L'ultima intervista di Alan Shepard

Il 21 luglio del 1998, a 74 anni, moriva Alan Shepard. In ricordo del grande pilota ed astronauta, suggerisco la visione di quella che è probabilmente la sua ultima intervista, registrata nel febbraio di quello stesso anno.

Shepard appare piuttosto provato nel fisico, ma non certamente nello spirito. Il racconto attraversa tutta la sua carriera di Astronauta, senza trascurare alcuni dei più famosi aneddoti, dall’attesa della partenza di MR-3 al gioco a golf sulla luna, fino a toccare il progetto Shuttle e la Nasa dei tempi, sulla quale Alan esprime un giudizio piuttosto lusinghiero.

La trascrizione dell’audio e il download del video sono disponibili qui: https://www.rmastri.it/spacestuff/people/alan-shepard/alan-shepard-oral-history-interview-1998.
A tempo perso sto traducendo questa testimonianza in italiano. Se qualcuno gradisce, posso postarla.

SICURAMENTE ci interessa! :ok_hand:

Sì sì postala! E grazie!

Ricordo di aver letto una sua intervista per NASA oral history,rilasciata ai tempi del volo di John Glenn sullo Shuttle.
Quando l’intervistatore chiese a Shepard se gli sarebbe piaciuto volare sulla navetta come Glenn,Alan disse che la cosa avrebbe potuto interessarlo solo se fosse stato il Comandante ed avesse potuto pilotare lo Shuttle.
Di andare su come passeggero invece,neanche a parlarne!!
Il che mi riporta ad un altro aneddoto:
Negli anni 80,prima della tragedia del Challenger,si ventilò la possibilità di far volare sullo Shuttle Pete Conrad come “specialista del carico utile” per la McDonnell.
Alla fine fu lo stesso Conrad a dire che non era assolutamente il caso;non poteva pensare al Comandante di quel volo, Hartsfield,“con Pete Conrad sul ponte inferiore”…come si sarebbe sentito?

"I can't see old Hank Hartsfield wanting me down on the mid-deck"

Ogni appassionato di Astronautica farebbe carte false per volare,anche come “sottosguattero di missione”…la stessa cosa invece non vale per molti veterani.

Bene. Appena e pronta (magari a puntate) la posto. Avverto che il mio inglese è appena scolastico, quindi non sarà una traduzione di gran livello, ma meglio di google translator riesco a fare. :smile:

Quello che ho postato è proprio il video di quella intervista per oral history.

L’ultima intervista di Alan Shepard in traduzione italiana - parte 1

Questa parte copre i primi 43 minuti del dialogo (ossia circa la metà della registrazione), durante i quali si parla dei tempi di Mercury, del periodo in cui la sindrome di Ménière escluse Shepard dai voli, fino ad Apollo 13. Ho aggiunto dei titoli per rendere più facile ritrovare i vari momenti.
Chiedo benevolenza al lettore, laddove la qualità della traduzione non sia adeguata. Ovviamente suggerimenti e correzioni sono molto graditi.

Tra i Sette di Mercury

NEAL (1): Siamo con Alan Shepard a Pebble Beach, in California. Non potete vedere il magnifico panorama, perché abbiamo oscurato l’ambiente per poter fare una buona videoregistrazione. E Alan, grazie per ospitarci qui con lei per questa “oral history”.

SHEPARD: E’ un piacere, signore, è un piacere.

NEAL: Iniziamo… non dall’inizio (perché c’era già stato un inizio prima)… La data 9 aprile 1959 le dice niente?

SHEPARD: Certo, è stato uno dei giorni più felici della mia vita. E’ il giorno in cui fummo riuniti ufficialmente come il primo gruppo di astronauti degli Stati Uniti. Ovviamente, prima eravamo passati attraverso un processo di selezione. Ma quello fu il giorno in cui per la prima volta fummo presentati ufficialmente come i primi astronauti degli Stati Uniti, a Langley Field in Virginia.

NEAL: A Langley? Mi domando perché a Langley.

SHEPARD: NACA [National Advisory Committee for Aeronautics] era diventata NASA in una grande, affrettata rivoluzione, come ricorderà. Il programma di selezione e addestramento degli astronauti era fondamentalmente gestito da persone che lavoravano a Langley. All’inizio, naturalmente, tutti dipendevamo da Washington. Là partì l’ammissione, l’introduzione, la preselezione e tutto quel genere di procedure. Poi, come sa, abbiamo fatto esami medici in tutto il paese. Ma, una volta completata la selezione, facevamo riferimento a quelle persone di Langley Field, il che per me fu agevole, perché ero già di stanza a Norfolk in un lavoro che non mi piaceva molto. Ero stato tolto dagli aeroplani e messo dietro una scrivania per la prima volta dopo un bel po’ di anni… Quindi è stato un viaggio davvero comodo. Non abbiamo nemmeno dovuto traslocare.

NEAL: Il suo viaggio per arrivare là era passato attraverso la scuola di pilota collaudatore, era passato attraverso l’esperienza del combattimento, era passato attraverso un po’ di tutto, non è vero? Perché la NASA, fra tutte le scelte possibili, ha deciso di prendere dei piloti collaudatori per la prima missione spaziale?

SHEPARD: Penso che fosse la conseguenza diretta dell’aver compreso che avevamo in sostanza un nuovo prodotto. Non era molto simile a un aereo, ma se ci si doveva mettere un pilota e farlo volare un po’ come un aereo… Quando si ha una strana macchina nuova, ci si rivolge ai piloti collaudatori. Questo è ciò che sono stati addestrati a fare e ciò che avevano fatto. Naturalmente NACA aveva alcuni piloti collaudatori, ma erano un po’ più vecchi. Nessuno di loro, non credo, era in una posizione in cui probabilmente avrebbe potuto competere con la varia esperienza di voli di collaudo che aveva la maggior parte di noi. E quindi la decisione fu presa.

Non so, dicono che [il presidente] Eisenhower abbia avuto qualcosa a che fare con la decisione, perché disse: “Beh, sì, ci serve un pilota collaudatore”, è stato d’accordo su questo. NACA - ora NASA - non aveva moltissimi piloti collaudatori, perciò: “Andiamo dai militari e vediamo cosa hanno da offrire”. Ora, se nella decisione non fu coinvolto lo stesso Eisenhower, per lo meno la Casa Bianca lo fu in una certa misura.

NEAL: Ma il punto è, naturalmente, che voi foste scelti. Quando squadrò per la prima volta quei suoi compagni, quale fu la sua prima reazione al gruppo?

SHEPARD: [Ride] Mi chiesi, innanzi tutto, da dove venissero fuori quei sei ragazzi incompetenti. Scherzi a parte, non è stata una sorpresa, perché molti di loro erano stati coinvolti nel processo di selezione preliminare, perciò avevo già una certa familiarità con il loro background. Glenn, naturalmente, lo avevo conosciuto prima; Schirra lo avevo conosciuto prima, per via del nostro rapporto con la Marina. Così ho capito che là c’era un bel po’ di talento e ho capito che ci sarebbe stata una dura lotta per vincere il premio.

NEAL: C’era competizione a quel tempo tra voi sette, vero?

SHEPARD: Era una situazione interessante, perché, come ho detto, ero in rapporti amichevoli con alcuni di loro. E d’altra parte, mi rendevo conto che ora ero in competizione con questi ragazzi, così c’era sempre un senso di cautela, suppongo, soprattutto nel parlare di cose tecniche. Al bar tutto cambiava, ma nel parlare di cose tecniche c’era sempre un senso di… forse un po’ di riservatezza, un non essere del tutto sinceri con gli altri, perché c’era questo forte senso di competizione.

[Interruzione]

NEAL: Stava parlando dei suoi compagni di squadra e mi piacerebbe ritornare su questo. C’era competizione tra voi sette?

SHEPARD: Beh, sa, era una situazione interessante stare insieme con i “Sette originali” per la prima volta. E, certo, avevo conosciuto alcuni di loro prima, tramite la Marina, ma tuttavia mi accorgevo all’improvviso che lì c’era competizione. C’erano sette ragazzi in lizza per il primo posto, qualunque cosa fosse. Sette ragazzi che cercavano quell’unico lavoro. Così, da una parte c’era un senso di cordialità e forse anche un po’ di sostegno, ma dall’altra parte: “Ehi ragazzi, spero che siate contenti che sia io a fare il primo volo!” [Ride]

NEAL: Stava entrando in un mondo completamente nuovo, o in un nuovo non-mondo, lassù nello spazio senza peso di cui non si sapeva nulla. Non la spaventava almeno un po’? Quali erano i suoi pensieri riguardo all’entrare in un nuovo ambiente?

SHEPARD: Credo che il mio pensiero rifletta quello degli altri ragazzi. Per me la sfida era essere in grado di controllare un veicolo nuovo in un nuovo ambiente. Si tratta di una generalizzazione, ma è qualcosa che avevo fatto per molti, molti anni come pilota della Marina, sulle portaerei - e, mi creda, è molto più difficile far atterrare un jet su una portaerei che atterrare un LM sulla Luna. La Luna è un gioco da ragazzi! Ma ciò era parte della mia vita, era la sfida. E qui si aveva, sì, un nuovo ambiente, ma si sa, per piloti da caccia che volano a testa in giù un sacco di tempo, la gravità zero non era un grosso problema. Dal momento che nessuno di noi era un medico, non avevamo pensato agli effetti a lungo termine dell’assenza di peso, ma gli effetti a breve termine della gravità zero per noi non erano una sfida. La sfida era quella di essere in grado di pilotare una macchina insolita e mantenere un buon controllo, positivo e consapevole, di quel veicolo.

NEAL: Un veicolo così insolito che non c’erano nemmeno dispositivi di addestramento o simulatori in grado di simulare il genere di cose che stavate per fare. Avete dovuto costruirli, non è vero?

