette anche il dialogo con l’uomo - Sarà pronta in 4 anni e nel 1999 verrà collaudata nello spazioE’ una taglia unica e candida, pesa 130 chilogrammi ed assomiglia tremendamente ad un robot: è la nuova tuta spaziale che indosseranno gli astronauti europei, II progetto è stato appena approvato dall’Esa, entro quattro anni sarà pronta per le prove e nel 1999 la indosserà un pilota della navetta Hermes per il battesimo del cosmo.
I1 disegno che abbiamo sotto gli occhi è ormai quello definitivo, ma come erano curiosi i pensieri dei tecnici che stavano lavorando nella nuova sartoria spaziale. Alcuni , vittime della mitologia greca, avevano immaginato una sorta di centauro mezzo cilindro con braccia robotizzate e mezzo scafandro d’astronauta. Altri avevano suggerito uno strano ragno metallico con l’uomo incapsulato al centro. Ma l’azzardo ingegneristico ha lasciato presto il posto alla cultura finora accumulata in fatto di “vestiario d’orbita” da americani e sovietici. Così, camminando su un terreno più conosciuto, si è giunti ad un progetto che alla fine pur facendo tesoro della tradizione offre una tuta ben più avanzata di quelle finora impiegate.
Anche perché la Nasa, per ridimensionare i costi della stazione Freedom ha cancellato il programma di un nuovo vestito spaziale, mentre da parte sovietica pur essendo allo studio qualcosa di nuovo, finora , sempre per ragioni di bilancio, si è continuato a far ricorso all’esistente.
Se guardiamo lo stile della tuta europea scopriamo che essa assomiglia nell’impostazione più a quella sovietica che prevede un pezzo unico con lo zaino che si apre come una porta sulla schiena attraverso la quale si infila l’astronauta. L’americana, invece, è spaccata in due tronconi uniti in vita. Per l’elettronica che gestisce i mille meccanismi del vestito, invéce, ci si avvicina ovviamente di più agli schemi della Nasa mentre la soluzione russa non contempla nemmeno un processore che tenga sotto controllo le delicate funzioni.
Ma l’impostazione voluta dall’Esa va ben oltre, tanto che descrivendola sembra proprio di parlare di un robot che ospita al suo interno come un’anima, l’essere umano-astronauta. E tra i due si capisce subito quanto debba essere totale la simbiosi al punto che l’astronauta parlerà con la sua tuta-robot.
Ma vediamo più in dettaglio come è stato congegnato il nuovo “vestito” che garantirà la sopravvivenza dei nostri astronauti durante le passeggiate spaziali. Concepita in tre “moduli”, abbiamo il vestito vero e proprio (l’Èva Suit Enclosure Module) costituito di 16 strati di materiali vari (dal kapton alluminizzato al nomex, al kevlar) che proteggerà l’organismo umano dalle micrometeoriti e dalle dannose radiazioni ultra-
violette e ionizzate, e al di sotto varie “sottovesti” una delle quali è percorsa dai mille tubicini che garantiscono il giusto clima interno.
Poi vi è lo zaino incollato sulla schiena (l’Èva Life Support Module) che stiva serbatoi, pompe e batterie assicurando Ù necessario alla vita. La scorta d’ossigeno è di 6 ore più una mezz’ora di riserva, mentre la batteria al litio eroga sette ore di energia elettrica. E queste sono le due cifre che dicono il massimo dell’autonomia durante la passaggiata cosmica.
Il terzo elemento, infine, (l’Èva Information & Com-munication Module) è quello che potremmo chiamare il “cuore” della tuta
vale a dire il sistema informatico che aziona, garantisce e sorveglia il giusto pulsare di tutti i marchin-gegni del robot di tessuto.
L’Esa per portare a termine l’impresa che costerà oltre cento miliardi di lire (per il momento sono stati stanziati 15 miliardi per la prima fase) ha organizzato un consorzio di una trentina di industrie a livello europeo coordinate da quattro aziende che sono le responsabili delle quattro aree tecnologiche coinvolte. Queste sono la tedesca Dornier (che è anche la capocommessa del progetto), la francese Dassault, la spagnola Casa e l’italiana Laben (Gruppo Fin-meccanica).
A livello dei sottocontrattori italiani abbiamo inoltre Aeritalia che per conto della Dassault realizza tutto il vestito, oppure la Microtecnica che prepara alcune parti dello zaino. Laben invece è stata incaricata dall’ESA deòòa fabbricazione del “cuore” della tuta, cioè il sistema informatico che la gestisce.
“Il modulo di informazione e comunicazione come noi lo chiamiamo - spiega l’ingegner Cordoni, capo del progetto in Laben - fornisce all’astronauta tutti i dati raccolti nelle diverse parti della tuta così da permettere all’astronauta un controllo assoluto della situazione. La parte fondamentale del sistema è rappresentata da un computer capace di riconoscere la voce dell’astronauta, quindi di ascoltare ciò che egli dice, oppure di parlare a sua volta raccontandogli se qualcosa non va nello zaino o se è il momento di avviare una certa procedura. Sarà lo stesso computer - aggiunge Cordoni - a suggerire di interrompere la missione se alcune anomalie fossero tanto gravi da mettere a repentaglio la vita”.
Il cuore informatico realizzato dalla società milanese garantisce un’autonomia quasi totale alle funzioni svolte dalla tuta. Ascolta le informazioni provenienti dallo zaino, quelle di autodiagnosi che arrivano dal sistema stesso, raccoglie i dati fisiologici spediti dai sensori posti su una cintura che cinge il torace dell’astronauta e comprendenti la temperatura della pelle, la frequenza della respirazione e l’elettrocardiogramma. Inoltre seleziona e prepara i dati da mandare a terra e provvede ad azionare i sistemi di riserva se quelli “titolari” entrassero in avaria.
L’astronuta, in pratica, può dimenticarsi del suo scafandro protettivo e impegnarsi nei lavori extraveicolari di manutenzione e riparazione e che rappresentano lo scopo della passeggiata. Al massimo darà un’occhiata ogni tanto al minuscolo schermo a cristalli liquidi sistemato sul petto dove scorrono alcune informazioni, oppure si limiterà ad ascoltare quanto gli dice il computer, al quale nello stesso tempo può ordinare di alzare la temperatura se sente freddo, di trasmettere certe notizie al collega sulla stazione o sulla navetta e altre cose inerenti il funzionamento del vestito robotizzato o la missione.
Il programma dell’Esa riguardante la tuta è in realtà diviso in due parti prevedendo anche la realizzazione di un secondo “completo cosmico” più semplice da far indossare agli astronauti quando partono o rientrano con la navetta Hermes. Per quest’ultimo la francese Das-sault ha già stipulato un accordo con la società sovietica Zvezda che fabbrica le tute Sokol-KV2 adoperate sulle navicelle Soyuz e con la quale realizzerà una europeizzazione dell’attuale versione russa.Giovanni Caprara