EADS Phoenix

I ricchissimi cugini germanici sono sempre un po’ + avanti :smiley:

http://www.neat.se/projects/phoenix.shtml

Phoenix è un prototipo su scala 1:7 dell’Hopper, uno studio concettuale per una navetta monostadio europea completamente riusabile e pensata per il trasporto in orbita di esseri umani. (Phoenix era insieme a Penelope e Ariane il possibile nome per la famiglia di razzi sviluppati dall’Agenzia Spaziale Europea che infine prese il nome di Ariane).

Phoenix fa parte del programma nazionale della Germania ASTRA. Il progetto da 40 milioni di euro è finanziato per un terzo dal Governo Tedesco, per un terzo dalla EADS SPACE Transportation e per il terzo rimanente dallo Stato di Brema. Inoltre EADS e lo stato di Brema hanno investito altri 8,2 milioni di euro a testa di cui 4,3 in contanti. Un altro contributo di 16 milioni arriva dalle compagnie che partecipano allo sviluppo e che hanno la loro sede nello stato di Brema, dalla OHB-System, dal DLR e dal Ministero federale per l’educazione e la ricerca.

EADS è stata responsabile della gestione del progetto, dello sviluppo dell’autopilota, del simulatore numerico di volo, dei driver per attuatori e sensori, dell’integrazione del sistema e dei test. OHB-System ha partecipato alla realizzazione del modello matematico di alcuni sensori per il simulatore. ZARM ha partecipato alla realizzazione del filtro di Kalman, il software di navigazione.

Phoenix è lungo 6,9 metri, può pesare fra i 1080 kg e 1200 kg (tre configurazioni sono possibili, il peso al decollo l’8 maggio 2004 era di 1080 kg) e ha un’apertura alare di 3,9 metri. Esso doveva essere una replica in scala 1:7 dello studio concettuale Hopper, un sistema di trasporto spaziale monostadio completamente riusabile. In realtà importanti modifiche aerodinamiche sono dovute essere apportate rispetto al modello di Hopper perché dopo le prime verifiche in galleria del vento la configurazione appariva altamente instabile. Phoenix è stato costruito per sperimentare l’ultima fase della missione di Hopper, cioè l’atterraggio. La missione di Phoenix è consistita nell’atterraggio autonomo (usando solo sensori di bordo) e automatico (senza telecomandi) su una pista d’atterraggio convenzionale partendo da un’altezza di circa 2500 m e velocità ridotta. Il trasporto di Phoenix alle condizioni iniziali di volo è da eseguirsi con un elicottero.

La progettazione e lo sviluppo di Phoenix ha coinvolto un gruppo variabile fra i dieci e i trentacinque ingegneri per un periodo di circa cinque anni. Il progetto Phoenix si è concluso nel maggio 2004 con tre voli perfettamente riusciti al North European Aerospace Test range, un aerodromo militare situato a Kiruna, a 1.240 km a nord di Stoccolma in Svezia. Il primo volo è stato effettuato nella mattina dell’8 maggio 2004. Uno dei segreti del successo di Phoenix è stata la dimensione ridotta del team che vi ha lavorato e le particolari condizioni logistiche (tutti i partner risiedevano a Brema), che hanno permesso una comunicazione e un management del progetto estremamente efficienti.

Sabato 8 maggio 2004 il prototipo è stato sganciato da un’altezza di 2,4 km da un elicottero Boeing Vertol ed ha effettuato un atterraggio di precisione senza incidenti. Il volo è durato circa 90 secondi. Test futuri previsti per i cosiddetti Phoenix 1b e Phoenix 2 dovrebbero essere svolti a quote e velocità iniziali più alte usando aerei militari o aerostati per il trasporto

Che bruuuuutto! :grinning: :grinning: esteticamente sono mooolto meglio l’aries e l’usv!!! ( del resto siamo italiani) Comunque, a parte gli scherzi (mica tanto), non mi sembrano tanto tanto più avanti visto che quel trabiccolo veniva lanciato da 2.5km e se tutto va bene il “nostro” da 25km… :grinning: :grinning:
E poi visto che EADS è la grande concorrente di Alenia non solo nello spazio ma anche nel settore aeronautico… meglio così… :grinning: :grinning:

Infatti credo che alla fine sia tutta una questione di finanziamenti.