SHEPARD: Come sa, è proprio così. Nei primi tempi avevamo quelli che chiamavamo “addestratori di compiti specifici” invece dei simulatori. Qualcosa era costruito per indicare il sistema di controllo; qualcos’altro per indicare i sistemi radio o alcuni degli strumenti. Ed erano tutti dispositivi separati, non i grandi, gloriosi simulatori che abbiamo oggi.

NEAL: Qual era il ruolo dell’astronauta in quei dispositivi?

SHEPARD: Penso che il ruolo dei simulatori allora, oggi e domani deve essere: hai a che fare con persone che volano aerei insoliti, che conducono esperimenti insoliti di rado, perché non si vola nello spazio ogni giorno. Quindi ci deve essere il simulatore, che crea artificialmente problemi, per addestrarti a contrastarli o a confrontarti con essi, per imparare a superare le difficoltà che potresti incontrare con il tuo esperimento, le difficoltà che potresti incontrare con la coda dello Shuttle, o altre cose del genere. Quindi i simulatori sono una parte molto, molto importante del volo spaziale e sono anche una parte molto importante per gli aerei commerciali. Purtroppo, alcune delle compagnie aeree di oggi, quelle che gestiscono brevi collegamenti, non richiedono ai piloti tempo al simulatore, il che è sorprendente. Penso che molti dei piloti lo facciano da soli. Ma i simulatori sono davvero utili, perché creano un senso di fiducia in se stessi. Si sale e il motore si spegne e si atterra in modo sicuro; oppure si va su e il razzo va di traverso e se ne esce, si torna a casa e lo si prova di nuovo. Perciò con la simulazione si crea un sacco di fiducia.

NEAL: Lei o gli altri astronauti avete avuto un ruolo attivo nella progettazione del veicolo spaziale?

SHEPARD: Sì, lo abbiamo avuto e abbiamo cercato di farlo nel modo più efficiente possibile. Nei primi tempi, con solo sette astronauti, abbiamo incaricato una persona di lavorare direttamente con il contractor. E ciò con la benedizione della NASA, perché anche gli ingegneri della NASA erano lì. Ma, soprattutto, dal punto di vista di un pilota: questa maniglia è al posto giusto? Se si dispone di un interruttore che si deve usare per contrastare una situazione di emergenza, è raggiungibile, è visibile, o si deve andare dietro la schiena da qualche parte per trovare il maledetto aggeggio? La nostra interfaccia è stata principalmente dal punto di vista del un pilota.

Il primo volo Mercury

NEAL: Poi, ha finito per essere il primo uomo a volare in un veicolo spaziale Mercury. Sapeva che sarebbe accaduto o è stata una sorpresa? Può descrivere i passi che l’hanno portata a ciò?

SHEPARD: Eravamo in addestramento da circa 20 mesi o giù di lì, verso la fine del 1960 o all’inizio del 1961, e tutti noi intuitivamente sentivamo che Bob Gilruth doveva prendere una decisione su chi stava per fare il primo volo. E, quando ci hanno detto che Bob voleva vederci un giorno alle 5 del pomeriggio nel nostro ufficio, abbiamo avuto il sentore che avesse deciso. Eravamo in sette, allora, in un solo ufficio. Avevamo sette scrivanie nell’hangar a Langley Field.

Bob entrò, chiuse la porta, e fu molto concreto quando disse: "Beh, sapete che dobbiamo decidere chi farà il primo volo e non voglio indicare pubblicamente un individuo in questo momento. All’interno dell’organizzazione voglio che tutti sappiano che noi designeremo il primo volo e il secondo volo e il pilota di backup, ma, al di là di ciò, non vogliamo prendere nessuna decisione pubblica. Così - disse - Shepard prenderà il primo volo, Grissom il secondo volo e Glenn sarà il backup per entrambe queste due missioni sub-orbitali. Domande? Silenzio assoluto. Egli disse: “Grazie mille. Buona fortuna”. Si voltò e uscì dalla stanza.

Beh, sto guardando sei facce che mi guardano e mi sento, naturalmente, del tutto entusiasta del fatto che avevo vinto la gara. Tuttavia, quasi subito dopo, mi sentii dispiaciuto per i miei amici, perché erano là. Voglio dire, si erano sforzati, avevano lottato proprio come me… e fu un momento molto toccante perché tutti si avvicinarono, mi strinsero la mano… e ben presto rimasi l’unica persona nella stanza.

NEAL: Questa è una storia impagabile, Alan. Infine le cose progredirono fino al punto in cui lei fu pronto per il volo. E, se ricordo bene, quel giorno sulla rampa di lancio si sono dovute affrontare alcune sospensioni del conto alla rovescia. Torniamo a quel giorno, così come se lo ricorda. Si sta preparando ora per MR-3, come è stato informalmente etichettato.

SHEPARD: In realtà i controlli e il conto alla rovescia erano andati molto, molto bene. Naturalmente, Glenn era il pilota di riserva e lui si era occupato delle operazioni pre-volo. Il Redstone rispondeva bene. Praticamente non abbiamo avuto alcun problema e il lancio era programmato, credo, per il 2 del mese di maggio [1961]. Io avevo già indossato la tuta, ero sul punto di uscire, quando arrivò un tremendo temporale, con tuoni e fulmini, e, ovviamente, hanno deciso di cancellare il lancio, con mio grande piacere. Il volo fu riprogrammato per 3 giorni più tardi, e, naturalmente, ha attraversato la stessa routine. Il tempo era buono, e mi ricordo il viaggio verso la rampa di lancio, in un furgone che era in grado di offrire comfort a chi indossava una tuta pressurizzata, ed eventuali necessari aggiustamenti dell’ultimo minuto sui dispositivi che controllavano la temperatura e simili; avevano tutta l’attrezzatura per fare queste cose. Il medico, Bill Douglas, era lì.

Ci fermammo davanti alla rampa di lancio, naturalmente; era buio. L’ossigeno liquido usciva fumando fuori dal Redstone. Tutto era illuminato dai proiettori. E mi ricordo di essermi detto: “Beh, non rivedrò più questo Redstone.” E, come sa, i piloti amano andare a dare calci ai pneumatici [dei loro aerei]. E’ stato un po’ come se andassi a dare un calcio ai pneumatici del Redstone, perché mi sono fermato e l’ho guardato… Ho guardato indietro e in alto questo bellissimo razzo e ho pensato: “Bene, ok razzo, andiamo e facciamo il lavoro.” Quindi, dopo essermi fermato e aver in qualche modo dato un calcio alle gomme, sono entrato e ho continuato con il conto alla rovescia.

Ad un certo punto, durante il conto alla rovescia, ci fu un problema con l’inverter del Redstone. Gordon Cooper era l’addetto alle comunicazioni vocali nella casamatta. Così ha chiamato e ha detto: “Questo inverter nel Redstone non funziona. Stanno riportando indietro la rampa e cambieremo gli inverter. Ci vorrà probabilmente un’ora, un’ora e mezza.” E io dissi: “Bene, se questo è il caso, allora mi piacerebbe uscire e andare in bagno.”

Avevamo lavorato a un dispositivo per la raccolta delle urine durante il volo, che funzionava abbastanza bene in assenza di gravità, ma davvero non funzionava molto bene quando si stava sdraiati sulla schiena e con i piedi in aria, come sul Redstone. La mia vescica stava diventando un po’ piena e, se avessi avuto un po’ di tempo, mi sarebbe piaciuto liberarmi. Così ho detto: “Gordo, vuoi controllare e vedere se posso uscire e liberarmi velocemente?” E Gordo ha richiamato… Credo che ci siano state delle discussioni, ci sono voluti circa 3 o 4 minuti, e alla fine ha richiamato e ha detto: “No, von Braun dice: [con accento tedesco] ‘L’astronauta deve rimanere nell’ogiva’”. Così ho detto: “Ok, va benissimo, ma ho intenzione di andare in bagno”. E hanno detto: “Non puoi farlo perché hai dei fili su tutto il corpo e ci saranno cortocircuiti.” Ho detto: “Ragazzi, non avete un interruttore che spegne quei fili?” E loro: “Sì, abbiamo un interruttore.” Allora io dissi: “Per favore, spegnete l’interruttore.”

Beh, mi sono liberato e, naturalmente, la biancheria di cotone che avevo addosso assorbì tutto immediatamente e, con il 100% di ossigeno all’interno di quel veicolo spaziale, ero totalmente asciutto al momento del lancio. Ma qualcuno ha detto qualcosa riguardo al mio essere la prima schiena bagnata del mondo nello spazio (2). [Ride]

NEAL: A quel tempo l’intero gioco era competitivo, non solo tra i sette astronauti, ma eravate in gara per lo spazio con i russi. Vi batterono, no? Sto pensando a Yuri Gagarin.

SHEPARD: In quella piccola gara tra Gagarin e me eravamo davvero molto vicini. Certamente, i loro obiettivi e le loro capacità di volo orbitale erano più grandi delle nostre, in quel particolare momento. Alla fine li abbiamo presi e superati, ma, come lei fa notare, c’era la guerra fredda, c’era una competizione. Avevamo fatto volare uno scimpanzé chiamato Ham in una combinazione Redstone-Mercury [MR-2, 31 gennaio 1961] e tutto aveva funzionato alla perfezione, tranne che per un relè che alla fine del volo a motore avrebbe dovuto espellere la torre di fuga, perché non era più necessaria, separarla dalla capsula Mercury e allontanarla. Per qualche motivo, durante il volo di Ham, il motore si accese, ma la torre non si separò. Così lo scimpanzé viaggiò ancora per altre 10 o 15 miglia in altitudine e altre 20 o 30 miglia in distanza. Non ci fu assolutamente nessun altro problema nella missione.

