I pannelli di controllo dei veicoli spaziali

un pò di humor non guasta in questa situazione per Boeing molto critica

sicuramente a questi astronauti poteva andargli peggio come cambio di veicolo, è come quando hai prenotato l’economy e ti passano alla business…

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La differenza dei due “cockpit” è sostanziale:

  • da un lato la Boeing, la quale forte della sua esperienza aeronautica, propone un display di controllo “tradizionale”, per intendersi simile a quello di un Boeing 737 oppure 777 pieno di interruttori manuali e schermi multifunzioni CRT.
  • dall’altro la SpaceX che invece punta ad sistema di derivazione squisitamente informatica, per intendersi stile I-Pad, dove gli interruttori manuali sono ridotti al minimo indispensabile (quasi a zero) e tutto viene controllato attraverso schermi touch screen dove l’interfaccia grafica HCI (Human Computer Interface) che rappresenta il mezzo di attivazione dei comandi e dei vari settaggi.

C’è da dire che comunque il “cruscotto” della Starliner è abbastanza anacronistico anche per gli standard aeronautici persino quelli in casa Boeing. Basta osservare il cockpit di un 787 oppure quello di un Lockheed-Martin F-35.

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Giusto per termine di paragone, ecco il cockpit della Orion che rappresenta una via di mezzo tra quello di Starliner e quello di Dragon 2, (relativamente) pochi interruttori e molti schermi CRT (sempre di derivazione aeronautica) comandati da pulsanti posti ai lati (così come quelli di Starliner):

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aspetta @archipeppe, non saranno mica CRT gli schermi di starliner o si? Mi pareva di ricordare che i crt sulle soyuz non si usino più da una decina d’anni, cioè mi farebbe strano ecco ,ma tutto è possibile ne sai molto più di me. Aggiungerei, per @gp1nick che in realtà mi piace di più il cockpit “classico” più stile space shuttle per intenderci, dello Starliner rispetto al display multifunzione della Dragon. ma è una semplice questione di gusti personali questa.

Hai ragione e torto allo stesso tempo, ovvero per CRT oggigiorno non si intendono (ovviamente) i vecchi schermi a tubo catodico (CRT = Cathode Ray Tube) quanto i loro derivati LCD (Liquid Crystal Display) i quali però hanno esattamente la stessa funzione, nessuna interazione diretta (tipo touch screen) quanto utilizzo di una serie di pulsanti multifunzione laterali.

Infatti basta osservare il cockpit dell’attuale Soyuz MS per vedere quanto è concettualmente simile a quello di Starliner:

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Ho la sensazione che con questa storia dei display stiamo andando OT, magari si può aprire un thread apposito dedicato ai vari pannelli di controllo dei veicoli spaziali?

In ogni caso per coloro che fossero interessati ad approfondire l’argomento, segnalo l’interessante articolo di Yurii Tiapchenko, al seguente link, con un’esauriente spiegazione circa il funzionamento dei pannelli di controllo delle varie Soyuz fino al Neptune-ME attualmente impiegato a bordo della Soyuz MS.

http://web.mit.edu/slava/space/essays/essay-tiapchenko4.htm

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credo che la soluzione touch per sistemi che devono essere comandati in assenza di peso debba ancora dimostrarsi migliore. Risparmi molto peso tra interruttori e cavi, riduci i rischi elettrici e sicuamente hai altri vantaggi in termini di configurabilità in base agli scenari ma in emergenza ce li vedo a fluttuare verso la luna fuori assetto a dover tocchicciare lo schermo. di suo introduce delle criticità. Almeno una griglia di appoggio sopra l’avrei messa

Dragon 2 ne ha due sotto i gli schermi e tra di esse i tasti convenzionali per le emergenze (foto, foto)

Giusto per completezza abbiamo anche il pannello di controllo Shenzhou, come si può osservare è concettualmente simile (ma non uguale) al Neptune-ME russo ed a quello di Boeing Starliner:

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Premetto che di ergonomia dei sistemi spaziali non so assolutamente nulla, ma mi vengono alcune riflessioni:

  • non conosciamo i requirements di base dei veicoli. Decidere di andare in una direzione piuttosto che un altra (digitale vs analogico), per quanto concerne i controlli, poteva non essere esplicitamente indicato. Tenderei ad escludere che ci sia un modo “sbagliato” (analogico) e uno “giusto” (full digital), naturalmente a patto che i sistemi siano equivalenti dal punto di vista di efficienza e funzionalita’.

  • la diversita’ dei cockpit potrebbe riflettere una piu’ profonda differenza di approccio filosofico al volo spaziale abitato. In casa SpaceX mi pare chiaro (il volo di Inspiration4 e i rumors che circolano tra gli astronauti lo confermano) che l’astronauta sia sostanzialmente un backup per il computer e che di fatto, volendo, puo’ non avere alcun ruolo attivo, probabilmente anche nella maggior parte dei casi di emergenza. Di qui la scelta di fornire un pannello di controllo apparentemente piu’ “passivo” e anche piu’ leggero a livello di HW, centrato sulla presentazione dei dati e delle informazioni piuttosto che sul pilotaggio del veicolo.
    La filosofia su Starliner potrebbe riflettere quindi un ruolo molto diverso dell’astronauta rispetto a quello che ha sulla Dragon, magari anche solo nella gestione diretta di certe fasi emergenziali.

  • la scelta di avere pulsanti e leve analogiche e protette da anelli metallici potrebbe derivare dalla necessita’ di assicurare agli astronauti che un dito, posizionato su un certo interruttore, resti su tale interruttore anche in caso di forti vibrazioni/disorientamento. Sono certo che in casa SpaceX abbiano fatto simulazioni e che il veicolo resti controllabile in manuale anche se le dita dell’astronauta, che sono anche guantate, tremassero in modo violento. Ma un pulsante analogico potrebbe dare maggiori sicurezze e feedback in quei frangenti, forse.

In generale, mentre e’ bello vedere che tutto avanza e progredisce, ritengo importante che il giudizio in merito a questi sistemi avvenga valutando alla loro capacita’ di fornire efficacemente la funzione per cui sono stati progettati soprattutto nelle fasi meno “comode” e nominali di una missione, e non gia’ per il loro “look” piu’ o meno futuristico.

Di sicuro non me la sento di farne, come Berger, un fattore “denigratorio” dell’old space vs new space. E’ questo il problema che ho con Berger: e’ bravo, racconta bene, ma vede tutto attraverso la lente deformante del tifoso che trova SpaceX (e il new space) sempre e comunque dalla parte della ragione.

- edit - reso l’italiano meno illeggibile.

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Giustissimo, infatti al contrario di Berger a me piaceva l’idea di confrontare diverse filosofie, senza entrare nel merito del binomio meglio/peggio.

Ogni veicolo spaziale ha il pannello di controllo che è più confacente. Questo, ovviamente, non esclude miglioramenti come nel caso della Soyuz oppure dello Space Shuttle.

In generale l’idea di un pannello di derivazione aeronautica non è affatto sbagliata perché si può attingere ad patrimonio di esperienze passate. In ogni caso anche gli aerei subiscono una (lenta) evoluzione in tal senso, come dimostra il caso dello F-35 un po’ il Dragon dei cieli (se mi passate il paragone improprio).

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Compro il secondo punto. Senza però entrare nel meglio/peggio, una soluzione (quasi) full software consente una evoluzione decisamente più veloce, in pieno spirito SpaceX. Quando hai un’interfaccia fisica a volte sei costretto ad adattare funzioni e procedure a quello che hai, i cambiamenti costano molto di più. E via con le sequenze sui tasti alternate, che se consideri le situazioni di emergenza non sono il massimo (o al contrario).
Sul feedback dei tasti fisici poi ci sarebbe da espandere, è possibile averlo anche sui pannelli. Le guardie metalliche garantiscono sicuramente un uso più agevole in condizioni critiche, ma gestendo gli scenari anche una interfaccia touch può essere riconfigurata in modo da fornire aree più ampie se serve.
Sugli aerei al contrario il portarsi dietro interfacce dalla generazione precedente è utile per ridurre i requisiti formativi per i passaggi macchina (family commonality).

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C’è da dire che Space X non ha un background areonautico o spaziale. Doveva progettare da zero senza riutilizzare nulla. Se in azienda hai un forte background derivato da decenni di esperienza in una certa tecnologia dal punto di vista di un nuovo progetto adattare quello che già sai fare è più conveniente e sicuramente più veloce che progettare da zero.
Lo Spazio è un ambiente molto conservativo perché
“Failure is not an option” .
Anche prendere sistemi ben rodati che hanno volato con successo in missioni precedenti ed adattarli un po’ alla missione o alla tecnologia un po’ più attuale a volte è un impresa non senza difficoltà.
Partire da zero è ancora più arduo. Se non sei costretto a farlo dai requisiti non vedo perché le aziende dovrebbero prendere un rischio più grande sui progetti di punta l’ingegneria non è architettura, si parte dai requisiti e si fornisce un sistema che li soddisfa.

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Comunque, quello dell’usabilità dei sistemi di controllo è una di quelle domande che sarebbe bello e utile chiede a certi astronauti in conferenza stampa. Mi riferisco soprattutto agli ex piloti collaudatori… Chi meglio di loro?

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Qui c’e’ una questione di fondo.

Per consentire lo sviluppo incrementale i veicoli devono essere a guida autonoma, per poter essere testati e sfasciati senza che si faccia male nessuno.

Uno dei peccati originali dello Shuttle era questo, non poteva essere schiantato perche’ richiedeva piloti a bordo, e quindi non potevano iterarne il design facendo test e prototipazione rapidi.

Estremizzando, l’equpaggio dovrebbe essere visto come carico non spendibile, da mettere a bordo solo quando il veicolo e’ perfettamente a punto.

Il tema e’ presente fin dagli albori dell’astronautica, come noto e immortalato anche nella cinematografia, prima che la guida autonoma diventasse un tema importante in altri settori.

Prima era la traiettoria balistica, ora e’ l’automazione, ma all’astronauta non e’ permesso pilotare come su altri mezzi da piu’ tempo. E il cockpit non puo’ che riflettere la cosa.

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Non è del tutto vero.

Eh no, lo Shuttle non è stato mai pensato per essere “schiantato” nemmeno in maniera automatica. Costava semplicemente troppo, costava talmente tanto che persino la versione in scala ridotta monoposto fu annullata.

Dipende da quale nazione viene sviluppato il veicolo spaziale. I russi hanno sempre visto le capsule spaziali (tutte) come payload di un vettore, con tanto di fairing ed i cosmonauti sempre poco più di semplici passeggeri.

D’altra parte gli americani erano campati (sin dai tempi di Chuck Yeager) con l’idea del “Fantino Spaziale” pertanto il pilota era re, sovrano e padrone e doveva mettere le mani dappertutto come in un aereo da caccia. Con il paradosso, al limite dell’assurdo, degli astronauti Mercury che (in teoria) potevano modificare la traiettoria dell’intero Altas-D. Le Gemini e le Apollo erano automatiche il minimo possibile, cioè al livello di sottosistemi.

La prova provata sta nel fatto che tutti i veicoli spaziali, fino alla Dragon 2, non hanno mai potuto disporre di un sistema di aggancio (docking) automatico, cosa che i russi con il Kurs avevano già dagli anni 70 del XX secolo.

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Ricordo che lo shuttle si sarebbe potuto controllare da remoto, con un particolare set-up in cabina, ma il punto credo che fosse anche il costo legato alla realizzazione di un modello 1:1 totalmente funzionante solo per dei crash test.

Ma evitando di andare OT, e rimanendo sulla questione controlli, credo anche che uno dei fattori importanti sia legato all’idea di volo spaziale abitato.
Credo che ci sia sempre stata la volontà degli astronauti (o di alcuni di loro almeno) di essere in controllo del veicolo e pilotarlo, evitando di essere solo passeggeri. Di certo era un fattore importantissimo negli anni 60/70, soprattutto in casa americana, e soprattutto perché era visto come estensione del volo sperimentale.

Chiaramente, per dar modo ad un essere umano di controllare attivamente il veicolo anche nei casi peggiori, si dovettero giustamente sviluppare adeguati sistemi di supporto con relative scelte ergonomiche. Concordo con @Ritberger che serve una “buona ragione” (economica e tecnologica) per società con una lunga storia in campo aeronautico per lasciare il campo delle cose “conosciute”, soprattutto se si sa che funzionano bene e assolvono al compito.

Poi ci sono “outliers” come SpaceX che non solo non hanno “storia” ma fanno del “provare un sacco di cose” una filosofia aziendale, più facile per chi come loro non risponde ad azionisti.

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Più come eventualità teorica che reale.
In tutta la documentazione della NASA dedicata al pilotaggio dello Shuttle è sempre stata posta grande enfasi sul fatto che non poteva volare in automatico (non lo voleva la NASA ma neanche l’USAF altro grande sponsor del programma) tanto da negare sempre l’evidenza. Teniamo presente il rocambolesco (è dire poco) atterraggio compiuto da Haise e Fullerton con l’Enterprise durante la missione ALT#5 con cui è stato certificato lo Shuttle (guardate a partire dal minuto 06:00):

La cosa è stata negata fino al volo del Buran il quale ha dimostrato, in maniera incontrovertibile, che uno spazioplano grande come lo Shuttle poteva volare e soprattutto atterrare in maniera del tutto autonoma:

La NASA non è mai tornata sui suoi passi mentre l’USAF si ed il risultato è stato proprio lo X-37B.

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Non e’ solo per i test incrementali.

Il primo volo orbitale dello Shuttle avrebbe potuto essere non abitato, potevano evitare di mettere a rischio Young e Crippen facendoli volare su un veicolo cosi’ complesso e pieno di tecnologie mai testate, in primis il rientro. Gli e’ andata bene, ha funzionato tutto, e tanto di cappello per il lavoro eccezionale e un po’ di fortuna.

Ma qualche dubbio sulle motivazioni di quelle scelte tecniche c’e’.

Se poi estendessimo il topic ai controlli degli aerei da guerra oltre che i veicoli spaziali, c’e’ un noto video, peraltro riguardante la futura Starfleet USA, in cui una platea di piloti USAF vengono gettati nello sconforto dalla ovvia constatazione che l’era degli aerei da caccia e’ alla fine, ora ci sono i droni.