A parte l’estetica è necessario investire in una logica bottom-up in tutti quei campi tecnologici necessari a realizzare un veivolo riutilizzabile (TSTO prima, SSTO dopo) testandoli in una serie di veivoli “X”.

Il Design&Configuration è solo una parte del system, importante, ma pur sempre una parte. Attraverso gli “X” si possono testare le tecnologie esistenti non ancora utilizzate per l’aerospazio, capire meglio attraverso ricerche mirate quello che gli americani chiamano “know unknow”, ed eventualmente scoprire gli “unknow unknow”: questi ultimi generalmente fanno spesso cambiare notevolemente il design configurativo di un veivolo implementando soluzioni non previste all’inizio di un progetto .

Da questo punto di vista non ha molto senso impostare tutta una famiglia di veivoli (e.g. l’Aries) senza aver approfondito molti aspetti del volo ipersonico estremamente demanding. Per fare dei reali passi in avanti è necessario innanzitutto finanziare gli “know unknow” per quello che riguarda:

  1. l’aerotermodinamica (campo nei punti di stagnazione, transizione turbolenta dello strato limite, interazioni viscose ed onde d’urto, etc.)
  2. sistemi di propulsione e fuels (problema della frazione di massa, margine inadeguato, airbreathing, cicli combinati, etc)
  3. Strutture e materiali (tanks, TPS, nuovi materiali compositi, etc.)

Le industrie aeronautiche non hanno molto interesse ad investire in questi topics aspettando eventuali inputs da altri campi industriali…
Riconfigurare (e in questo uno dei migliori designer italiani cioè l’Archipeppe è lodevole…) l’esistente puo’ al + ottimizzare (poco!) le attuali prestazioni dei lanciatori con un processo top-down che secondo me non porterà molto lontano.

Aspetto vostri commenti.

1) l'aerotermodinamica (campo nei punti di stagnazione, transizione turbolenta dello strato limite, interazioni viscose ed onde d'urto, etc.) 2) sistemi di propulsione e fuels (problema della frazione di massa, margine inadeguato, airbreathing, cicli combinati, etc) 3) Strutture e materiali (tanks, TPS, nuovi materiali compositi, etc.)

Buona parte di questi termini richiedono un glosssario :smiley:
Per fortuna proprio oggi ne è stata proposta la realizzazione!!!

Per il resto, ottimo intervento Buran.
Condivido molto le tue opinioni, anche se l’atteggiamento di “attesa” di altri settori industriali mi pare un atteggiamento poco produttivo.

Lo sviluppo delle missioni Apollo, ad esempio, non potendosi permettere di aspetare degli “input” a scadenza “random” da parte della ricerca di base o dalle aziende di altri settori, guidò esso stesso tutta una nazione/sistema, che lavorò “mission driven”.
Gli investimenti in r&d erano così concentrati tutti verso l’ottenimento di un unico scopo primario.
La ricerca di base è importantissima, non vorrei essere frainteso, ma spesso attendere dei “breakthrough” tecnologici spontanei è un atteggiamento “passivo” che lo sviluppo dell’astronautica non può permettersi troppo a lungo.

IMHO ovviamente. :smiley:

Le industrie aeronautiche non hanno molto interesse ad investire in questi topics aspettando eventuali inputs da altri campi industriali... Aspetto vostri commenti.

Sinceramente quì mi sorge spontanea “one question”, non riesco a capire il perchè le industrie aeronautiche debbano aspettare la spintarella da parte altri enti … Sarà una questione di finanziamenti, sarà anche questione di “piazzare il prodotto” ma l’ideazione di un prototipo “X” atto a testare i topics esposti da Buran, a mio avviso potrebbe porre le eventuali aziende “one step ahead” rispetto alla concorrenza in questo campo. Sono sicuro che questi investimenti poi, ritornerebbero abbondantemente nelle casse di chi ha saputo rischiare proponendo prototipi innovativi, funzionanti, affidabili e “ready to use”.