Così la nostra forte raccomandazione è stata: “Ok, mettiamo Shepard nel prossimo volo. Tutto ha funzionato bene, quindi se la cosa si ripete, non c’è un gran problema. Shepard va un po’ più in alto.” Wernher ha detto [in un accento tedesco]: “No, vogliamo tutto assolutamente perfetto”. Così abbiamo volato un’altra missione senza equipaggio, prima di Gagarin [MR-BD, 24 marzo 1961], poi ci fu il suo volo [12 aprile], e quindi il mio [5 maggio]. Perciò eravamo proprio sul limite. Se mi avessero messo in quella missione senza equipaggio, avremmo davvero volato prima. Ma ci andammo vicino.

NEAL: Col senno di poi non sembra così importante, ma al momento credo che lo fosse.

SHEPARD: Oh molto importante; assolutamente, assolutamente.

NEAL: Quanto è stato importante? Ha detto niente pubblicamente, o si è semplicemente leccato le ferite e preparato per il volo successivo?

SHEPARD: Come sa, avevamo un sacco di divergenze di opinione sul programma. Non solo riguardo al design, ma anche nella schedulazione; tuttavia sulla maggior parte di queste cose fu mantenuto il silenzio. Il più fu risolto, e molto poco è venuto fuori in pubblico. E’ stata sempre una sorta di decisione condivisa.

Mercury MA-10

NEAL: In seguito, più avanti, lei iniziò a far pressioni per ottenere un altro volo su una Mercury, ma il programma Mercury fu interrotto perché c’erano pressioni per qualcosa d’altro. Possiamo discutere di queste pressioni?

SHEPARD: Non la sorprende che io volessi volare di nuovo, signor Neal?

NEAL: Niente affatto.

SHEPARD: Quando Cooper concluse la missione orbitale di un giorno e mezzo [MR-9 15/16 maggio 1963], c’era un altro veicolo spaziale pronto per partire. Ebbi l’idea di farmi mettere lassù per restare fino a quando qualcosa finiva; fino a quando le batterie si scaricavano, fino a quando l’ossigeno si esauriva, fino a quando avremmo perso un sistema di controllo o di qualcosa di simile. Una missione di tipo aperto. E l’ho raccomandata così tanto che mi hanno detto che non volevano più sentirmene parlare.

Ma ricordo che quando Cooper e la sua famiglia e gli altri astronauti e le famiglie sono stati invitati alla Casa Bianca per un cocktail con Jack [ossia: John F. ] Kennedy, e prima ci siamo fermati a casa di Jim Webb per un piccolo “riscaldamento”, mi sono messo a discutere con Webb e gli ho detto: “Lei sa, signor Webb, che potremmo mettere questo ‘bambino’ lassù in poche settimane. È tutto pronto. Abbiamo i razzi. Mi lasci sedere lì e vedere quanto tempo durerà, e ottenere un altro record.” Lui disse: “No, non sono d’accordo. Penso che dobbiamo andare avanti con Gemini.” E io dissi: “Bene, fra poco vedrò il Presidente. Le dispiace se gliene parlo?” Lui rispose: “No, ma digli anche la mia versione della storia.” Allora ho detto: “Va bene.”

Così, siamo arrivati lì e stavamo tutti sorseggiando il nostro liquore, cercando di riavere indietro un po’ del nostro denaro di contribuenti bevendo alla Casa Bianca, e presi Kennedy da parte e gli dissi: “C’è la possibilità di fare un altro volo Mercury a lunga durata - forse 2, forse 3 giorni - e ci piacerebbe farlo.” Lui disse: "Che cosa ne pensa il signor Webb? " Dissi: “Webb non vuole farlo.” Così ha detto: “Beh, penso che dovrò essere d’accordo con il signor Webb.”

NEAL: Ciò le fece capire chi era “il potere dietro il trono”.

SHEPARD: Almeno ci ho provato.

La malattia

NEAL: Così, invece, iniziò a prepararsi a volare nella Gemini, una partita totalmente nuova.

SHEPARD: Sì. Fu una grande fortuna che fossi scelto per la prima missione Gemini. Tom Stafford, che era un giovane molto brillante, mi era stato assegnato come co-pilota ed avevamo già iniziato la missione, ci stavamo già addestrando per la missione. Infatti eravamo stati nei simulatori, diverse volte. Non sono sicuro se avessimo già visionato l’hardware a St. Louis (3) o meno, prima che avessi il problema.

Il problema che ho avuto era una malattia chiamata di Ménière, dovuta alla elevata pressione del fluido nell’orecchio interno. Mi dicono che accada nelle persone di tipo A (4), eccitabili, controllate, comunque siano. Purtroppo provoca mancanza di equilibrio, vertigini, e in alcuni casi la nausea, come conseguenza di tutto questo disorientamento che avviene nell’orecchio. Per fortuna riguarda un lato solo, infatti mi colpì solo a sinistra. Ma era così evidente che la NASA mi mise subito a terra e assegnarono un altro equipaggio al primo volo Gemini.

In quelle condizioni che cosa fare? Tornare in Marina? Rimanere nel programma spaziale? Cosa fare? Alla fine decisi che sarei rimasto alla NASA per vedere se non ci fosse un modo per risolvere questo problema dell’orecchio. Passarono diversi anni, c’era qualche cura che lo alleviava, ma ancora non potevo volare da solo. Si immagina il più grande pilota collaudatore del mondo che, per volare, deve avere un ragazzo nel sedile posteriore? A proposito di situazioni imbarazzanti!

Ma, in realtà, fu Tom Stafford che venne da me e mi disse che aveva un amico di Los Angeles che stava sperimentando come correggere chirurgicamente questo problema di Ménière. E così ho detto: “Grande, accidenti! Andrò a trovarlo.” Così lui organizzò la cosa. Andai là. Il tipo disse: “Sì, lo facciamo. Quello che facciamo è fare una piccola apertura, mettere un tubo in modo che da allargare la cavità che tiene la pressione del fluido, e in alcuni casi ha funzionato.” E io dissi: “Bene, che cosa succede se non funziona?” E lui disse: “Beh, non starà peggio di come sta adesso, tranne che potrebbe perdere l’udito. Ma a parte questo…” Così sono andato là sotto falso nome.

NEAL: Che nome?

SHEPARD: Era Poulos, mi pare. Victor Poulos. Il medico e l’infermiera lo sapevano, ma nessun’altro… Così, Victor Poulos fa le analisi e gli fanno l’operazione… Non è nulla di traumatico, ovviamente, perché dopo circa un giorno ero fuori di lì. Certo era evidente, avevo una grande palla di roba sull’orecchio, quando tornai a casa. Ma la NASA ha iniziato a guardarmi. E sono passati mesi, mesi e mesi… e infine [nel maggio 1969] dissero: “Sì, tutti i test dimostrano che non sei più affetto dalla malattia di Ménière.” Quindi ero là, dopo aver preso la decisione giusta.

Il “Gelido Comandante”

NEAL: Penso che qui sia meglio retrocedere un po’, perché, ovviamente, questo la porterà a parlare di un collega di nome Deke Slayton, e noi non abbiamo chiarito il fatto che Deke, come lei, fu esonerato dall’attività di volo. Allora torniamo un po’ su questo, soprattutto perché accadde ai tempi del progetto Mercury, quando Deke si preparava a volare; quando ha lo ha sentito per la prima volta?

SHEPARD: Deke era già stato assegnato a seguire John… [Glenn]

NEAL: E improvvisamente fu messo fuori dal suo volo Mercury. Fu un problema cardiaco, no?

SHEPARD: Sì, ci furono parecchie discussioni su questo, perché si trattava di un soffio al cuore o di una palpitazione, una qualche irregolarità che non era evidente. Non era un fatto continuo. Non c’era una minaccia di arresto cardiaco o qualcosa di simile. Capitava solo occasionalmente che avesse là una contrazione…

NEAL: Fu un vero colpo. Le domando quale fu la sua reazione a quel tempo e se ce ne può dare un po’ di contesto.

SHEPARD: In quei giorni, come abbiamo detto prima, eravamo ancora altamente competitivi. C’erano ancora sette ragazzi pronti per qualunque volo fosse disponibile. E Slayton era stato scelto per fare la seconda missione orbitale dopo Glenn, quando ha avuto questo piccolo soffio al cuore. Come ho detto, non era niente di realmente serio. Voglio dire, non era continuo. Gli veniva una volta ogni tanto. Tuttavia fece preoccupare parecchio i medici e, anche dopo che esami piuttosto approfonditi dimostrarono che non era frequente al punto da interferire con la missione, si continuò a pensare: “Non possiamo rischiare su nessuna cosa, né sull’hardware né sugli astronauti.” Così è stato messo a terra. Completamente.

E a quel punto il senso di competizione con Deke si trasformò in cameratismo, nel sentirsi dispiaciuti per lui. Un senso di “Riportiamoti in qualche modo nel programma, vecchio mio.” Perché davvero ero dispiaciuto per lui, a quel punto, perché non era più competitivo. Ma, d’altra parte, avevamo un ragazzo in quella posizione e sapevamo quanto potesse essere duro per lui.

Così è stato messo a terra. Ovviamente, il beneficio per noi fu di avere qualcuno di noi che potesse diventare subito un portavoce, perché aveva deciso di rimanere. Penso che si dimettesse dalla riserva della Air Force a quel punto. Non sono sicuro, ma credo di sì [Slayton si dimise nel 1963]. In ogni caso, era qualcuno che poteva parlare per il gruppo e non avere la preoccupazione dei problemi dell’addestramento. Quindi fu un evidente vantaggio avere lui come leader e come portavoce del gruppo.

NEAL: E così è diventato Capo dell’Ufficio Astronauti? Qual era il suo titolo?

SHEPARD: Sì, penso che fosse Capo dell’Ufficio Astronauti.

