La fantascienza ci arriva sempre prima, ecco un’immagine tratta dal 3° episodio della prima stagione di Spazio 1999 “Sole nero”, del 1975 (e molto ma molto prima di Interstellar):

La fantascienza ci arriva sempre prima, ecco un’immagine tratta dal 3° episodio della prima stagione di Spazio 1999 “Sole nero”, del 1975 (e molto ma molto prima di Interstellar):

Una bella animazione
Da xkcd un confronto fra le dimensioni del buco nero e il Sistema Solare:
Randall è sempre bravo!
Ho scritto un articoletto che spiega due cose sulla tecnica usata. Spero non sia troppo OT…
Il successo odierno della cooperazione EHT (Event Horizon Telescope) è stato possibile grazie alla tecnica VLBI (Very Long Base Interferometry, interferometria a base molto lunga).
La risoluzione di un telescopio, ovvero la capacità di separare due sorgenti vicine tra loro, dipende dall’apertura (diametro dello specchio o della lente frontale, o dell’antenna) divisa per la lunghezza d’onda della luce (o onda radio, che è la stessa cosa). Ad esempio, la risoluzione di un comune telescopio amatoriale da 25 cm di apertura raggiunge il mezzo secondo d’arco; la lunghezza d’onda della luce è circa 0,5 micrometri, quindi l’apertura è 500.000 volte la lunghezza d’onda. La dimensione delle più grandi antenne dei radiotelescopi è poca cosa, rispetto alla lunghezza d’onda, se paragonata ai telescopi ottici. Per esempio le antenne di ALMA (12 m di diametro) alla lunghezza d’onda usata per EHT (230 GHz, pari a 1,3 mm) risolvono circa 2’ d’arco, 120 volte peggio del telescopio amatoriale.
Però i segnali dei radiotelescopi possono essere sommati in modi ingegnosi. In particolare, se li si somma mantenendo la fase corretta si può aumentare la risoluzione, simulando (sintetizzando) il comportamento di un’antenna con diametro pari alla distanza (“base”) tra le antenne. E’ il principio dei radiotelescopi che operano in schiera interferometrica (array), come il mitico VLA di Socorro, in New Mexico.
Tutto relativamente facile, se i radiotelescopi sono vicini tra loro, e quindi possono utilizzare segnali di "orologio" comuni, che servono a mantenere la fase tra i segnali ricevuti dalle varie antenne. Tutti i segnali vengono poi inviati ad un dispositivo detto correlatore, il quale compensa la differenza di fase tra le varie antenne e ricostruisce il segnale desiderato. La cosa si complica se i radiotelescopi sono distanti e non fisicamente connessi. A questo punto occorre che ogni radiotelescopio registri i propri segnali, e aggiunga un segnale di tempo che poi permette al correlatore di ricostruire il segnale originale quando riceverà le registrazioni dei vari radiotelescopi. Questo si fa da anni, le tecniche sono ben rodate, e con stazioni della rete VLBI in ogni continente gli astronomi dispongono di un radiotelescopio "sintetico" con apertura praticamente pari al diametro della Terra. Abbiamo aggiunto la L alla linea di base, che ora è di migliaia di km; e aumentato di decine di migliaia di volte la risoluzione di una singola antenna.
Estendere tutto questo alle onde millimetriche, necessarie per ottenere la risoluzione richiesta per risolvere i detagli del disco di accrescimento di M87, ha richiesto molti anni di lavoro e competenze nuove.
Tanto per cominciare, bisogna conoscere la posizione di ogni antenna (anzi, del fuoco di ogni parabola) con precisione di decimi di millimetro. Si tenga presente che le parabole si spostano, si deformano, sentono il vento, eccetera. Quindi è necessario un lungo lavoro di studio e modellazione per sapere con certezza il comportamento delle antenne. Anche i continenti si spostano a questa scala, e poi la fase varia continuamente perchè la Terra gira e rivolve attorno al Sole. Tutto dev’essere considerato con un livello estremo di precisione.
Poi l’errore di tempo tra inizio e fine delle varie registrazioni dev’essere piccolissimo, inferiore a qualche picosecondo (un millimiliardesimo di secondo). Questo è necessario per mantenere la costanza di fase, e richiede orologi atomici dei tipi più avanzati, oltre a un continuo e meticoloso coordinamento dei medesimi.
L’ultimo problema è che salendo di frequenza occorre ascoltare bande radio più ampie, di interi GHz, metre alle frequenze più basse si parla di MHz. EHT ha usato più bande larghe 2 GHz attorno alla frequenza nominale di 230 GHz. I segnali vengono digitalizzati, e si crea un vero diluvio di bit: almeno 32 GB per secondo per ogni radiotelescopio. Moltiplicando tutto questo per le centinaia di ore di calibrazione e di osservazione si ottiene un volume di dati spaventoso, dell’ordine delle migliaia di TB (alcuni PB, petabyte). Nessuna rete di telecomunicazioni può spostare efficacemente questi volumi di dati da siti remoti come le Ande o l’Antartide, per cui gli hard disk sono stati spediti fisicamente, in aereo o via terra. Si considerino poi i problemi di duplicazione e backup dei dati.