Guarda Spacewalker,
siamo in un momento storico dove, in generale, si vuole che gli investimenti in r&d diano ritorni nel medio/breve periodo.
Pertanto sono già gli stati (e l’Italia in primissima fila) che non credono più poi molto al finanziamento della ricerca di base fine a sè stessa, anche se poi è quella che tiene vivo il cervello di una nazione e la sua capacità di innovare e innovarsi.
Una visione a mio parere miope, e per quanto riguarda il desolante panorama italiano, credo che un ruolo determinante sia giocato anche dalla mancanza di una vera industria high tech (dopo l’Olivetti nisba…) che “richieda” prodotti innovativi e sulla cresta dell’onda per i propri prodotti finiti.
Se qualcosa di buono venisse prodotto, sarebbe destinato, così come i nostri migliori cervelli, a partire per l’estero. :frowning:

Speriamo intanto che si sappia mantenere in salute la nostra industria aerospaziale, che spero tanto resti marchiata dal tricolore e non svenduta a grandi imprese estere. :roll_eyes:

A proposito:
E’ vero che l’Alenia “non è più italiana?”

Sottoscrivo in pieno l’intervento di Marco.

Per quanto riguarda il pregevole progetto Phoenix vorrei aggiungere qualche dettaglio storico.

Il Phoenix nasce alla fine degli anni '90 da una costola del programma ESA-FESTIP (Future European Space Transportation Investigations Programme) avviato dall’ESA nei primi anni '90.

All’epoca erano state prese in considerazioni una serie di configurazioni tra le più svariate, sia SSTO sia TSTO. In particolare quella del Phoenix è la configurazione denominata FSSC 15 che fu studiata dal CIRA, sopratutto per quanto riguarda la parte Aerotermodinamica (dal gruppo dell’Ing. Salvatore Borrelli) e che faceva parte di un progetto di SSTO lanciato da una slitta (concetto storicamente molto caro ai tedeschi).

Alla fine degli anni '90 del FESTIP II non se ne fece più niente e l’EADS (Astrium) ed il CIRA presero strade separate. I tedeschi continuarono lo sviluppo dell FSSC 15 come Phoenix mentre il CIRA prese in esame un altra configurazione per l’USV.

L’anno scorso al CIRA ho avuto l’opportunità di parlare con un paio di componenti del team di ricerca del Phoenix, che tra l’altro mi hanno lasciato un CD con i filmati dei voli di prova (che devo avere da qualche parte in ufficio…) e ne ho ricavato un’ottima impressione.

A proposito: E' vero che l'Alenia "non è più italiana?"

Se per Alenia intendi la sola Alenia Spazio è vero.
Dal giugno del 2005 è entrato in vigore un accordo stipulato con l’Alcatel Space, con sede a Cannes, nel quale si è dato vita a due Joint Ventures, la prima denominata Alcatel Alenia Space ingloba Alenia Spazio più le unità produttive di Alcatel con una maggioranza francese (circa il 70%).
L’altra, a maggioranza Finmeccanica, ingloba Telespazio ed altre realtà Alcatel nei servizi ed è la compagine proprietaria del MARS.

Per quanto riguarda le “altre” Alenia, Aeronautica e Difesa, restano assolutamente sotto il controllo nazionale come parti integranti del Gruppo di Finmenccanica.

A proposito: E' vero che l'Alenia "non è più italiana?"

Attualmente abbiamo la seguente situazione:

Il 1° luglio 2005 Finmeccanica ed Alcatel hanno firmato un accordo per la costituzione di due società, rispettivamente dedicate alla produzione industriale ed ai servizi satellitari. Alcatel Alenia Space SAS, (con Finmeccanica al 33%) focalizzata sulla progettazione, sviluppo e produzione di satelliti, payload ed altri apparati e sistemi spaziali. Telespazio Holding Srl (con Finmeccanica al 67%) dedicata ai servizi per soluzioni satellitari (il MARS è sotto questo cappello).
Praticamente Alcatel Alenia Space, una società che appartiene per due terzi ai Francesi e per un terzo a Finmeccanica. Il contrario per Telespazio.

E’ di questi giorni però la novità che le joint ventures di cui sopra, potrebbero presto passare di mano. Al centro della vicenda la vendita della quota di Alcatel ai francesi di Thales, gigante francese della difesa con forte partecipazione del governo francese!.
Alcatel e Thales flirtano da tempo e Alcatel, coinvolta in una colossale fusione con la statunitense Lucent nel settore delle telecomunicazioni, vuole crescere in Thales, dall’attuale 9,5% al 25-30% del capitale, mettendo al tempo stesso alcune attività strategiche al sicuro dagli occhi statunitensi. Per ottenere questo risultato conferirà in Thales le attività spaziali di Alcatel Alenia Spazio e quelle di Telespazio.