NEAL: E quello era il lavoro di cui lei alla fine fu incaricato [tra 1963 e 1969].

SHEPARD: Sì, le cose erano cambiate, naturalmente.

NEAL: Ai tempi del progetto Gemini, all’improvviso, c’erano due dei sette che erano stati messi a terra, Deke e Al. Che squadra! Come si arrivò a far diventare lei Capo dell’Ufficio Astronauti mentre Deke, a questo punto, aveva assunto un po’ di potere come Responsabile delle Operazioni degli Astronauti?

SHEPARD: Come ho detto prima, avevo deciso di combattere la sindrome di Ménière per rimanere alla NASA. E durante il periodo di tempo in cui ero a terra, potei diventare molto, molto utile nel settore della formazione degli astronauti. Penso che eravamo davvero cresciuti, se si considera il numero di ragazzi che erano impegnati nei simulatori, ad esempio, nelle procedure di vestizione, che curavano le tute ecc., che si occupavano delle strutture per gli astronauti… c’era davvero un bel numero di persone coinvolte. Così decisero di fare una sezione separata. Deke divenne il capo di quella sezione e a me hanno dato il compito specifico di occuparmi degli astronauti, come responsabile della loro formazione, e di aiutare Deke nell’assegnazione degli equipaggi, questo genere di cose.

NEAL: Fu Deke soprattutto che le procurò il lavoro, o fu solo il fatto che lei aveva tutte le qualifiche per farlo? Come andò?

SHEPARD: Penso che sia stata solo una questione di chiedersi: “Di che cosa abbiamo bisogno?” Dopo che fui messo a terra e informai la NASA che sarei rimasto, avevamo due ragazzi che in realtà… Ciascuno di noi avrebbe potuto fare il lavoro. Una piccola differenza, credo, era che io sapevo che, in qualche modo, qualcosa in me sarebbe accaduto. Stavo per andare a farmi curare l’orecchio o c’ero già andato. Deke, credo che fosse più o meno rassegnato, in questa fase, alla faccenda del soffio al cuore ed i medici continuavano a dargli brutte notizie in merito. Quindi penso che per Deke fosse probabilmente un impegno più a lungo termine che nel mio caso particolare e penso che questo sia davvero il motivo per cui si è deciso così. Lei sa che ne parlammo con Kraft e Gilruth e in qualche modo riconobbero che ero una buona scelta.

NEAL: Voi due avevate la reputazione di guide molto rigorose.

SHEPARD: Certo, Deke ed io eravamo entrambi provati perché non potevamo volare. Entrambi ci eravamo addestrati come astronauti. Sapevamo dov’era ogni problema in tutto il processo e non avremmo permesso che quei ragazzi trascurassero niente. Sapevamo quello che dovevano fare, sapevamo come dovevano farlo e, se loro non lo stavano facendo, li avremmo presi e glielo avremmo detto. Forse ero un po’ più energico di quanto sarei stato normalmente, perché ero stato messo a terra. Credo che mi chiamassero il “Gelido Comandante” o con qualche “amichevole” soprannome del genere…

NEAL: “Sguardo d’acciaio”?

SHEPARD: Sapevamo dove erano tutti i problemi.

NEAL: Per questo, in un modo molto particolare, dal punto di vista della NASA, forse fu un vantaggio per il programma spaziale che lei e Deke vi foste trovati entrambi a fare quello che facevate in quel momento. Ci ha mai pensato?

SHEPARD: Penso che sicuramente c’era bisogno di un coordinamento, c’era bisogno di una rappresentanza a livello esecutivo. Altri ragazzi avrebbero potuto fare il lavoro altrettanto bene o forse anche meglio. Ma pare che ne siano venuti fuori dei buoni equipaggi.

NEAL: Non credo che qualcuno possa criticare la vostra selezione degli equipaggi, Alan.

Tutto il percorso attraverso il Programma Gemini e, infine, Apollo. Ed è stato durante il tempo di Apollo, che lei finalmente individuò, con l’aiuto di Stafford, come lei ha descritto in precedenza, un modo per curare la sindrome di Ménière a Los Angeles. Improvvisamente i cieli si riaprirono per Alan Shepard. Doveva tornare nel programma, non è vero?

SHEPARD: Certo, quando la NASA ha finalmente detto che potevo volare di nuovo, sono andato da Deke e gli ho detto: “Non abbiamo ancora annunciato pubblicamente l’assegnazione dell’equipaggio per Apollo 13. Ho una raccomandazione da fare.” Avevo scelto due brillanti e giovani ragazzi - uno con un Ph. D. e uno un sacco più in gamba di me - e avevo messo insieme una squadra per un volo Apollo. Dissi: “Vorrei raccomandare che io prenda Apollo 13, con Stu Roosa come pilota del modulo di comando e Ed Mitchell come pilota del modulo lunare.” Deke disse: “Non so. Proviamo.” Così lo abbiamo proposto a Washington, e ci hanno detto: “No, niente da fare.” Così abbiamo detto: “Aspettate un minuto. Shepard è almeno altrettanto in gamba quanto il resto dei ragazzi, forse anche un po’ più.” Ed essi dissero: “Bene, lo sappiamo. Ma è un problema di pubbliche relazioni. Ecco, questo ragazzo è stato appena riabilitato a volare e tutto ad un tratto, bum! ottiene un incarico di primo equipaggio.” Così la discussione è andata avanti per diversi giorni e alla fine hanno detto: “Va bene, facciamo un accordo. Daremo a Shepard Apollo 14. Indicateci un altro equipaggio per Apollo 13”; e questo è quello che è successo.

Apollo 13

NEAL: Oh, e non lo avesse mai fatto! Improvvisamente Apollo 13, nel suo viaggio verso la Luna, incontrò enormi problemi. Mi chiedo che cosa ha pensato quando il problema si rivelò e che cosa ha fatto durante quel periodo di tempo.

SHEPARD: Il pensiero immediato è stato: “Come portiamo indietro questi ragazzi?” Ovviamente, fin dall’inizio, fu la fine della missione di allunaggio, non c’è dubbio. Ma è stato interessante vedere l’intero sistema svuotato e fatto ripartire con ogni tipo di consiglio. E, naturalmente, sono stati Chris Kraft e Gene Kranz che hanno tenuto tutti insieme su questo, dicendo: “Guardate che dobbiamo trovare un modo per portare a casa questi ragazzi. Il fallimento non è un’opzione”. E come sa bene, l’intero sistema si mise in moto. In ogni angolo dei processi produttivi, i fornitori, le persone della NASA, tutti lavorarono per trovare una soluzione al problema.

Come si vide, c’era più di una soluzione. Voglio dire: i diversi gruppi di ingegneri dovevano essere diretti e corretti. E penso che probabilmente sia stata l’ora più bella della NASA. Certamente dal punto di vista di un pilota, è stato un evento altrettanto importante quanto camminare sulla Luna con Apollo 11.

NEAL: Lei ebbe il volo successivo. Lo affrontò con timore e tremore o con la consapevolezza che probabilmente avreste fatto un buon volo, grazie a quello che era stato appreso da Apollo 13? Qual era la sua posizione?

SHEPARD: So che alcuni hanno espresso il parere che volare su Apollo 14 sarebbe potuto essere un po’ più pericoloso di quello che sarebbe stato se non ci fosse stato Apollo 13. Ma, si capì che si doveva fare una quasi totale riprogettazione… beh, non fu necessaria una riprogettazione, ma si doveva fare una revisione totale del pacchetto, per scoprire in particolare perché la cosa è scoppiata e aggiustarla, per cercare problemi simili in tutto il modulo di servizio, ma, ancora, per riesaminare l’intero schema di cose. Sa, in missioni come questa, quando si è nella ricerca di base, ci sono sempre decisioni lungo il percorso, [per esempio] che forse si dovrebbe mettere a posto questo particolare pezzo di equipaggiamento perché c’è una possibilità su 100 che non funzioni.

D’altra parte, si tratta solo di una piccola parte di un grande processo organizzato per partire in una data precisa e, se non funziona, per sopperire al problema c’è l’equipaggio. Ci sono sempre queste piccole decisioni da prendere, quindi una parte del processo di revisione di Apollo 13 le doveva attraversare. Ancora: avevamo tempo per fare qualche correzione di quelle possibilità 1 a 100 di fallimento? E naturalmente parecchie altre sono state effettuate in aggiunta alle correzioni del problema di base. Quindi c’era una sensazione di sicurezza, e noi, ovviamente, eravamo parte del processo.


size=10pt L’intervistatore è il giornalista Roy Neal, a lungo corrispondente di NBC News.
(2) Qui c’è un gioco di parole intraducibile. “Wetback” (“schiena bagnata”) è un termine spregiativo che viene usato negli USA per definire gli immigrati irregolari messicani (bagnati perché si presume che abbiano attraversato il Rio Grande).
(3) A St. Louis, nel Missouri, era la sede dalla McDonnell, costruttrice delle capsule Mercury e Gemini.
(4) Shepard pare alludere ad una discussa teoria che mette in relazione la predisposizione a certi disturbi con i caratteri psicologici (si veda, per esempio: https://en.wikipedia.org/wiki/Type_A_and_Type_B_personality_theory).[/size]

Grande lavoro Robmastri! Grazie.

Vero! Ottimo!

Grazie, ottimo lavoro!

grazie, non mille ma un milione!!!

Se per la prima parte hai fatto un lavoro così splendido, aspettiamo con ansia la seconda parte.
Davvero tanti complimenti per la voglia, passione, tenacia e bravura che ci hai messo.

Ringrazio tutti per l’incoraggiamento. Sto procedendo con a seconda parte: occorreranno ancora alcuni giorni, ma, a questo punto, la conclusione è d’obbligo. La devo ad Al e al forum :smile:

L’ultima intervista di Alan Shepard in traduzione italiana - parte 2

[i]Come promesso, ecco la seconda ed ultima parte della traduzione. Il lavoro è stato un abbastanza impegnativo, ma ciò non garantisce dell’accuratezza del risultato, per cui rinnovo l’appello alla benevolenza del lettore.

