anche se tecnicamente un articolo non realmente di ambito astronautico, peso di fare cosa non sgradita nel postare sul Forum il mio pilota militare - stratosferico, come si presenta oggi completato in tutto.
Alla fine, anche per uno abbastanza fanatico della perfezione come me è stato obbligatorio optare per un periodo storico che permettesse l’impiego di articoli sempre corretti di per sè, ma con un margine di sovrapponimento onde avere un pò di tolleranza: per esempio il casco GSh-6A va benone, ma anche un GSh-6LP sarebbe stato OK. Oppure un salvagente del tipo “underarm” era centrato al 100% ma quello “chest-type” che gli ho messo addosso non è sbagliato.
Diciamo che così come si presenta, potrebbe essere un pilota di MiG-23 o MiG-25P (ma anche Sukhoi-15) dell’Aviazione Sovietica da Difesa Aerea (I.A. - P.V.O. Strany) durante gli anni '80.
La classica tuta Partial Pressure VKK-6M ho voluto che rimanesse in piena vista, essendo insieme al casco l’articolo più “esotico” - ovviamente, in una vera missione operativa il pilota NON va in volo vestito soltanto così - al di sotto ha soltanto un monopezzo di biancheria intima in cotone sulla pelle, e non se la passerebbe allegramente nel caso di decompressione ad altissima quota (temperatura grosso modo da -58°C a -63°C).
Indosserebbe invece, una sovra-tuta ventilata e riscaldata (la VK-3M di norma) ma in questo caso la suddetta mi avrebbe nascosto il rimanente.
Per il resto, potrebbe benissimo… acquistare la parola, e domandarmi dove caz…volo gli ho parcheggiato il suo “Foxbat” - certamente, non nell’orto di casa mia (22 metri di aeroplano con tanto di smaglianti stelle rosse non passano inosservati pur tra melanzane e pomodori ).
cercherò di postare le foto in tempi decenti - come si dice, Thanks for watching!! Frank.
Attualmente, il salvagente arancione “chest-type” ASZ-58 è molto meno usato. Al suo posto viene portato un modello “underarm” costituito da due unità separate, situate sui fianchi del pilota, con l’esterno in colore Azzurro; la sigla è ASP-74.
La tuta VKK-6M è ovviamente, assieme al casco GSh-6A l’oggetto che avvicina il pilota ad uno “spaceman”. Indossata super-attillata direttamente sopra un intimo in cotone - quest’ultimo ha le cuciture rivolte all’esterno, per evitare che la stretta micidiale che l’intera tuta svolge sul corpo in gonfiaggio d’emergenza riesca a “stampare” le cuciture in profondità sulla pelle.
D’altronde, il concetto di una Partial Pressure Suit è quello di impedire tramite PURA azione meccanica di controbilanciamento, che i fluidi e i tessuti del corpo si espandano a causa della bassissima pressione atmosferica a quote sopra i 18.000 metri circa.
Che poi nel caso della serie VKK - di tute Sovietiche (a differenza di quelle Americane) la metà inferiore del sistema “capstan” svolga anche funzione Anti-G quando richiesto, è ovviamente vero. Ma lo scopo primario - e in quelle Americane, UNICO - di questo concetto è la compressione del corpo (tranne mani e piedi) tramite la tuta che viene tirata e in un certo senso, “ristretta” di parecchie taglie quando i tubi esterni si gonfiano istantaneamente, portandosi appresso i nastri che li avvolgono e letteralmente rimpicciolendo l’intero indumento.
Qui sotto, molto tempo fa - con salvagente (temporaneo) “underarm type” ASP-74, e ancora senza imbragatura-paracadute PSU-36
Il casco è il GSh-6A, introdotto all’incirca nel 1968. Semplificato parecchio rispetto al precedente Gsh-6M che però ha continuato a essere usato, ovviamente, per un certo tempo.