Un solido accordo di governance permetterebbe a Finmeccanica di bloccare l’operazione. La società italiana si è mostrata però accomodante e ha detto di non avere una opposizione di principio, però vuole difendere i propri interessi in campo spaziale e al tempo stesso ottenere una quota del capitale di Thales. L’obiettivo reale è arrivare ad un accordo più ampio con il gigante elettronico francese. Idealmente Finmeccanica aspira a controllare pariteticamente con Alcatel il capitale di Thales, previo conferimento di una parte almeno del proprio business elettronico militare e una riduzione del peso dell’azionista statale francese: questa operazione porterebbe il conferimento a Thales delle intere quote italiane delle due joint ventures ed a Finmeccanica il 5% di Thales :scream:

La trattativa è essenzialmente economica/finanziaria, piuttosto complicata, ma Finmeccanica ha assicurato che non ci sarà alcuna ripercussione negativa per i progetti industriali in corso di sviluppo nei siti italiani (come Galileo, Lanciatore europeo, Cosmo, Sicral, Stazione Spaziale) che vengono confermati. In particolare, per Galileo, si rafforzerà la posizione italiana e il ritorno industriale nazionale e sarà confermato il piano industriale 2006-2008, già definito con Alcatel, con la definizione e l’allocazione dei centri di eccellenza.

Grande sconfitto dell’alleanza Alcatel-Thales viene considerato oggi EADS che non è riuscito a imporre il suo progetto di un matrimonio a tre nei satelliti, che aveva l’appoggio dell’Eliseo ma non godeva dei favori dei due gruppi interessati. Il gruppo europeo proponeva di apportare la sua filiale spazio Astrium in cambio di una partecipazione del 20% in Thales, gruppo che negli anni scorsi aveva cercato di scalare. Thales e Alcatel sono riusciti ad averla vinta grazie alla fusione con Lucent che trasforma il gruppo telecom in un colosso franco-americano. Secondo Alcatel l’operazione doveva essere accompagnata dalla cessione di attività come quella dei satelliti considerata strategica per l’Europa. La porta non è chiusa ad altre alleanze nello spazio che potrebbero portare alla creazione di un ‘Airbus dei satelliti’, come proposto da EADS, che però puntava a essere associato in questa fase e non in una successiva

Alla fine siamo un po’ francesi, italiani ed anche un pochino americani… :roll_eyes:

... faceva parte di un progetto di SSTO lanciato da una slitta (concetto storicamente molto caro ai tedeschi).

Indimenticato Sanger!!! :smiley:

Ebbene si!!! Per i tedeschi il Sanger non è mai veramente morto…

Io però ho sempre avuto delle forti perplessità circa un sistema di lancio basato su di una slitta supersonica. La minima imperfezione del binario di lancio (dovuta a vari fattori, piccoli terremoti, smottamenti del terreno, maltempo o altro) potrebbe avere un effetto catastrofico su di un veicolo accelerato ad oltre 1200 km/h.

Ritengo che la fase di passaggio nell’aria densa debba essere sempre la più breve possibile, sia spazialmente sia temporalmente. Un booster di accelerazione (come primo stadio di un sistema TSTO) resta, a mio avviso, la soluzione migliore.

Io però ho sempre avuto delle forti perplessità circa un sistema di lancio basato su di una slitta supersonica. La minima imperfezione del binario di lancio (dovuta a vari fattori, piccoli terremoti, smottamenti del terreno, maltempo o altro) potrebbe avere un effetto catastrofico su di un veicolo accelerato ad oltre 1200 km/h.

E se il vettore fosse sospeso su un binario tipo maglev?

Riduci senz’altro i problemi di attrito sul binario, ma non quelli di attrito aerodinamico, e rendi un pò più sicuro il sistema data la prevenzione al contatto tra la parte mobile (lanciatore) e quella fissa (binario).

