Giochi e giocattoli spaziali

Apro questo thread nuovo “di zecca” perché ho constatato (con mia grande sorpresa) che non esiste su FA (a parte riferimenti in particolari thread) una “rubrica” dedicata ai giocattoli spaziali (incluso i giochi da tavolo), ovvero quel variegato e fantasmagorico mondo (specie per chi è stato bambino negli anni '70 del secolo scorso) nel quale le tecnologie astronautiche divenivano argomento…di gioco.

Piccola avvertenza: questo thread è dedicato solo ai giocattoli ispirati dall’astronautica “vera” e non tutto quello che sia solo “fantascientifico”.

Inizio io con lo Space Ship della Epoch Co. (una società giapponese fondata nel 1958 ed attiva anche nel settore dei videogiochi). si tratta di un gioco elettromeccanico nel quale bisogna far atterrare una modulo lunare (chiaramente ispirato al Grumman LM delle missioni Apollo), il gioco era manovrato da una sorta di telecomando via cavo e risale agli inizi degli anni 70.

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Si tratta di un gioco da tavolo chiaramente ispirato al Williams “coin op” (gioco a monete antesignano degli arcade elettronici degli anni 70/80) “Space Pilot” del 1968:

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Continuo con una carrellata di giocattoli ispirati (spesso in maniera molto diretta) alle prime capsule spaziali americane:

Iniziamo con la giapponese Masudaya “Space Capsule 5”, nel quale è facile riconoscere una capsula Mercury, si tratta di un giocattolo semovente (realizzato in varie versioni anche con colori diversi) alimentato a batteria del 1962.

Nel 1965 la Wilton di Hong Kong produce la Capsula Gemini (solo il modulo di rientro) con gli astronauti:

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Passiamo poi alla WS Toys sempre di Hong Kong con questa pregevole Capsula Gemini con tanto di astronauti che vengono spinti fuori dai portelli per effettuare un’EVA, anche in questo caso si tratta di un un giocattolo semovente (realizzato in varie versioni anche con colori diversi) mosso da un motore a frizione del 1966.

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Arriviamo poi all’Apollo, ed iniziamo con la giapponese ALPS la quale nel 1967 presenta questa “Spacecraft Apollo”, si tratta di un giocattolo semovente alimentato a batteria.

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Ancora la giapponese Nomura che presenta nel 1968 questo “Moon Traveller Apollo Z”, si tratta di un giocattolo semovente alimentato a batteria.

Ma abbiamo anche un ottimo, ed estremamente realistico, casco giocattolo prodotto dall’americana Ideal nel 1961 lo “Space Helmet”, il quale risulta essere una copia di quello indossato da Scott Crossfield nei primi voli dello X-15.

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Naturalmente alla fine degli anni 60 il programma Apollo la fa da padrone nel mondo dei giocattoli “spaziali”, emblematico è questo “Lunar Lander Captain” della giapponese Nomura la quale propone l’accoppiata Apollo CSM+LM, mosso a batterie, faceva ruotare l’Apollo CSM intorno allo LM:

Anche il modulo lunare gode di una sua propria popolarità, rappresentata da questo giocattolo della giapponese DSK-Daishin il quale rappresenta un modulo lunare mosso da un motore a batteria nel quale si apre addirittura il portello anteriore per far comparire il figurino di un astronauta in EVA:

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Un altro pezzo interessante, si tratta di uno “Space Ship Carousel”, ovvero una sorta di giostra in latta con movimento meccanico dove al posto delle tradizionali seggiole sono rappresentate tre capsule Mercury, ognuna con il nome del proprio astronauta sopra (Shepard, Glenn e Schirra), realizzato dalla giapponese Asahi nel 1967:

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Qui poi siamo all’apoteosi, questo splendido “Interplanetary Rocket” prodotto dalla giapponese Yonezawa sempre sul finire degli anni 60 riproduce, sia pure con molte licenze, il terzo stadio del Saturn V (S-IVB) con tanto di petali che si aprono lasciando libera di muoversi l’Apollo CSM e mostrando il LM al suo interno:

