Vorrei tornare sul tema della possibilità, da parte degli astronauti dell’era Apollo, di infrangere le regole delle missioni (già toccato nel post precedente), avendo rinvenuto altre interessanti (per chi è interessato ) informazioni.
Mi sembra di poter dire, infatti, che l’insofferenza verso le Mission Rules non riguardava solo personaggi esuberanti come Alan Shepard; la preoccupazione che gli astronauti affrontassero eccessivi rischi, pur di non perdere l’occasione unica di camminare sulla Luna, era sentita vivamente, presso i vertici della NASA, anche quando si trattava di uomini affidabili come Armstrong.
Lui stesso, attraverso il suo “biografo ufficiale” (James R. Hansen, First man: the life of Neil A. Armstrong, Simon e Schuster, New York 2005), racconta che nel luglio del 1969, ad una settimana dal lancio di Apollo 11, l’amministratore della NASA del tempo, Thomas O. Paine, pensò bene di intervenire personalmente:
[size=10pt]Secondo Neil, Paine gli disse "che se non avessimo avuto la possibilità di atterrare e avessimo dovuto tornare indietro, ci avrebbe dato la possibilità di riprovarci ancora, nel volo successivo. Credo che in quel momento lo dicesse seriamente." La verità è che Paine disse la stessa cosa ad ogni equipaggio dell'Apollo. Era il suo modo di incoraggiare gli equipaggi non fare stupidaggini, pensando che sarebbe stata la loro unica possibilità.[/size]
Ai tempi del primo sbarco la promessa poteva ancora sembrare credibile ma, nei voli successivi, man mano che venivano cancellate le missioni, l’espediente sarà ovviamente diventato sempre più inutile.
L’inquietudine di Paine, comunque, non era senza fondamento, dal momento che altre testimonianze citate Hansen ci presentano un Armstrong poco disponibile all’obbedienza cieca alle Mission Rules.
In Failure is not an Option, Gene Kranz ricorda come nelle occasioni in cui discutevano insieme all’equipaggio le strategie per l’allunaggio Neil apparisse più uno spettatore che un protagonista. Un atteggiamento “strano”, che non poteva essere ricondotto solo alla sua indole riservata.
[size=10pt]Sapevo che Armstrong non parlava quasi mai, ma mi aspettavo che si sarebbe fatto sentire sulla strategia riguardante le regole della missione. Non lo fece. Non era facile abituarsi al suo silenzio. Mentre passavamo in rassegna le regole, Neil in genere sorrideva o annuiva. Mi feci l'idea che avesse elaborato le sue personali regole per l'atterraggio. Avrei solo voluto sapere quali fossero. La mia sensazione era che avrebbe continuato, accettando qualsiasi rischio fino a quando ci fosse stata anche una remota possibilità di atterrare. Pensavo che fossimo sulla stessa lunghezza d'onda, dal momento che avevo anch'io delle regole simili. Avrei lasciato continuare l'equipaggio finché ci fosse stata una possibilità.[/size]
Secondo Chris Kraft (Flight. My Life in Mission Control, Dutton, New York 2001) ci fu invece un argomento sul quale Armstrong alzò la voce e, manco a farlo apposta, riguarda proprio la famigerata possibilità di atterrare senza radar (della quale si è discusso qui, a proposito di Apollo 14: http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=24073.0). Fu in quell’occasione che fu introdotta la regola che rischiò di impedire a Shepard e Mitchell lo sbarco lunare. Armstrong non la voleva.