Restano però tutti i problemi di sicurezza legati alla orografia del territorio su cui poggia il binario, considerando che deve essere molto lungo (sull’ordine di km) e non devono verificarsi disalinneamenti tra le varie sezioni di binario contigue (partendo dalla considerazione che NON si può realizzare in un pezzo unico).

Quella della slitta è un’idea affascinante, ma irrealizzabile, il problema nei lanciatori moderni è proprio quello di ridurre al minimo possibile le infrastrutture a terra (pensate ai PAD 39 A e B dello Shuttle!!) andando verso il minimo possibile (in assoluto sarebbe un aeroporto).

La slitta al posto di ridurre le infrastrutture a terra le estende a dismisura con tutti i problemi di sicurezza (e anche manutenzione) che comporta.

Archipeppe,
secondo te la soluzione “binario maglev” sarebbe ancora non conveniente anche se:
a) si spingesse il veicolo a velocità subsonica finchè è sul binario?
b) hai considerato (ma penso proprio di si, scusami se te lo chiedo) il risparmio di carburante, visto che il velivolo potrebbe essere spinto in avanti da variazioni del campo magnetico del binario stesso, e quindi senza usare energia generata nel veicolo spaziale?

Archipeppe, secondo te la soluzione "binario maglev" sarebbe ancora non conveniente anche se: a) si spingesse il veicolo a velocità subsonica finchè è sul binario? b) hai considerato (ma penso proprio di si, scusami se te lo chiedo) il risparmio di carburante, visto che il velivolo potrebbe essere spinto in avanti da variazioni del campo magnetico del binario stesso, e quindi senza usare energia generata nel veicolo spaziale?

Umh…

a) spingere il veicolo a velocità subsonica non servirebbe a molto, l’idea di base della slitta (sin dalla sua prima formulazione negli anni '30) è quella di portare il veicolo in supersonico e poi lanciarlo…
b) ci sarebbe un certo risparmio di carburante ma teniamo presente che una volta lasciata la slitta (supponendo una velocità di distacco di almeno Mach 1, che è poi il massimo realizzabile al livello del suolo) il veicolo spaziale dovrebbe percorrere una traiettoria piuttosto allungata nell’atmosfera densa prima che la curvatura della Terra gli consenta di allontanarsi, letteralmente, per la tangente.

Il che implica un funzionamento prolungato dei motori a razzo in atmosfera densa, proprio quando (per i problemi di espansione) sono meno efficienti, il che poi porta a maggiori consumi di carburante.
E’ un pò come il cane che si morde la coda…

... E' un pò come il cane che si morde la coda....

E io che credevo di aver scoperto la quadratura del cerchio! :smiley:

Ma allora, secondo te, quale vantaggio potrebbe avere nella pratica la realizzazione di un sistema di lancio a binario, quando questo non fosse nemmeno maglev? :roll_eyes:

Phoenix mi ricorda un pò certe prime configurazioni dello Space Shuttle del periodo 1969-70.Esteticamente non lo vedo “brutto” (per quel che vale l’estetica in queste cose),tuttavia non sembra esserci tracce,neanche embrionali, di cabine eiettabili per l’equipaggio,è questa se confermata, sarebbe una limitazione enorme.Il dato comunque è che il concetto di navetta non è morto.Gli Europei ci stanno lavorando,eccome.Se poi politicamente e economicamente questi veicoli vedranno la luce è un altro discorso.Io sono convinto di una cosa:non ha senso che USA,Russia,Europa,Cina,Giappone sviluppino lo stesso tipo di astronave.E’ necessario un accordo,una strategia globale in cui ognuno dovrebbe specializzarsi in qualcosa.La NASA e la JAXA (ex NASDA) in veicoli per la luna e lo spazio profondo,l’ESA nell’accesso riutilizzabile al LEO,la Russia in spacetugs per orbite alte (il TKS è un ottimo punto di partenza)ed in cargo per le stazioni,i Cinesi in capsule (ottimi come battelli di salvataggio e servizio per basi orbitali).Che ce ne facciamo di quattro spazioplani o di quattro capsule?

Che ce ne facciamo di quattro spazioplani o di quattro capsule?