Basilarmente uguale nelle funzioni, ma la variante -A sposta il tubo dell’ossigeno da sinistra a destra, mentre il tubicino in gomma entra nel casco non più a destra bensì a sinistra. Quest’ultimo porta l’aria che preme costantemente suilla “relief valve” tramite un vero e proprio palloncino gonfiabile, e impedisce che la valvola abbia perdite quando il pilota compie l’inalazione.
Quando invece egli esala, la pressione è superiore all’interno del casco, e la valvola si apre quel tanto da lasciar passare fuori l’esalazione.
Le estremità dei due tubi, ossigeno (verde e corrugato) e aria per la “relief valve”. Entrambi hanno connessione a baionetta.
Il GSh-6A si inserisce nel suo collare tramite 6 piccole “spine” distribuite equamente sulla circonferenza - spine che verranno bloccate da una flangia che le imprigiona scorrendo sopra di esse, quando la camme di chiusura (visibile sulla “mentoniera” esattamente a metà) viene stretta. Il successivo GSh-6LP ha come unica differenza il numero delle spine: 8 invece di 6.
VKK-6M, la più conosciuta delle tute “capstan principle” sovietiche COMPLETE (infatti la più recente VKK-15 opera con un principio un pò diverso, ed è priva di maniche).
Non molto diversa dalle sue controparti USAF/NASA nel disegno di base.
I grossi tubi in corrispondenza del ginocchio hanno una forma stabilmente piegata, essendo pensati per la posizione seduta che il pilota avrà nell’abitacolo - dove in effetti, seguiranno perfettamente la gamba piegata quasi a 90°, rimanendo gonfiabili.
Come già era successo con lo sfortunato tentativo di completare un pilota USAF stratosferico, anche qui la parte GAMBE riesce perfetta al 100%. La VKK-6M calza alla perfezione e i lacci di regolazione tirati al massimo fanno aderire attillatissima la tuta alle gambe, mentre (forse) non proprio al 110% è lo stesso per il rimanente.
Comunque un buon display secondo me. Alcune modifiche al manichino (recuperato in condizioni degne di… crash landing!!) hanno richiesto ore di lavoro.
Probabilmente gli stivali non hanno una specifica sigla - o forse sì, non ricordo con precisione. Sono gli stivali usati ugualmente dai piloti d’altissima quota e dagli altri “normali”, non possedendo caratteristiche che li rendano particolari.
Anche gli Americani erano arrivati alla stessa conclusione: col sistema delle tute a Pressione Paziale, un’adeguata protezione da offrire al piede era impossibile all’atto pratico (questo, a differenza delle tute Full Pressure). Ma diversamente dalle mani per le quali esistono gli appositi guanti, il piede non deve svolgere compiti particolari di precisione durante il breve tempo di una emergenza per decompressione.
Chiuso in uno stivale di taglia giusta e ben stretto con zip + lacci (due file di 10 occhielli) forse …gonfierà un pò ( ) provocando dolore e fastidio, ma probabilmente senza creare veri pericoli?
Qui entra in ballo la vera grande differenza che la serie VKK- delle tute a Pressione Parziale sovietiche (già a partire dalle primissime -1 e -2, metà anni '50?) ha, in confronto a quelle Americane.
Intanto è DOVEROSO chiarire alcune cose: sovietica o no, la protezione che può offrire la VKK-6M a quote stratosferiche è limitata se confrontata alle “antagoniste” a stelle e strisce, su questo non c’è scampo.
Una tuta VKK-6M è paragonabile grosso modo alla David Clark Co. T-1 del 1947, o alle T-1A e MC-1 del 1954 - anzi quest’ultima è anche superiore come quota raggiungibile
e tempo di esposizione.
Le definitive e super-sofisticate MC-3A e MC-4A di fine anni '50 (nonchè l’ultimissima Partial Pressure Suit americana in assoluto, la S-100 del 1970-71) sono poi il massimo a cui può arrivare il concetto basico di indumento protettivo “get me down quickly”: un prototipo della MC-3 collaudato in camera d’altissima quota, aveva funzionato in modo perfetto alla quota simulata di 60.600 metri per una quindicina di minuti - una cosa fantastica.