Gli ultimi tre quarti d’ora dell’intervista toccano il dramma di Apollo 1, l’impegno di J.F.Kennedy nel programma spaziale, il viaggio sulla Luna di Apollo 14 (con annessa partita a golf) e un breve ricordo di varie personalità che Shepard ha incontrato nella sua carriera di astronauta. Nell’epilogo Alan esprime dei giudizi così elogiativi sulla Nasa che l’intervistatore ritiene opportuno precisare che sono del tutto sponanei.[/i]

La tragedia di Apollo 1

NEAL: A quel tempo, inoltre, avevo dimenticato, avevate attraversato il trauma di Apollo 1, l’incendio e la riprogettazione che ne derivò. Ritorniamoci per un quache momento.

SHEPARD: Sì, è un parlare di sentimenti.

NEAL: Deve essere stato duro.

SHEPARD: Apollo 1 arrivò come un vero e proprio shock, non c’è dubbio. E’ stato uno shock perché era inaspettato - e dirò le ragioni per cui era inaspettato un po’ più tardi. Ma la perdita di un equipaggio in un test, mentre sono ancora lì seduti a terra, la perdita di un equipaggio ha davvero svegliato tutti. E questo è stato importante, perché tutti noi, ognuno di noi - e Deke ed io ne abbiamo parlato (purtroppo, dopo il fatto) -, ma noi eravamo parte di un gruppo che era passato attraverso Mercury, era passato attraverso Gemini: “Gente, abbiamo pensato, siamo in testa! Stiamo battendo i russi!” Abbiamo pensato che niente poteva andare storto. E ciò indubbiamente ha portato a un senso di falsa sicurezza. Ricordo di averne parlato con Deke. Gus [Grissom] sarebbe tornato e si sarebbe lamentato. Diceva: “Questo è il peggior veicolo spaziale che abbia mai visto.” Se ne lamentava. E, naturalmente, si lamentava con gli ingegneri, nonché con Deke e con me.

Ma Deke ed io siamo diventati inavvertitamente parte del problema, perché gli abbiamo detto: “Va bene, Gus, vai avanti e fai un elenco di queste cose e vedremo che siano corrette per il momento del volo”. No! Avremmo dovuto dire: “Vedremo che siano corrette prima che vi chiudano di nuovo lì per un test in cui si sta usa il 100% di ossigeno.” Vede, c’era quel senso di sicurezza, un senso di compiacimento che avevano tutti, compreso me e compreso Deke.

Credo che alcune persone abbiano sentito la responsabilità per le negligenze e le decisioni sbagliate più di altri e ne siano stati personalmente colpiti più di altri. Ma non credo che ci siano stati più di pochi ostinati che non abbiano capito, nel tempo, di essere stati parte del problema.

NEAL: Come risultò, forse proprio a causa di Apollo 1, Apollo fu una serie di voli di enorme successo.

SHEPARD: Oh sì. Non penso che ci siano dubbi circa il fatto che l’incendio di Apollo 1 abbia dato forma all’intero sistema, abbia reso consapevoli le persone di essere stati troppo compiacenti, di essere troppo sicuro di sé, e ciò ha portato, naturalmente, a una totale riprogettazione di molte delle parti del veicolo e, sono sicuro, ha contribuito a quello che fu un programma di grande successo. Abbiamo ancora un sistema sperimentale per portare le persone sulla Luna e ci riusciamo sei volte con un solo fallimento. Voglio dire: è incredibile.

NEAL: E nell’unico fallimento si riportano le persone indietro.

[pausa]

Kennedy e la decisione di andare sulla Luna

NEAL: Torniamo un po’ più indietro nel tempo a una storia più vecchia, perché lei era proprio lì, quando fu concepito il viaggio verso la Luna. Non fu nei giorni che seguirono la sua prima, fortunata, missione suborbitale? Ce ne parli.

SHEPARD: E’ una osservazione interessante, e l’ho già sentita esprimere qualche volta, che la decisione che Jack Kennedy fece di andare sulla Luna fu presa quando avevamo solo 15 minuti di tempo totale di volo spaziale. Un sacco di gente si mise a ridere e disse: “Di sicuro!” Ma il nocciolo della questione è che è vero.

E questo è quanto è accaduto: siamo stati invitati a Washington dopo la missione [l’8 maggio del 1961], e ho avuto una bella medaglia del Presidente, che tra l’altro la fece cadere.

Non so se si ricorda quella scena. Jimmy Webb aveva la medaglia in una scatola ma il fermaglio era aperto e così quando il Presidente fece il suo discorso e disse: “Ora le consegno la medaglia” e si voltò, Webb si sporse in avanti e la cosa scivolò fuori dalla scatola e finì sul pavimento, e Kennedy e io ci chinammo entrambi per prenderla. Abbiamo quasi sbattuto la testa. Kennedy ha fatto prima… e disse, nel suo dannato accento yankee: “Shepard, ti consegno questa medaglia che viene su dalla terra.” [Ride] Jackie [Jacqueline Kennedy] che era seduta lì, era mortificata e diceva: “Jack, appuntagliela, appuntagliela!” Così ha poi ha ripreso dal punto in cui appuntava la medaglia e tutto è andato bene, ci siamo fatti una grande risata (1).

In origine Louise e io avremmo dovuto andare al Congresso, dopo la cerimonia alla Casa Bianca, e poi partecipare ad un ricevimento e infine lasciare la città. Ma Jack disse: “No, desidero che lei torni alla Casa Bianca, per un incontro, così parliamo del suo volo.” Così abbiamo avuto il ricevimento al [Capital] Hill, e siamo tornati indietro, nello Studio Ovale, dove c’erano i capi della NASA e membri del governo. Jack, naturalmente, era lì; e c’era anche [il vicepresidente] Lyndon Johnson.

C’è una mia foto, seduto sul divano, dove Jack è sulla sedia a dondolo, e io gli sto dicendo come pilotavo la nave spaziale, e lui si piega in avanti, ascoltando attentamente. Abbiamo parlato dei dettagli del volo, in particolare di come il fisico umano aveva reagito ed era in grado di lavorare nell’ambiente spaziale. E verso la fine della conversazione, disse a quelli della NASA: “Che cosa faremo adesso? Quali sono i nostri progetti?” E gli dissero: “Ci sono alcuni ragazzi che stanno parlando della possibilità di andare sulla Luna.” Ha detto: “Voglio un briefing.”

Solo 3 settimane dopo quella missione di 15 minuti nello spazio, [il 25 maggio] Kennedy ha fatto il suo annuncio: “Gente, andremo sulla Luna, e ci andremo in questo decennio.” Con 15 minuti di tempo nello spazio! Ora, non pensa che fosse eccitato? Non pensa che fosse affascinato dallo spazio? Assolutamente, assolutamente! La gente dice: “Lui fece l’annuncio [della Luna] perché aveva problemi con la Baia dei Porci (2), la sua popolarità stava calando.” Non è vero!

Quando Glenn ha concluso la sua missione, Glenn, Grissom, ed io abbiamo volato con Jack per tornare da West Palm a Washington per la cerimonia di Glenn. Noi quattro, eravamo seduti nella sua cabina e abbiamo parlato di quello che Gus aveva fatto, di quello che John aveva fatto, di quello che avevo fatto io. Per tutto il viaggio. La gente entrava con i documenti da firmare e lui diceva: “Lascia stare, ce ne occuperemo quando saremo a Washington.” L’intero volo. Le giuro che era davvero, davvero affascinato dallo spazio. Ed è un peccato che non abbia potuto vivere per vedere realizzata la sua promessa.

NEAL: Quando fece l’annuncio, quale fu la sua reazione?

SHEPARD: Oh, siamo rimasti incantati, siamo rimasti incantati! Ma c’era anche un po’ di preoccupazione, perché aveva fissato una scadenza. Credo che nessuno di noi pensava che saremmo stati in grado di farlo… (era il 1961) entro 8 anni e mezzo… Eravamo soddisfatti ma… “forse il presidente è un po’ troppo ottimista”.

Apollo 14. Prima del lancio

NEAL: Siamo finalmente arrivati ad Apollo. Quale fu la vostra scelta - sua e di Deke… Su quale volo avevate scommesso che sarebbe stato il primo a far atterrare un equipaggio sulla Luna?

SHEPARD: Suppongo che fossimo consapevoli del programma, così come era stato disposto dopo aver riprogrammato la missione Apollo 8; credo che pensassimo che le missioni 9 e 10 avevano adeguatamente dimostrato le funzionalità del modulo lunare, che davvero sentissimo nel profondo che ce l’avremmo fatta. Avevamo una buona possibilità di farlo al primo tentativo.

NEAL: E naturalmente l’avete fatto.

SHEPARD: Naturalmente l’abbiamo fatto.

NEAL: E poi è venuto 14. Abbiamo già parlato di questo. Lei aveva scelto la sua squadra, eravate usciti fuori da Apollo 13, ed eravate pronti a volare. Deve aver vissuto un grande momento quando era lì pronto, in attesa del decollo.

SHEPARD: Penso che, a posteriori, l’ovvio vantaggio era che Apollo 13 ci aveva dato più tempo per l’addestramento. Non che non ne avessimo avuto abbastanza. Ma, quel tempo di formazione supplementare ci ha dato un maggiore livello di comfort. Penso che, ovviamente, le modifiche apportate al veicolo spaziale fossero buone; non solo le modifiche che si riferivano direttamente all’esplosione ma anche le altre che erano state fatte. C’era un sacco di fiducia. Come ho detto, avevo preso con me un paio di ragazzi brillanti e c’era davvero un sacco di fiducia. Gene Cernan, era la mia riserva. C’è una storia divertente su Cernan.