Business per quattro gruppi di lobby, e per quattro direzioni politche diverse…
:(.
Ho già detto in altri post quanto sono favorevole ad iniziative internazionali del tipo cui facevi riferimento tu (avevi anche inviato lo stemma dell’agenzia spaziale mondiale :scream: se non sbaglio…).
Pare che certi settori non debbano essere “globalizzati”, mentre su altri le stesse 4 potenze sono pronte a imporre dazi agli stati meno potenti… :roll_eyes:

...supponendo una velocità di distacco di almeno Mach 1, che è poi il massimo realizzabile al livello del suolo...

Per comprendere il comportamento di un velivolo che proceda alla velocità sonica o supersonica, occorre considerare innanzi tutto, la natura e le peculiarità del suono come fenomeno fisico ed il fluido nel quale si propaga che è l’aria.
Le molecole che formano l’aria, si scontrano miliardi di volte ed è questa loro eccitazione determina il calore, quindi la temperatura del fluido.
Un’onda sonora, in definitiva, non rappresenta nient’altro che la rarefazione o la compressione di queste molecole, le quali, con una velocità di 340 metri il secondo, circa 1.225 Km/h ed una temperatura di 15° C, permettono la trasmissione delle vibrazioni sonore nell’atmosfera. Salendo di quota, dove la temperatura diminuisce drasticamente, diminuisce anche la velocità del moto browniano e di conseguenza la velocità delle onde sonore. Generalmente, i corpi in movimento nell’aria, provocano delle perturbazioni che si espandono, similmente alle onde sonore, quindi alla velocità sonica.

Consideriamo quattro casi (fig 1) in cui: (a) la sorgente di disturbo è ferma, (b) si muove con una velocità pari a 3/4 di quella del suono, (c) con una velocità pari a quella del suono, (d) con una velocità pari a 5/4 di quella del suono. Per ognuno dei casi sono rappresentate la posizione dei fronti d’onda emessi dalla sorgente a quattro istanti differenti, da ognuna delle posizioni da essa occupate.
Nel caso (c) sono evidenziati i punti 1, 2, 3, 4, i quali rappresentano la successione delle varie posizioni di un velivolo che procede in volo rettilineo. Nello stesso tempo, detti punti, sono anche i centri delle perturbazioni aerodinamiche prodotte dal velivolo stesso, il quale, aumentando velocità, comprime sempre più gli strati d’aria nella direzione dell’avanzamento, provocando così continue onde sferiche d’urto e determinando l’aumento della densità dell’aria, quindi, una resistenza passiva in aggiunta all’attrito. Negl’istanti che il velivolo percorre la distanza dal punto 1 a 4 a velocità supersonica, elimina, di fatto, l’intervallo, vale a dire la distanza delle onde addensate davanti alla sua prua. A questo punto, si materializza repentinamente la “barriera del suono”. Durante il passaggio, si verificano delle particolari condizioni aerodinamiche che stravolgono le normali operazioni di pilotaggio: interruzione dei flussi d’aria attorno alle superfici alari, degli alettoni e degli equilibratori di coda dando luogo ad uno stallo improvviso con perdita di portanza, quindi di stabilità.

Un velivolo che effettui un passaggio sonico/supersonico a quota relativamente bassa, può causare una detonazione di circa 260 decibel, provocando la rottura dei vetri delle finestre.
Si puo’ immaginare quindi la difficoltà per portare un veicolo a quota 0 alla velocità del suono a causa della generazione dell’onda d’urto davanti al veivolo. Nella fase di passaggio dal volo transonico al supersonico, si creano due coni di Mach: il primo, originato dalla parte anteriore della fusoliera, il secondo, dai piani di coda. Le superfici laterali di entrambi i coni di Mach, costituite da onde sonore inviluppate, si propagano nello spazio, dando luogo alla forte detonazione del “bang sonico”.
In realtà le detonazioni sono due, ma dato che avvengono in un quinto di secondo l’una dall’altro, a terra se n’avverte solamente una.
Il “bang sonico” prodotto durante una picchiata di 30°, può essere udito a circa 15 Km. di distanza, in un’estensione sul terreno a forma d’ellisse, con l’asse maggiore secondo la direzione del volo.

In piu’, al suolo il Mach effettivamente realizzabile è probabilmente non maggiore di 0.7/0.8 pari al Mach critico che è quello asintotico per cui si verifica, in qualche punto della struttura del veivolo, un Mach locale unitario e quindi un onda d’urto locale.

Ciao