Altre prove eseguite da diversi aviatori comprendevano sessioni a quote simulate di quasi 31.000 metri, per alcune ore.
La VKK- però combina la protezione da decompressione alla funzione (sia pur non completamente soddisfacente, per forza) dell’ “Anti-G”.
Quando il tubo più lungo (quello floscio) riceve aria compressa va a gonfiare la “bladder” addominale e la parte INFERIORE dei grossi tubi Capstan esterni - SOLO quelli. Questo provoca un effetto Anti-G, facendo premere fortemente sull’addome la bladder interna. Anche i Capstan Tubes INFERIORI si gonfiano al massimo, obbligando la parte gambe della tuta a stringere fortemente.
In questo modo è ricreato un effetto Anti-G che non può arrivare, tuttavia, all’efficacia di un vero “Pantalone Anti-G” il quale possiede delle vere bladders interne - che vanno a comprimere cosce e polpacci.
Quando invece è richiesta la protezione da decompressione, il tubo piò corto e più rigido immette ossigeno (non aria) nella lunghezza TOTALE dei Capstan Tubes.
Essi si gonfiano su tutto il corpo, ma NON si gonfia più la bladder addominale - sarebbe oltretutto un impedimento, visto che in emergenza bisogna che il torace sia chiuso strettissimamente dalla tuta. Più avanti cercherò di spiegare il perchè dell’ossigeno al posto dell’aria, in caso di gonfiaggio per emergenza-decompressione.
Diversamente dai guanti S-612 oppure MG-1 / MGC-1 americani usati con le tute MC-3 e MC-4, questi sono relativamente semplici. Nessun tubicino esterno che li collega alle maniche della tuta, e che preleva aria sotto pressione da una diramazione presente nella tuta.
Questi operano in maniera, diciamo così “passiva”. Il dorso del guanto è a sua volta, formato in realtà da DUE strati di robusta pelle; in mezzo sta una “bladder” in lattice che ricalca la forma della mano.
Siccome in fase di fabbricazione questa membrana all’atto di essere sigillata ha avuto al suo interno una certa quantità d’aria (non era stato fatto il vuoto) ne risulta che quindi, all’istante di un’eventuale decompressione ad altissima quota, questo strato interno di aria avrà una pressione molto maggiore di quella dell’atmosfera circostante, e dilatandosi andrà a premere sul palmo della mano “tirandosi” appresso l’intero guanto. In questo modo il guanto stringe la mano e la protegge.
QUANTO in realtà possa proteggerla, non lo so. Certamente meno che in un guanto che riceva aria dal suddetto tubicino esterno, questo è ovvio.
Nella foto si intravede la bladder interna, sotto forma di un qualcosa di rigido e piatto che ricalca le dita:
La bladder in lattice interna:
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Solo per paragone, qui la manica di una MC-3A americana con i tubi “capstan” e i più piccoli tubi per la connessione coi guanti pressurizzati MG-1.
La Kràsnaya Zvezdà sul casco, forse più unica che rara. Decorazioni di reparto e simboli si direbbero un vero tabù in ambito di cose russo/sovietiche. Difficile dire se è uno stencil o se è stata verniciata - l’esecuzione e le proporzioni sono impeccabili.
L’ imbragatura “torso harness” mod. PSU-36 con l’inconfondibile punto d’attacco centrale, a quattro lame e sgancio simultaneo tipico delle aviazioni Sovietica e Cinese - così diverso da quello classico USAF-Occidentale con anello/moschettone e 3 punti di attacco.
Il pilota si aggancerà al seggiolino eiettabile “Zvezda K-36” (disponibile in non poche sottovarianti), usando le due “clips” all’altezza del torace. Queste ricevono le due cinture di sicurezza, che agiscono come tali durante una normale fase regolare della missione - ma in realtà, al momento di un’eventuale eiezione diventeranno automaticamente le due “bretelle” principali che sosterranno il pilota direttamente al paracadute.