[size=10pt]Nell'ultimo mese Neil venne al Controllo Missione per esaminare le regole per la discesa lunare, l'atterraggio, le operazioni di superficie e il decollo. Le regole della missione potevano lasciare la decisione finale all'astronauta, ma era una cosa che non volevamo incoraggiare. [...] Il computer e il radar di atterraggio ebbero un'attenzione particolare. Avremmo inviato aggiornamenti dell'ultimo minuto al computer di bordo sulla traiettoria del modulo lunare, le prestazioni del suo motore e la posizione sulla Luna. Fino a che Aquila [nome del LM di Apollo 11] era a circa 3.000 metri, la stima della sua quota era basata sui radar della Terra e il suo sistema di guida avrebbe potuto essere sfasato di decine o di centinaia di metri. Perciò sarebbe dovuto entrare in funzione il radar di atterraggio del LM e fornire dati accurati. Ciò portò ad accese discussioni. Neil era preoccupato che un controllore di volo troppo zelante interrompesse una buona discesa, sulla base di informazioni errate. "Sarò in una posizione migliore per sapere cosa sta succedendo rispetto alla gente giù a Houston", disse più e più volte. "E io non ho intenzione di tollerare rischi inutili," ribattei. "E' per questo che abbiamo le regole della missione." Abbiamo discusso sulle specifiche del radar di atterraggio e io insistevo che se non avesse funzionato era obbligatorio annullare la discesa. Semplicemente non mi fidavo della capacità di un astronauta, nemmeno uno provato e testato come Neil Armstrong, di stimare con precisione la sua altitudine su una superficie lunare piena di crateri. Era un terreno sconosciuto e nessuno sapeva l'esatta dimensione degli elementi della superficie che dovevano essere usati come riferimento. Alla fine ci siamo accordati. La regola fu scritta. Ma dal cipiglio di Neil potevo capire che non era convinto. Tutto nella sua esperienza gli aveva insegnato a fidarsi del proprio giudizio. Mi chiedevo se in orbita lunare non sarebbe passato sopra tutti noi cercando di atterrare senza radar.[/size]
Parlando al suo biografo, quarant’anni dopo, Armstrong chiarisce così la sua posizione:
[size=10pt]Avevo un grande rispetto per le regole di missione, per come erano state sviluppate, per la loro utilità e per il vantaggio di essere tutti d'accordo su quello che bisognava fare. Ma devo ammettere che, se tutto sembrava andare per il meglio e c'era una regola della missione che ci interrompeva e diceva che dovevamo fare così e così, sarei stato disposto a usare le mie prerogative di comandante e ignorare la regola della missione, se avessi pensato che era la via più sicura. [/size]
Sarei curioso di sapere se le cose siano cambiate e se anche oggi - ora che i voli spaziali hanno un carattere meno pionieristico - gli astronauti dispongano di qualcosa di analogo alle discrezionalità rispetto alle Mission Rules dei tempi di Apollo. Per esempio oggi, sulla ISS, se si presenta un contrasto tra le direttive che vengono dal Controllo di terra e la valutazione del comandante della Stazione, quest’ultimo possiede ancora l’ultima parola sul da farsi?
Ad ogni modo Armstrong motiva così la sua posizione: la manovra di abort, ossia di annullamento della discesa, gli sembrava comportare più rischi, rispetto ad altre alternative:
[size=10pt]Dopo tutto, la manvora di abort non era un fenomeno molto bene compreso: nessuno aveva mai eseguito un abort. Dovevi spegnere i motori, attivare i dispositivi pirotecnici di separazione, e accendere altri motori durante il volo. Fare tutto ciò in prossimità della superficie lunare non era una cosa che mi faceva sentire sicuro.[/size]
Quindi (forse) anche Armstrong avrebbe tentato di allunare senza radar.
Ma anche lui, in tal caso, sarebbe stato costretto ad interrompere la discesa. I fatti diedero ragione a Kraft. Durante gli epici momenti della discesa di Eagle sulla superficie lunare, Kraft si prese una soddisfazione quando, all’arrivo dei dati del radar, si evidenziò una notevole divergenza rispetto al sistema di guida di bordo:
[size=10pt]Senza il radar di atterraggio, nemmeno Neil avrebbe potuto salvare la missione. Gli errori di nella valutazione dell'altitudine erano troppo grandi.[/size]