Posto qui, ed entro breve sarà disponibile anche in PDF nella Sezione Download, un “dietro le quinte” sul lancio di STS-1 narrato da James Oberg in occasione del 25° anniversario dello Shuttle. Oberg, all’epoca, lavorava al Johnson Space Center NASA e prese parte in prima persona al lancio inaugurale del Columbia.
STS-1.pdf (681,5 KB)
Tratto e tradotto liberamente da un articolo di James Oberg sul “Cosmic Log” di MSNBC: https://www.msnbc.msn.com/id/12243173/#060412b
Immagini © NASA
La prima missione dello Space Shuttle, il 12 Aprile 1981, quasi non finì pochi secondi dopo il lancio. Fortunatamente, l’inatteso problema accadde senza che nessuno se ne accorgesse, così né l’equipaggio né il Controllo Missione seppero mai quanto sarebbero stati terrorizzati dall’evento.
Per quel che ricordo, neppure la mia squadra si accorse di nulla. La mia postazione di lavoro era nella “Staff Support Room”, collegata alla console della Propulsione nella sala principale del Centro Controllo Missione, ed il nostro compito era di monitorare i motori ed i serbatoi associati al Sistema di Controllo a Reazione (l’RCS, 42 piccoli razzi presenti sulla prua e sulla coda dello Shuttle Columbia) ed al Sistema Orbitale di Manovra (l’OMS, cioè i due motori più piccoli posti vicino agli ugelli principali). Il nominativo di chiamata (Call Sign) della postazione principale era “Prop”, quello del mio collega più esperto era “OREO” (abbreviazione di OMS/RCS Engineering Officer), mentre io rispondevo al nome di “Consumables”, tenevo d’occhio gli indicatori dei propellenti.
Tutti ci rendevamo conto che, prima di allora, nessuno aveva mai fatto volare un’astronave del genere. Non solo non era stata collaudata, ma neppure era stata costruita perché la si potesse collaudare in un volo senza equipaggio. Erano state ideate numerose procedure di emergenza, e l’equipaggio aveva a disposizione i sedili eiettabili e le tute pressurizzate originariamente previsti sull’aereo spia SR-71 Blackbird. Ma l’intero team era galvanizzato dal giusto mix di controllato timore e brillante ingenuità, nonché dall’impressione che, alla fine, tutto sarebbe andato per il meglio.
A differenza di milioni di altre persone, noi non avevamo a disposizione un collegamento televisivo per seguire il lancio, era stato proibito perché giudicato una distrazione. Invece fissavamo schermi pieni di tabelle con numeri e grafici, e pannelli con luci di allerta, rosse, gialle e verdi, che indicavano singoli eventi e livelli di attenzione. Ci eravamo addestrati per due anni a riconoscere qualunque problema che avrebbe potuto richiedere un rapido cambio di programma per gli Astronauti a bordo della navetta. Parte dell’addestramento era proprio indirizzato all’eliminazione di ogni fattore esterno che avrebbe potuto distrarci da ciò che avevamo veramente bisogno di sapere.
Quello che non vedemmo, e che fortunatamente nemmeno l’equipaggio vide, fu ciò che accadde esattamente quando i tre motori principali dello Shuttle presero vita e, subito dopo, i suoi due massicci razzi a combustibile solido (gli SRB) si accesero per far staccare da terra il complesso spaziale. Nessuno aveva mai potuto collaudare questi motori tutti insieme, accendendoli contemporaneamente in un lancio simulato o in qualche altra struttura a terra. E nessuno considerò seriamente la gravità di quello che poi avvenne.
L’accensione degli SRB lanciò un torrente di fuoco verso il basso, dentro alle cavità presenti sotto la piattaforma di lancio, dove superfici parafiamma incanalavano il flusso rovente verso l’esterno, a lato della rampa. Se alcuni volatili ed altri animali più sfortunati si trovavano in quella zona, venivano carbonizzati all’istante, servendo da lauto pasto per altri predatori nei giorni a venire. Ma le fiamme non vennero tutte deviate in sicurezza. (continua)