“PSU-36” in caratteri Cirillici:
Una delle due clips “quick release” in posizione aperta ed abbassata:
Quest’angolazione inferiore mostra bene come l’orlo della tuta VKK-6M stringe ermeticamente il colletto/cappuccio che copre collo e spalle, e che tecnicamente è parte del complesso collare/anello di tenuta del casco GSh-6A.
L’oggetto di forma circolare rossastro-marrone è una specie di anello guarnizione in bakelite, attraverso cui passa il cavo della fonia radio che arriva dal caschetto soffice (interno al casco metallico vero e proprio). Il caschetto di comunicazione è quindi un elemento completamente autonomo, il cui cavo radio si collega alla prolunga già all’interno del casco principale.
Ovviamente non manca il microfono a staffa, posizionato a destra.
Il complicato sistema di articolazioni su entrambi i lati del casco per aprire/chiudere il visore principale è degno di nota. Il visore in materiale sintetico/plastico porta incorporati numerosi, minuscoli fili per disappannarlo (in stile “lunotto termico”) alimentati da un cavetto elettrico con la sua connessione apposita.
La flangia che blocca tutte le 6 spine del casco posizionate equamente sulla circonferenza del collare, è azionata da questa levetta piazzata a centro “mentoniera”.
Un paio di spinotti sono visibili.
Il punto di ancoraggio di sinistra del collare, tramite sistema cavo-carrucolina di scorrimento. La carrucola è oscillante e regolabile, la “rotella” (in realtà, ellittica) di colore biancastro è in Teflon.
Il cavo finisce in una “V” capovolta sul torace, e si aggancia alla VKK-6M tramite un punto di attacco con minuscolo moschettone; sulla schiena invece cs ne sono due.
Grazie!
Ho avuto lungo gli anni un totale di 10 piloti a rotazione. Solo questo è del tipo Stratosferico, se escludo quello (mai terminato) di un pilota USAF grossomodo controparte di questo.
Sì certamente.
DEVE anzi essere così, visto che tra queste tute e la pelle c’è soltanto una maglietta intima e un paio di “long Johns”, in pratica mutande lunghe. Questo perchè meno “roba” si trova tra la pelle e la tuta, più effetto avrà l’azione di chiusura che i grossi Capstan Tubes praticano facendo stringere inesorabilmente il tessuto sul corpo.
La sovratuta mod. VK-3M è ancora molto usata - relativamente semplice, prende aria calda tramite un tubo laterale posto sul fianco sinistro e la distribuisce a una rete di tubicini flessibili “ancorati” all’interno della tuta, lungo tutto il corpo.
Poi c’è la più complicata e pesante VMSK-4 in più varianti, ma questa riunisce in sè ben tre diversi tipi di indumento; deve infatti servire anche come Anti-Esposizione se immessa nelle acque gelide dei mari Artici, ed è anche ventilata con aria fresca se necessario.
Frank.
questa foto risalente agli anni '60 mostra un gruppo “cool” di piloti Sovietici di Sukhoi Su-11 in posa con addosso caschi GSh-6M e tute VKK-6M, ma senza altri indumenti protettivi - quasi certamente una foto di propaganda. In procinto di decollare (oppure, appena atterrati) avrebbero ancora indossate le VK-3M.
Anche se il pilota di per sè è completo, a parte la sovratuta VK-3M che non ho messo sul display per motivi di “coreografia” prima spiegati, qualche giorno fa ho trovato finalmente un accessorio in più il quale -tecnicamente- è parte del seggiolino eiettabile, e non dell’equipaggiamento personale dell’aviatore.
Dopo una lunga ricerca sfruttando le poch(issime) informazioni e illustrazioni che ho potuto trovare quà e là sul web (su libri et simili, neppure da pensarci) sono capitato su quell’ affare che possiamo definire: complesso Riduttore/Regolatore/Connettore Ossigeno/Connettore aria (parte superiore) collegato con tubazioni varie alla parte inferiore.