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Per chiudere la carrellata (al momento) i giocattoli spaziali ad un certo punto divennero sempre più sofisticati per un pubblico più esigente di futuri “rocket scientist” in erba, il vertice lo tocchiamo con questo “NASA control center” realizzato nel 1970 dalla Masudaya in cui viene rappresentato un piccolo centro di controllo, funzionante a batteria, con tanto di mini-Luna e piccole capsule che vi girano intorno…

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Naturalmente non potevano mancare, nel panorama dei giocattoli “spaziali”, una base di lancio con tanto di rampa e trailer motorizzato, ci pensa l’americana Ideal che nel 1959 immette sul mercato questo “Countdown” che consente di organizzare il proprio programma di esplorazione:

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Ecco quello che reputo un piccolo capolavoro, pur nella sua essenziale semplicità, si tratta del Moon Orbiter Globe commissionato, alla metà degli anni 60, dall’americana Mego alla giapponese Yonezawa. Si tratta di una globo lunare attorno al quale gira una capsula Apollo CSM, mentre il piedistallo rappresenta il globo terrestre (piatto, per la gioia dei “terrapiattisti”), il tutto era mosso da un meccanismo a motore alimentato da batterie.

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Nel panorama degli “Space Toys” si distingue la Project S.W.O.R.D. di Hong Kong, per la produzione di soggetti caratterizzati da un elevato grado di realismo, come il seguente “Cape Kennedy Set” con tanto crawler, rampa e Saturno V:

Oppure nella riproduzione dei primi spazioplani, come il Dyna Soar:

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Lo “Space Glider” ovvero il Northrop M2-F2:

Ed infine lo “Scout” il quale riproduce un soggetto insolito ovvero il FDL-5 con tanto di ala retrattile, il quale se non proprio segreto all’epoca era senz’altro tra i tipi meno conosciuti e pubblicizzati:

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Visto che l’argomento piace, io continuo (se e quando vi siete stancati ditemelo eh? Inoltre possono contribuire tutti), se le stelle stanno a guardare i russi…no.

Infatti anche l’allora URSS fu contagiata dalla febbre dei giocattoli spaziali e vuoi per divertire e vuoi per fare propaganda si buttarono nel mercato con una serie di prodotti più o meno scandenti e poco rappresentativi, tranne questo gioiello prodotto dalla Norma Tallinn nel 1971 e che riproduceva il Lunokhod 1, semovente ed alimentato a batteria.

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Pensate che questo giocattolo fa bella mostra di se addirittura presso il National Air and Space Museum (NASM) di Washington.

Successivamente, sempre in URSS appare questo rustico scatolone (il cui produttore è ignoto) che contiene sempre un Lunokhod (più giocattoloso) sempre semovente però controllato da un rudimentale telecomando a filo.

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Ovviamente anche i figurini hanno un loro mercato, aldilà del celebre Major Matt Mason della Mattel (negli USA autentico oggetto di culto) il quale pur essendo spaziale e pur avendo una miriade di accessori più o meno ispirati ad hardware reale non ha mai avuto una vera corrispondenza con il programma spaziale NASA.

Va segnalato questo Johnny Apollo prodotto dalla Marx nel 1968, il quale (a dispetto del nome) rappresenta più o meno correttamente un astronauta Gemini (con una tuta G-4C) e tra i vari accessori spiccano la classica “valigetta” per il condizionamento a terra nonché una primitiva unità MMU che doveva essere collaudata durante il volo Gemini 9A.

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Naturalmente prima di Johnny Apollo, la Hasbro mette sul mercato una versione del suo G.I. Joe (noto anche in Italia) con tanto di tuta e capsula Mercury. Si tratta di un prodotto pregevole e molto curato (soprattutto la tuta):

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Nel 1967 la Palitoy (che spesso operava su licenza di terzi) fa apparire la sua versione di G.I. Joe denominata “Action Man” anche lui con tanto di tuta pressurizzata (un mix tra la Navy Mk IV della Mercury ed una G-4 della Gemini) e capsula Mercury:

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Anche se ho vissuto quel periodo da bambino, e ho avuto alcuni giocattoli a tema Apollo (almeno un LM e un CSM di cui non ricordo molto), non pensavo che ne fossero stati prodotti così tanti. Mi chiedo anche perché molti fossero di origine giapponese: la produzione di giocattoli era concentrata lì in quegli anni?

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Caro Paolo quello che ho illustrato finora è solo la cosiddetta “punta dell’iceberg”, dal momento che in realtà i giocattoli a tema spaziale furono molti (ma molti) di più con un vastissimo range che andava dai figurini fino ai flipper.

Per quanto riguarda la produzione giapponese ritengo (ma è una mia idea) che sia legato a due motivi: la fortissima richiesta del mercato interno e l’aggressiva politica di esportazione, soprattutto verso il mercato americano.
Ne più ne meno come altri prodotti di consumo dell’epoca come cineprese, radio, stereo ecc.

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Continua, continua, grazie! :star_struck:
Una piacevole divagazione è cercare quanto sono valutati ora questi giocattoli per i collezionisti :open_mouth:

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Giusto per dare un esempio ecco un classico “pinball” della Wolverine Toy Co., si tratta dello “Splashdown” degli anni 60 chiaramente ispirato dai voli di Mercury e Gemini:

Bisogna tenere presente che la “febbre” legata ai giocattoli spaziali è iniziata con l’Era Spaziale stessa, ovvero alla fine degli anni 50 del secolo scorso. E’ proseguita per tutti gli anni 60 e 70 (grazie allo Shuttle al quale poi dedicherò qualche post) fino agli anni 80 con la sua scomparsa dovuta essenzialmente all’avvento dei giochi elettronici, console, home computer e arcades vari.

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Grazie Fabio, come puoi vedere nei vari siti di “auction” a volte questi giochi raggiungono cifre considerevoli.

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G. I. in versione White Eva lo avevo.
Anche un piccolo flipper con tutti i missili.
Mi ha impressionato la prima foto della Gemini che hai postato perché è straordinariamente simile al modello della Monogram che ho costruito anni fa e custodisco gelosamente.

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Propongo qualcosa anche io, ma di più recente

Creato da Joseph Fatula e pubblicato nel 2015 dalla Lumenaris (azienda di tappetini in feltro, meccanismi in legno e giochi da tavolo), Leaving Earth è un gioco da tavolo che permette di rivivere la Corsa allo Spazio.

Il piano di gioco è costituito da una serie di carte che formano una mappa del Δv semplificata. Ogni carta rappresenta un’orbita o un corpo celeste, e ha delle manovre per raggiungere altre carte al costo di un certo Δv e correndo vari rischi di malfunzionamento.

Le navicelle spaziali sono costituite da carte per rappresentare cari componenti: razzi, sonde di esplorazione, capsule, ecc. A seconda del Δv e della massa della navicella si possono scartare dei razzi per eseguire una manovra e spostarsi sulla mappa. La matematica è semplificata e non è una rappresentazione accurata dell’equazione del razzo di Ciolkovskij, ma sono comunque ben evidenti i vantaggi di concetti come la suddivisione in stadi e il rendezvous in orbita lunare.

Esistono poi meccanismi per simulare l’affidabilità dei componenti, le abilità degli astronauti e la distribuzione di fondi.

Ci sono anche due espansioni. Outer Planets aggiunge i pianeti esterni (nel gioco base ci sono solo quelli interni), il che rende le partite più lunghe ma anche più interessanti. Stations invece aggiunge profondità all’esplorazione del sistema solare interno e molte opportunità per il volo spaziale con equipaggio, al costo di rendere ridondanti gran parte dei componenti del gioco base.

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È possibile giocare anche in solitario, il che è molto utile data la lunghezza delle partite e la difficoltà del gioco (servono calcoli, pianificazione e pause di riflessione). Trovo che sia il gioco che meglio faccia sentire lo spirito di sogno e speranza della Corsa allo Spazio. La grafica inoltre è spettacolare. Nelle mie partite (sia base che con Outer Planets) ho avuto modo di compiere il Grand Tour dei pianeti esterni, stabilire basi lunari e far atterrare uomini su Venere. L’autore ha lasciato l’azienda e quindi difficilmente vedremo altri contenuti, come ad esempio l’aggiunta di asteroidi, ma già così è un gran gioco

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