Ci eravamo quasi, credo che sia stato circa 4 o 5 giorni prima del previsto decollo, eravamo tutti in quarantena a Capo Kennedy - a quel tempo dovevamo fare 21 giorni quarantena prima e 21 giorni dopo il volo per evitare contagi - e Cernan era fuori la mattina presto a pilotare un elicottero, perché tutti i comandanti usavano elicotteri per addestrarsi agli ultimi trecento metri dell’allunaggio. Stavamo facendo colazione e sapevamo che Gene stava volando in elicottero, e tutto ad un tratto si apre la porta ed entra Cernan. Era tutto coperto di fuliggine e con ferite sul volto. Abbiamo detto: “Cernan, che cosa è successo?” Era stato in volo con l’elicottero sopra il fiume, che era assolutamente calmo la mattina presto, come uno specchio, ed era stato distratto da qualcosa: guardava la terra invece dell’acqua.

Finì con l’elicottero dritto nell’acqua, con il muso in giù, le pale che saltano dappertutto, le pale del rotore di coda che saltano dappertutto, il fuoco, perché i serbatoi di quel piccolo elicottero si rompono, e c’era carburate dappertutto. Cernan stava affondando. E, naturalmente, essendo un pilota della Marina ben addestrato, sapeva come far fronte al trovarsi sott’acqua. Così uscì e nuotò verso l’alto, si rese conto che era nel fuoco, così schizzò l’acqua intorno, prese un grande e profondo respiro e nuotò un po’; e venne a galla, poi spruzzò l’acqua attorno un altro po’ e nuotò un po’. Finalmente uscì dal fumo e dalle fiamme e da tutta quella roba. Qualcuno aveva visto l’incidente, ovviamente, perché il fiume Banana non è grande. Ma lui arrivò a riva, uscì dall’acqua ed ora era lì, tutto inzaccherato. Così lui mi ha guardato e come mio pilota di riserva mi ha detto: “Va bene, Shepard, hai vinto. Tocca a te andare” (3). [Ride]

[pausa]

Apollo 14. Sulla Luna

NEAL: Alan, ora lei è sulla Luna. Ci è arrivato su Apollo 14. Che cosa ha provato al momento dell’allunaggio?

SHEPARD: Desidera che prima le racconti la storia di come ci sono arrivato?

NEAL: Oh, sì, certo.

SHEPARD: In realtà, il viaggio era andato molto bene. In precedenza avevamo avuto uno o due problemi di aggancio [con il modulo lunare] e un problema con qualcosa che era finito nel comando per annullare la discesa sulla Luna e il contatto risultava chiuso come se stessimo spingendo il pulsante. Tutto era stato risolto (4). Ora siamo sulla nostra via verso la superficie, volando con la schiena in basso e il motore che punta in avanti, rallentando e scendendo via via in modo sempre più ripido. Avevamo una regola di missione secondo la quale il computer doveva essere aggiornato dal radar di atterraggio; la ragione è che mentre si è sulla schiena, ovviamente, non si può vedere il terreno, non si possono vedere le montagne, le rocce, o altro. Così avevamo una regola che diceva che se il radar di atterraggio non stava aggiornando il computer quando si era scesi ad una altezza di circa 4.000 metri, si doveva abortire; si doveva andare via.

Ebbene, il radar di atterraggio non funzionava. Ci hanno chiamato e ci hanno detto: “Il radar di atterraggio non funziona.” Abbiamo risposto: “Molte grazie, ne siamo consapevoli”. E dopo un po’ hanno detto: “Sapete che la regola dice di annullare la discesa se non siete [con il radar attivo] a 4.000 metri.” Beh, certo che lo sapevamo. Infine qualche brillante giovanotto nel centro di controllo disse: “Ehi, il radar di atterraggio funziona, ma è bloccato su infinito. Devono disattivare l’interruttore per resettarlo e vedere se funziona.” Così abbiamo spento l’interruttore, lo abbiamo riacceso, e il radar di atterraggio si è attivato. E poco dopo siamo stati autorizzati all’atterraggio con un certo sollievo. E sono sceso vicino, come di abitudine.

Appena abbiamo girato il veicolo in avanti, laggiù c’era il bellissimo Fra Mauro, proprio come lo avevo visto centinaia di volte nel modello in scala. Siamo venuti giù e abbiamo fatto un atterraggio molto morbido. Piuttosto morbido anche se eravamo atterrati a un cratere e la gamba [del LM] in salita non si è compressa come avrebbe dovuto fare. Aveva un ammortizzatore all’interno. E’ stato un atterraggio perfetto, anche se un po’ inclinato a destra (5). Abbiamo chiuso gli interruttori e Ed Mitchell si è girato verso di me e ha detto: “Alan, cosa avresti fatto se il radar di atterraggio non avesse funzionato a 4.000 metri?” Lo guardai e dissi: “Ed, non lo saprai mai!”

NEAL: Beh, eravate là…

SHEPARD: Sarei atterrato. Ero arrivato così lontano. Veda, Ed per esempio, non era stato per nulla nel simulatore di atterraggio (6). Atterrare era il mio lavoro. E io avevo fatto centinaia di queste cose. Sapevo che se avessi potuto vedere la superficie, di sicuro sarei potuto scendere; forse, non esattamente dove avremmo dovuto, ma sarei potuto scendere vicino.

NEAL: E così avrebbe fatto l’allunaggio in qualsiasi circostanza? Infrangendo le regole della missione?

SHEPARD: Avrei almeno dato uno sguardo. Prima avrei girato il LM in avanti e dato un’occhiata e poi avrei preso una decisione.

NEAL: Mi sembra giusto. Finalmente siete sulla Luna. Missione compiuta. Mi dica che cosa lei e Ed avete fatto sulla Luna, così come lo ricorda. Quali sono stati i momenti salienti?

SHEPARD: Naturalmente la prima sensazione è stata un tremendo senso di soddisfazione. Un grande rendersi conto che “Ehi, non molto tempo fa non potevo volare. Ora sono sulla Luna.” Immediatamente ci fu quel senso di autocompiacimento. Ma poi è scomparso, perché avevamo un sacco di lavoro da fare. Ma non dimenticherò mai quel momento.

Un altro momento che non dimenticherò mai è stato quando, dopo che Ed mi aveva seguito sulla superficie e avevamo disposto alcune delle nostre apparecchiature e prelevato i campioni di emergenza, abbiamo avuto qualche momento per guardarci intorno, per guardare su nel cielo nero - un cielo completamente nero, anche se il sole splende sulla superficie, non è riflesso, non c’è diffusione della luce - un cielo completamente nero e vedere un altro pianeta: il pianeta Terra. La Terra è soltanto quattro volte più grande della Luna, così, a quella distanza, ci si può davvero mettere il pollice e l’indice attorno. Appare bella; appare solitaria; appare fragile. Si pensa che milioni di persone vivono su quel pianeta e non si rendono conto di quanto sia fragile. Penso che questa sia una sensazione che tutti [gli astronauti] abbiano avuto ed espresso in un modo o nell’altro. Era una sensazione travolgente vedere la bellezza del pianeta, da un lato, e la sua fragilità dall’altro.

Apollo 14. Giocare a golf sulla Luna

NEAL: Essendo Alan Shepard, naturalmente, poco dopo questo altissimo momento ha deciso di giocare un po’ a golf.

SHEPARD: Non ho deciso di giocare un po’ a golf. E’ una storia lunga. Non voglio raccontare tutta la storia.

NEAL: Ci dica quel che pensa sia giusto, perché è una storia molto famosa e sono sicuro che un sacco di gente vorrebbe sentire la sua versione.

SHEPARD: Come sa, finora io sono l’unica persona ad aver colpito una pallina da golf sulla Luna. Probabilmente lo sarò ancora per un po’. Essendo un giocatore di golf, prima del volo, ero incuriosito dal fatto che una pallina, colpita con la stessa velocità, sarebbe andata sei volte più lontano. Il suo tempo in volo - non voglio dire “in aria”, perché là non c’è aria - il suo tempo in volo sarebbe stato almeno sei volte più a lungo. E senza curvare, perché non c’è atmosfera per piegarlo. E ho pensato: “Che bel posto per colpire una pallina da golf!” Beh, quando sono andato da Bob Gilruth per dirgli che volevo colpire un paio di palline da golf, ha detto che non era assolutamente il caso.

Ho spiegato che non era una mazza da golf regolare; era il manico che usiamo con una paletta in cima per raccogliere campioni di polvere lunare. Sarebbe già stato lassù e avremmo dovuto gettarlo via. Poi avevamo la testa di una mazza che avevo adattato a quel manico e due palline da golf, che ho pagato io: due palline da golf e una mazza senza alcun costo per il contribuente. La cosa che ha finalmente convinto Bob è stata quando ho detto, “Capo, farò un patto con te. Se abbiamo sbagliato qualcosa, se abbiamo avuto guasti alle apparecchiature, qualcosa è andato storto sulla Luna e voi siete imbarazzati o noi siamo imbarazzati, non lo farò. Non sarò così frivolo. Aspetterò fino alla fine della missione, colpirò queste palline da golf con questa mazza improvvisata davanti alla telecamera, piegherò la mazza, la metterò in tasca, salirò su per la scala, chiuderò il portello, e andremo via.” Così alla fine disse: “Va bene.” E’ andata così.

NEAL: Davanti ad un enorme pubblico mondiale di milioni di persone, che non hanno dimenticato fino ad oggi. Forse Alan Shepard è ancora soprattutto conosciuto come il ragazzo che ha giocato a golf sulla Luna.

SHEPARD: Beh, è stato pensato come una cosa divertente. Per fortuna, è ancora una cosa divertente. La mazza di fortuna è alla Associazione Golf degli Stati Uniti, nel loro museo (7). Non c’è stata assolutamente nessuna speculazione commerciale. Una ditta ha cercato di dire che era una loro pallina da golf, ma noi li abbiamo fermati molto rapidamente. E’ stato solo puro divertimento.

L’addio alla NASA. Il volo di Slayton

NEAL: E lo è ancora. Ora, se posso, vorrei farle alcune domande generali. Credo che sarà meglio farla tornare dalla Luna. Non possiamo lasciarla lì. Ha giocato a golf; ha chiuso il portello ed è tornato. In seguito, non è trascorso troppo tempo prima che lei valutasse di aver completato la sua strada con la NASA. Si è trasferito in altri settori.

SHEPARD: Come ricorderà, le uniche programmate erano le missioni Skylab. Per la missione congiunta con i sovietici l’equipaggio era già stato assegnato…

NEAL: E comprendeva il suo amico Deke Slayton. Deke finalmente aveva avuto la sua occasione.

SHEPARD: Ragazzi, ne siamo stati molto contenti, quel benedetto cuore! Riuscite a immaginare di dover imparare a parlare russo per andare nello spazio? Voglio dire, che è al di sopra e al di là di quanto si possa chiedere. Ma lui lo ha fatto. Non sono sicuro che i russi capissero quello che diceva, ma lo ha fatto. Siamo stati davvero molto contenti e felici per lui.

NEAL: Ricordo che lei era con me in televisione, perché lavorava come consulente giornalistico quando sono ammarati, e stavamo pensando: “Deke Brand e Stafford sembrano in forma.” Non sapevamo che erano stati avvelenati dall’acido nitrico! Ricorda che avevano inalato qualcosa?

SHEPARD: Qualche tipo di vapori.

NEAL: Alcuni vapori provenienti dal sistema di espulsione e sono stati male per un po’.

SHEPARD: Ho dimenticato se fosse una perdita o qualcosa d’altro. Possiamo controllare… (8)

Il ritorno di John Glenn nello spazio

NEAL: Lo dimenticheremo per ora, perché non è importante. E’ stato il loro volo… Considerazioni di carattere generale, allora. John Glenn è in procinto di volare di nuovo (9). Voi due avete quasi la stessa età. Che cosa pensa del volo di John?

SHEPARD: John è un paio di anni più vecchio di me; credo che abbia settantasette anni [è nato nel 1921]. Ma, ho detto per anni che i contribuenti non hanno ricavato molto dai soldi spesi per Glenn, perché ha fatto un volo ed andato subito al Congresso. Come contribuente me ne sono lamentato. L’ho detto a John per anni e anni. L’altro giorno, dopo l’annuncio, l’ho chiamato e ho detto: “John, sono contento che mi darai un altro volo in cambio dei soldi delle mie tasse!” [Ride] Penso che sia bene, francamente.

Ovviamente ci sono un sacco di cose [da sapere] sugli effetti dell’assenza di peso sugli individui, e la reazione di una persona all’assenza di peso dipende sia dalla quantità di esercizio fisico (o dalla sua assenza), dalle sue condizioni fisiche generali, sia dal tipo di cose che uno ha davvero bisogno di sapere se deve partecipare ad una missione a lungo termine. Quanto più si scopre, tanto più si starà meglio. Quindi Glenn è un buon soggetto da osservare. Pensa di essere in buona forma, e probabilmente lo è. Ma le sue ossa sono più fragili, ovviamente, e sono sicuro che ci sarà qualche lezione da imparare, anche durante quel breve periodo, esaminando la sua condizione fisica generale, prima e dopo. Penso che sia una buona cosa. Penso che grazie ad essa impareremo qualcosa.

NEAL: Pensi che ti piacerebbe volare di nuovo?

SHEPARD: Certo che lo farei! Certo che lo farei! Purtroppo al momento non sono al top delle mie condizioni di salute.

Jim Webb, Chris Kraft, Bob Gilruth, George Low e Wernher von Braun

NEAL: E’ solo questione di tempo. Lei qui ha già parlato un po’ dei responsabili della NASA, ma mi piacerebbe scorrere una piccola lista, e sentire da lei qualche giudizio su alcune di queste persone di cui abbiamo parlato. Ad esempio, Jim Webb.

SHEPARD: E’ stato interessante aver rapporti con la vecchia NACA e poi la NASA durante il periodo di formazione, perché NACA era fondamentalmente un gruppo di ingegneri. Non avevano un amministratore di tipo politico. Ma quando è arrivato Webb, è stata una ventata di aria fresca! Conosceva tutti i segreti di Washington. Sapeva quali corde toccare. E non che fosse un lobbista con un gran senso di immaginazione; non aveva bisogno di esserlo. Aveva un grande pacchetto: gli uomini nello spazio. E davvero l’ha giocato bene. Ci ha fatto un grande favore, certamente, rispondendo così in fretta e così rapidamente alla decisione davvero sorprendente di Kennedy di andare sulla Luna. Ha fatto un buon lavoro; Jim ha fatto un buon lavoro. Ma come ho detto prima, sono andato da lui con una richiesta tecnica che ha rifiutato, così almeno si comprende che aveva anche una certa conoscenza tecnica.

NEAL: Parlando di conoscenze di ingegneria, prendiamo Bob Gilruth.

SHEPARD: Bob mi piaceva davvero. Perché Bob è sempre stato nel settore dell’aviazione. Ed essendo proprio lì, a Langley, vedendolo non ogni giorno ma spesso e parlando con le persone che erano state con lui nei vecchi tempi di NACA e considerando tutto quello che aveva fatto… voglio dire: era persona veramente notevole. Penso che fosse anche un tipo molto concreto. Ovviamente apprezzo la sua decisione di farmi fare il primo volo, ma non mi ha mai detto perché ha preso questa decisione e come ha fatto. Glielo ho chiesto diverse volte negli anni, e lui ha sempre detto: “Eri proprio l’uomo giusto al momento giusto.” Ma io sono sicuro che è stato coinvolto molto personalmente in questa selezione. Ci fu l’intervento di altre persone del programma che ritenevano che forse aveva commesso un errore nella decisione, che avrebbe potuto esserci qualcun altro meglio qualificato; ma lui non ha cambiato idea. Quindi è uno dei miei eroi.

NEAL: Che dice di Chris Kraft?

SHEPARD: Mi piace Chris. Sa, credo che siamo stati molto più vicini, nei primi giorni, quando era un direttore di volo e stavamo tutti in quel piccolo edificio laggiù al Capo. Penso di averlo forse sentito più vicino, allora. Ma bisogna considerare tutte le decisioni che ha dovuto prendere. E si sapeva che non prendeva decisioni trascurate; le sue decisioni erano molto ben pensate.

NEAL: George Low.

SHEPARD: Davvero non conosco molto bene George. Non ho mai lavorato direttamente con lui in quel particolare momento del “gioco”. George è arrivato più tardi. In effetti Deke ha lavorato con lui più di me.

NEAL: Che dice di Wernher von Braun?

SHEPARD: Wernher era un ragazzo interessante. Non abbiamo mai lavorato molto insieme. Ma lo ricordo, come sono sicuro anche il resto dei “Sette originali”. Una sera abbiamo cenato a casa sua, con lui e Eberhard Rees (10), e siamo andati in macchina ad una piccola collina dove avevano costruito il loro osservatorio privato. Abbiamo dato un’occhiata alla luna con un telescopio. Sei con un grande scienziato dei razzi e lui ti mostra come appare la Luna attraverso un telescopio…

NEAL: Sembra strano ma, per il grande pubblico, Bob Gilruth si è perduto nel limbo e Wernher von Braun è nella mente di tutti come uno dei primi protagonisti. Qual è la sua reazione a questa valutazione?

SHEPARD: Penso che sia vero. Credo che tutta la vita di Gilruth è stata dedicata all’aviazione e allo spazio. Era fondamentalmente un ingegnere. Anche von Braun, ovviamente, era un ingegnere, ma credo che von Braun fosse stato più coinvolto in questioni politiche in Germania; dove forse era una questione di sopravvivenza. E credo che trattasse più facilmente con il pubblico rispetto a Gilruth. Per lui era più naturale. Di conseguenza penso che in ultima analisi, il pubblico conoscesse più von Braun che Gilruth. Ma noi, all’interno, per quel che riguarda soprattutto il volo spaziale con equipaggio, dobbiamo molto di più a Gilruth che non a Wernher.

NEAL: Non pensa che probabilmente è perché Wernher fu sempre un venditore di idee e che si è molto esposto per vendere il concetto di missione lunare?

SHEPARD: Credo di sì. Lo sentiva quasi come un dovere. Forse lo sentiva come noi. Sì, era una grande idea, ma avrebbe potuto essere un po’ preoccupato per la urgenza del programma. Questa potrebbe essere stata la ragione, non so.

Sulla NASA

NEAL: Ecco una domanda che viene dalla banda di Houston: Quali sono le cose peggiori che le sono successe dopo essere stato selezionato come astronauta?

SHEPARD: Non fu per colpa del sistema, ma ovviamente essere messo a terra è stata la cosa peggiore che mi sia mai successa.

NEAL: Quando guidava l’Ufficio Astronauti, qual è stata la cosa più difficile che ha dovuto affrontare? Si ricorda che qualcosa sia stato particolarmente difficile in quel periodo?

SHEPARD: Mi lasci dire che quando ero capo dell’Ufficio Astronauti ero responsabile di un gruppo di ragazzi molto entusiasti, molto intelligenti, molto dedicati e molto motivati. E c’erano gelosie, persone gelose di questo o di quello, in particolare di essere stati scelti per un volo o come riserva o come equipaggio di assistenza. Ci sono stati casi in cui sono sorte discussioni davvero dure. Per risolvere le cose dicevo: “Guarda, Deke e io stiamo guidando questo programma e questo è il modo in cui lo faremo. Siamo spiacenti, ma alla fine sarete trattati in modo equo.” Ci sono alcuni che ancora pensano che non lo fossero, ma spero si tratti di una piccola percentuale.

NEAL: In retrospettiva, che cosa pensa ora del contratto con rivista Life? (11) Buono, cattivo, o indifferente? Non deve rispondere se preferisce non farlo.

SHEPARD: Non so. Riguardo al contratto che abbiamo avuto con la rivista Life, penso che fosse una cosa un po’ ambivalente. All’inizio era interessante perché ci permetteva di controllare l’accesso della stampa. Soprattutto sulle cose personali, sulle relazioni all’interno della famiglia, sui sentimenti delle mogli: “Cosa provi riguardo al fatto che tuo marito vada nello spazio” e cose di questo genere. Nessuno di noi aveva avuto a che fare prima con questo tipo di attenzione pubblica. E, nei primi giorni, era diventato un po’ fastidioso, francamente; quindi penso che all’inizio sembrava un modo per aggirare il problema. E così è stato bene accolto, da questo punto di vista. Ma, poi è sorta la critica sulla quantità di denaro in gioco. Penso che, dopo tutto, lo abbiamo anche reso pubblico. Metà delle persone pensava che fosse una buona cosa e metà delle persone pensava che fosse un brutta cosa.

NEAL: Penso che qualcuno a Houston cerchi informazioni su questo: cambierebbe qualcosa delle pratiche attuali della NASA nella selezione, nell’addestramento e nell’assegnazione degli equipaggi per il volo spaziale?

SHEPARD: E’ una domanda alla quale mi è molto difficile rispondere perché non sono più coinvolto nel processo. Credo che si debbano guardare i voli che vengono fatti, le prestazioni degli equipaggi, il numero di ritardi a causa di problemi tecnici e cose di questo genere. Con questi criteri, direi che stanno guidando bene la nave, che stanno attuando un programma di successo. Ci sono stati, ovviamente, degli errori che hanno provocato perdite di vite umane. Ma hanno usato gli equipaggi per correggere molti problemi. La riparazione del telescopio Hubble è stata un fatto notevole, qualche anno fa. Sono il genere di cose che, secondo me, indicano che stanno facendo un buon lavoro.

NEAL: A riprova di quello che dice, sto pensando che non riesco a ricordare un solo caso di disastro causato da un errore del pilota, il che parla abbastanza bene del gruppo.

SHEPARD: Sì.

NEAL: Certo oggi non ci sono solo i piloti. Nella vasta gamma degli equipaggi di volo ci sono donne, scienziati, specialisti…

SHEPARD: Ma se si considera il fatto che si sta ancora testando il funzionamento dello Shuttle, come veicolo… Ciò forse non è più vero. Probabilmente avete raggiunto lo stadio operativo.

NEAL: Si è abbastanza vicini.

SHEPARD: Sì.

NEAL: Credo che recentemente lo Shuttle Columbia abbia volato la sua ventiseiesima missione: una circostanza straordinaria per un veicolo spaziale.

SHEPARD: Penso che si potrebbe dire che sono operativi, ma comunque si tratta di un record straordinario.

NEAL: Alan, le ho fatto un sacco di domande, sia dal mio punto di vista e che da quello di Houston. Mi sembra che sia giunto il momento di lasciarle dire qualcosa che desidera, se c’è qualcosa che non abbiamo chiesto che avrebbe dovuto esserlo. Se è così, fuoco sul bersaglio!

[pausa]

SHEPARD: E’ stata una grande opportunità per la mia vita, essere parte del programma spaziale. Anche prima, come pilota collaudatore della Marina, ho avuto alcune esperienze di lavoro davvero eccitanti ed interessanti. Ma credo di dover dire che è stato un piacere particolare essere parte del programma spaziale - soprattutto per la possibilità di fare un paio missioni veramente notevoli, spettacolari e fortunate.

Penso che la cosa che mi impressiona di più di tutto il sistema NASA è che ha funzionato così bene nel corso degli anni. E’ impressionante vedere un gruppo di civili, ingegneri e scienziati, che devono lavorare con gli appaltatori che sono pagati per lavorare per qualcun altro, che devono anche lavorare con i militari, perché sono coinvolti anche militari, e vedere che le cose funzionano davvero molto bene.

Ci sono state alcune accese discussioni sui vantaggi del volo spaziale con equipaggio e del volo spaziale senza equipaggio, perché ci sono parti della NASA, come sa, interamente dedicate al volo spaziale senza equipaggio. Ci sono state alcune discussioni e divergenze di opinione tra gli ingegneri sul volo spaziale, che alcuni vorrebbero automatizzare del tutto, eliminando i piloti. Ma, in ultima analisi, non riesco a ricordare nessuna decisione che sia stata presa in modo assolutamente unilaterale. Sembra che ci siano sempre state, e che ci sono tuttora, discussioni in corso per ottenere la migliore risposta possibile.

Se si pensa alle origini della NASA, nel 1958-1959, nessuno avrebbe immaginato quello che ha fatto nel corso degli anni. Nessuno avrebbe mai pensato che i computer che ci hanno portato sulla luna e ritorno sono stati i precursori dei chip di oggi e della tecnologia di oggi, grazie al denaro e allo sforzo che la NASA ha speso negli anni ‘60. Di certo avremmo avuto dei computer, non ci sono dubbi. Ma non avremmo avanzato, non saremmo nella posizione in cui siamo oggi, senza quel grandioso impeto che la NASA ha dato alla realizzazione dei computer. I satelliti, l’incredibile marea di informazioni che scorre avanti e indietro dai satelliti, nascono dall’organizzazione della NASA. E’ notevole ciò che l’organizzazione ha fatto, e sta ancora facendo. E’ proprio un grande sistema.

NEAL: Vorrei sottolineare che questo spot pubblicitario non è stato assolutamente richiesto. Si tratta proprio del pensiero di Alan Shepard. Lo dico solo per la registrazione.

SHEPARD: Non deve scusarsi.

NEAL: Non mi sto scusando. Sto facendo in modo chi guarderà questo video sappia bene che quello era il genuino Alan Shepard e non considerazioni indotte da Roy Neal o dalla NASA.

SHEPARD: Non la possono accusare di questo, Roy.

NEAL: Ma questo è un nastro della NASA. E voglio solo rendere maledettamente sicuro chi lo guarderà che ciò è venuto fuori spontaneamente ed era puramente suo. Questo è tutto.

SHEPARD: Beh, è la verità.

NEAL: Alan, la ringrazio molto. E’ stato un vero piacere.

SHEPARD: Pensa di aver ripreso abbastanza?

NEAL: Se non l’abbiamo fatto i capi ci diranno che dobbiamo tornare un’altra volta.

SHEPARD: Va bene.

(1) Chi vuole approfondire l’episodio e risentire il “dannato accento yankee” di Kennedy, può rivedere il video, pressoché integrale della cerimonia, messo online da Mark Gray: https://www.rmastri.it/spacestuff/people/alan-shepard/jf-kennedys-presentation-of-nasa-distinguished-service-medal-to-alan-shepard-1961
(2) Si allude al fallito tentativo di invadere Cuba per rovesciare il governo di Fidel Castro, compiuto nell’aprile precedente (per altri dettagli: https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_baia_dei_Porci)
(3) L’incidente occorse il 23 gennaio del 1971, 8 giorni prima del decollo di Apollo 14. A seguito dell’episodio Cernan rischiò di perdere il comando di Apollo 17 (http://www.check-six.com/Crash_Sites/Cernan-Helo-1971.htm)
(4) Shepard ne parla con noncuranza, ma i due problemi furono piuttosto seri. Occorsero ben 6 tentativi e un paio d’ore per completare con successo la manovra di attracco tra CSM e LM e fu necessario riprogrammare al volo il computer del LM per risovere il problema del pulsante di Abort.
(5) Shepard parla da aviatore dicendo: “con l’ala destra in giù”. L’inclinazione del LM, dovuta al terreno, era di circa 7/8 gradi.
(6) Probabilmente Shepard intende le esercitazioni con il Lunar Landing Research Vehicle (LLRV) o il Lunar Landing Training Vehicle (LLTV), che erano svolte principalmente dai comandanti.
(7) Nel sito della U.S.G.A. un video mostra Shepard nell’atto di donare la mazza da golf lunare al Museo nel 1974: http://www.usga.org/videos/2013/03/05/alan-shepard-discusses-moon-club-2203265589001.html
(8) I tre astronauti furono intossicati dai gas combusti e incombusti del sistema di assetto che si attivò in modo imprevisto. La cosa è stata discussa nel forum qui: http://www.forumastronautico.it/index.php?topic=8658.0
(9) Glenn partecipò alla missione STS 95 tra il 29 ottobre e il 7 novembre del 1998. Shepard, morì poco prima di quel volo.
(10) Ingegnere tedesco e collaboratore di von Braun fin dai tempi dello sviluppo delle V-2. Gli successe, come direttore di MSFC, nel 1970.
(11) Nel 1959 Life, con il beneplacito della NASA, pagò mezzo milione di dollari ai sette astronauti Mercury, per assicurarsi la copertura esclusiva sulle storie personali degli astronauti.

Grandioso Robmastri. Questa intervista è un patrimonio dell’umanità!

un immenso grazie anche da lunakhod! :beer:

Grande lavoro di traduzione!
Grazie! :wink:

Grazie anche da parte mia, molto interessante :slight_smile:

Complimenti per l’ottimo lavoro! Grazie ancora di piu’ per averlo condiviso.

intervista interessante , molto
in inglese non la avrei mai ascoltata tutta giusto 5 minuti , letta così invece è stato un piacere
quindi grazie a Robmastri