La parte superiore porta i collegamenti diretti alle varie connessioni del casco; a sua volta è collegata al “piedistallo” inferiore che fa parte già del seggiolino, e attraverso il quale passano aria, ossigeno e comunicazioni dall’impianto di bordo.
Un appariscente e complicato articolo che all’atto pratico NON troveremmo collegato al pilota se questi si trova fuori dall’abitacolo. Però in un certo senso arricchisce coreograficamente il tutto, oltre a risultare maledettamente difficile da acchiappare.
Tra qualche giorno forse potrò già averlo in mano - posterò senz’altro delle foto.
Frank.
Qui, con la zip posteriore aperta è visibile la “bladder” addominale che si gonfia tramite il più lungo dei due tubi di collegamento posti sul fianco sinistro. Assieme alla bladder si gonfia anche la parte inferiore (dall’anca in giù) dei grossi Capstan Tubes, ma solo quelli.
Qui il singolo punto di aggancio anteriore sul torace, per il sistema “hold down” dei cavetti di ancoraggio al casco. Più sotto, il doppio punto di aggancio presente sulla schiena.
I dati stampati sulla parte posteriore della spalla destra.
BKK-6M in cirillico, ovviamente sta per VKK-6M. P-12, sta per R-12 cioè “Ràzmer 12”, Taglia 12. La maggiore tra le taglie disponibili, che vanno dalla misura 3 fino alla 12.
Le foto si riferiscono alla seconda VKK-6M che possiedo in sovrappiù, e che non è montata su alcun manichino.
Hello,
ero addirittura pessimista circa i tempi di arrivo dell’oggetto che ancora aspettavo per un tocco definitivo al pilota - quell’insieme “interfaccia aereo - pilota” che ha sede nel seggiolino eiettabile, e collega l’uomo alle connessioni vitali tramite rrgolatori, riduttori e tubazioni varie.
E’ arrivato stamattina dal Canada, e risulta essere spettacolare. Difficile trovare informazioni un pò precise, che non siano le pagine tali e quali (scritte in Cirillico) di un trattato scritto dall’ideatore stesso del sistema Ossigeno/Pressurizzazione/Ventilazione “KKO-series”, probabilmente primissimi anni '60.
Comunque, una cosa non propriamente fondamentale da conoscere. L’oggetto è splendido e dovrebbe fare la sua figura appeso alla parte sinistra del “Tovarisch”.
Posterò le foto appena possibile. Frank.
Qui il setup:
il piedestallo ORK-2 vero e proprio, che è parte del seggiolino eiettabile (probabilmente in questo caso, un seggiolino ZVEZDA KM-1 / KM-1M) è collegato alla parte superiore siglata RSD-3M tramite numerosi tubi.
Il block RSD-3M ha tre “outlets” che alimentano rispettivamente: il grosso tubo (verde, corrugato) dell’ossigeno, il tubicino in gomma nero che porta l’aria per aprire/chiudere la “relief valve” del casco GSh-6A, e lo speciale adattatore per i Capstan Tubes della tuta Partial Pressure mod. VKK-6M.
Per le comunicazioni radio, un unico cavo proveniente dall’ORK-2 si biforca successivamente: un tratto va al jack radio che arriva dalla parte inferiore del casco, e l’altro più sottile va in realtà allo “sbrinatore” del visore trasparente.
La derivazione con attacco a baionetta va a servire il tubo della tuta che porta aria ai grossi “Capstan Hoses”, che in caso di decompressione della cabina si gonfierebbero all’istante.
Il cavo si sdoppia per proseguire fino al jack che porta al “disappannatore” (de-fogger) del visore esterno trasparente.
L’altra estremità è qui dotata di apposito adattatore, che permette l’attacco al grosso jack radio che esce da sotto al casco: