Non esiste “una stanza dei bottoni” lontana e ostile alla “gggente”.
Le sonde che mandiamo nel sistema solare sono come sono perché sono il frutto di un preciso percorso che serve a selezionare missioni, obiettivi, e di conseguenza, requisiti per gli stumenti.
Probabilmente @Paky può essere molto più preciso di me, ma alla base c’è una una comunità scientifica, cioè un gruppo di persone espertissime del settore specifico, che conoscendo lo stato dell’arte della tecnologia e quali sono i “misteri” ancora da sondare propone una missione di un certo tipo, con relativi obiettivi, priorità e obiettivi di massima.
Se le agenzie spaziali selezionano tale progetto, allora i proponenti si riuniscono per cominciare a definire nel dettaglio i requisiti degli strumenti, per analizzare la missione nei vari particolari di dove andare e come arrivarci. Si guarda al bilancio disponibile e si fanno delle scelte, che per noi “babbani” possono sembrare incomprensibili viste da fuori.
Costruire, testare, validare, montare e lanciare un meccanismo di pulizia dei pannelli, per rimanere al nostro esempio, sono attività non indifferenti. Il fatto stesso di esistere significa avere un altro elemento su cui dividere il budget di denaro, di massa e di energia che altrimenti sarebbe disponibile per altri strumenti di bordo.
Ora, se i pannelli solari erano garantiti come funzionanti e capaci di erogare energia a sufficienza, anche sporchi, per la durata della missione primaria di Insight (ma mettici pure il nome di qualunque altra missione), allora non li metti punto e basta.
Se la missione sta durando 3/4 volte la missione primaria, la lamentela popolare per la mancanza di un “nice to have” non ha fondamento. Non è questione di stanze dei bottoni.