L’elaborazione dei dati ha costituito un’altra sfida, ed è stata fatta separatamente da due calcolatori (correlatori multiprocessore) appositamente costruiti, in Europa e in USA, al Max-Planck-Institut für Radioastronomie e all’Haystack Observatory del MIT, per escludere artefatti di elaborazione. Questi sono possibili per tante ragioni: la tecnica interferometrica non è priva di problemi e tranelli, e a queste lunghezze d’onda la materia è nuova.
L’ultimo elemento indispensabile è un buon periodo di clima buono. Le onde millimetriche sono assorbite dal vapore acqueo in atmosfera, e quindi gli osservatori sono posti in alta quota e in zone secche; ma si richiede anche tempo sereno, perchè le nubi sono “calde” a 230 GHz e impediscono le osservazioni.
Considerando questi (e molti altri) problemi, il risultato odierno, di una risoluzione angolare dell’ordine di 10 microsecondi d’arco, risulta davvero stupefacente. Onore al merito dei circa 250 firmatari del documento finale, tra cui Elisabetta Liuzzo e Kazi L. J. Rygl65 dell’Istituto di Radioastronomia dell’INAF. Speriamo l’anno prossimo di avere una qualità di immagine ben migliore del nostro Sgr A* (il buco nero al centro della nostra galassia), ben più vicino di M87!
Per approfondire:
Coincidenze? Noi crediamo di no…
Suvvia!
Tornando al video di Mike: non ho capito perché il materiale si dispone ad U e non a disco intorno al buco nero.
https://twitter.com/Alex_Parker/status/1116070667068170240?s=09
Altra comparativa delle dimensioni della foto che stiamo contemplando
Da quello che ho capito la distribuzione a U è conseguenza di una o più stelle che sta prospettivamente dietro al buco nero.
In questa pagina Nasa, M87 dalla prospettiva di Chandra Xray
https://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/news/black-hole-image-makes-history
Credits immagine: NASA/CXC/Villanova University/J. Neilsen
Mark, il materiale si dispone in un disco detto, appunto, disco di accrescimento. E’ il campo gravitazionale del buco nero che deforma lo spazio, per cui da qualunque lato lo guardi vedi i raggi provenienti dalla parte opposta al buco nero, curvati dal campo gravitazionale.
Non puoi non tenere conto degli effetti relativistici. Oltre alla curvatura estrema dello spazio, c’è un pesantissimo spostamento verso il rosso, per cui l’emissione termica del materiale in caduta (a milioni di gradi, raggi X e gamma) ci arriva nel dominio delle microonde, spostata di frequenza di migliaia di volte. E’ per quello che l’immagine è fatta in microonde, ma i colori corrispondono a temperature di brillanza di milioni di gradi.
quindi la luce visibile effettivamente emessa dalla sfera di fotoni sarebbe bianca-blu?
Semplicemente impossibile comprendere la scala di quel buco nero… Voyager ci ha messo oltre 40 anni ed è la sonda più veloce mai costruita, coprendo una distanza che per noi è quasi difficile comprendere oltre il mero numero. Eppure in confronto al diametro di quel buco nero ne avrebbe ancora di strada da fare. Mostruoso. Stupenda condivisione @amoroso
Il software in Python usato per elaborare l’immagine del buco nero:
No, sarebbero raggi X e gamma
Non mi tornano alcune cose, ma se l’orizzonte degli eventi di questo buco nero ha un raggio di circa una ventina di raggi solari, allora questa famosa immagine cosa rappresenta? Lo stesso disco di accrescimento dovrebbe avere dimensioni non maggiori di qualche centinaio di volte il raggio dell’orizzonte degli eventi ma questa immagine mostra un alone luminoso intorno un disco scuro che però è milioni di volte più grande dello stesso disco di accrescimento…
Insomma questa immagine che rappresenta esattamente?
E poi, trattandosi in realtà di dati ricavati da radiotelescopi, i colori dell’immagine con che criterio sono stati scelti?
Una buona spiegazione di cosa appare in una simile immagine è in questo video:
Per quanto riguarda il significato dei colori è possibile che sia spiegato negli articoli su questa ricerca pubblicati nei giornali accademici.
Il perché dei raggi a “U” del video.
IK1ODO ha dato un ottima spiegazione, ma dai commenti sembra non sia stata perfettamente colta da tutti.
Il video mostra SOLO i percorsi dei fotoni che vanno in direzione della Terra (cioè quelli che sono visibili ai nostri radiotelescopi).
In realtà di “U” ce ne sono infinite, una per ogni direzione da cui lo si guardi. Per questo motivo praticamente * da ogni parte si guardi il buco nero, si vede come nella foto.
(*) Se guardassimo il buco nero da uno dei poli la faccenda della “U” sarebbe ancora valida ma, in aggiunta, verremmo investiti anche da uno dei potentissimi getti polari. Immagino sarebbe redshiftato anch’esso, e lo vedremmo al centro dell’immagine ma non so se ci permetterebbe di vedere qualcos’altro oltre a lui.
Consultando Wikipedia ho visto che ci si può riferire al buco nero al centro della galassia Messier 87 con M87* oppure con il nickname Pōwehi (in hawaiano: abbellita sorgente oscura di creazione senza fine).
Almeno in attesa di un nome ufficiale.
mi chiedo in quali contesti venga usato questo termine