Missioni ISS di straordinaria durata

apro questo nuovo topic in quanto mi domandavo come mai alcune missioni sono durate, effettivamente, più dei soliti 6 mesi. la storica missione Kelly-Kornienko durò dal marzo 2015 al marzo 2016, e fu una sorta di missione “One-off”, con alcuni precedenti ancora in era sovietca (correggetemi se sbaglio, sto andando a memoria)…tuttavia, la missione attuale MS-24 sta durando ormai da circa un anno senza aver fatto tutto il clamore che fece quella di Kelly e Kornienko, come mai? Ricordo che la loro missione era dedicata alla ricerca sul corpo umano in caso di viaggi verso Marte (analoghi studi vennero fatti sul fratello Mark a terra), in questa sono stati previsti studi del genere dal punto di vista biologico? oltretutto ci son state altre missioni “extralarge” in tempi recenti, ad esempio quella di Mark Vande Hei rientrato sulla terra dopo 355 giorni assieme al collega russo Piotr Dubrov. grazie anticipatamente per le delucidazioni e le succose informazioni che sicuramente arriveranno in seguito all’apertura di questo topic!

Occhio che la Sojuz MS-24 e’ programmata per il prossimo settembre.

L’attuale Sojuz MS-23 e’ partita vuota lo scorso 24 febbraio per sostituire la Sojuz MS-22 danneggiata. La missione di Prokop’ev, Petelin e Rubio, partiti il 21 settembre 2022 e’ stata allungata gioco forza.

La cosa e’ stata ampiamente discussa anche qui sul Forum.

pardon, volevo dire l’attuale missione del trio Prokopyev/Rubio/Petelin. Non sapevo che fosse “solo” per il danno alla MS-22 che la loro missione fosse stata prolungata per così tanto. Non comporta dei problemi/imprevisti troppo grandi tenere in orbita un equipaggio per il doppio del previsto? Ricordo in piena pandemia che anche l’astronauta Andrew Morgan ha passato molto più tempo rispetto al previsto nello spazio. Che ripercussioni ci sono sul programma spaziale, e anche sul fisico dell/degli astronauti in questione quando si prolungano così tanto le missioni?e ci furono precedenti, nella storia?

Allora @AstroJim92 le risposte sono sostanzialmente due: la missione particolarmente lunga è stata voluta fin dal principio oppure si è fatto fronte a situazioni straordinarie occorse successivamente. Ma di base è una questione di logistica negli incastri tra gli astronauti che vanno su e che tornano.

Nella prima categoria rientra la One Year Mission di Scott Kelly e Michail Kornienko oppure la citata missione di 12 mesi Oleg Kononenko e Nikolaj Čub che partiranno con la Sojuz MS-24. Per questi ultimi è una scelta forzata per consentire la visita di 10 giorni di Marina Vasilevskaja, la missione di breve durata della cosmonauta bielorussa.

Al secondo gruppo puoi fare riferimento alle vicissitudini della Sojuz MS-22/23 che ha citato @marcozambi . Ci saranno altri esempi pregressi, mi sfuggono al momento. In parte anche l’imprevisto alla Sojuz MS-10 arrecò dei grattacapi, quando Oleg Kononenko, David Saint-Jacques e Anne McClain vissero da soli nell’avamposto senza un secondo equipaggio ad affiancarli.

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Per Andrew Morgan e Christina Koch la missione fu estesa, di durata diversa, nell’intreccio per il primo storico volo dell’astronauta emiratino Hazza AlMansouri. Erano i tempi in cui Roskosmos lanciava quattro Sojuz all’anno, alternativamente l’avvicendamento tra due equipaggi avveniva circa ogni tre mesi, ciascun astronauta prendeva parte a due Expedition nell’arco della missione.

La situazione è cambiata con l’operatività della Crew Dragon, con i voli da Bajkonur dimezzati e la rotazione completa dell’equipaggio ogni sei mesi per entrami i due segmenti, potendo contare sulle capacità di trasporto di Cape Canaveral. Tanto è vero che, per via delle riprese del film russo Vyzov, Mark Vande Hei e Pëtr Dubrov restarono in orbita 355 giorni, non avendo più a disposizione la possibilità di scendere, com’era un tempo, dopo nove dall’inizio della missione, occasione sfruttata da Peggy Whitson e dai sopracitati Morgan e Kock.

E se diamo per assodato che nel complesso le missioni della Stazione hanno sfiorato la barriera dell’anno (365 giorni) rispetto alla Mir? Il trio Sergej Prokop’ev, Dmitrij Petelin e Francisco Rubio il 21 settembre saranno le prime persone ad aver trascorso un anno pieno a bordo dell’avamposto dall’attracco con la Sojuz MS-22. Chiaramente cambia la riabilitazione sulla Terra dopo il rientro, passare da 180 giorni a 365 o più non è affatto poco. Va detto che sarà importante monitorare le condizioni fisiche passo passo nella missione, anche in ottica di una permanenza prolungata sulla Luna o Marte.

Sarà mancato l’interesse per missioni annuali? Può darsi! Nel caso di Scott Kelly fu un’occasione d’oro per la scienza per il confronto con il suo gemello Mark.


Grafico riassuntivo di @Lupin tratto dalla discussione “Stazioni spaziali a confronto”

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Nella discussione dell’imprevisto della Sojuz MS-22 si è discusso delle implicazioni di un posticipo nel rientro dell’equipaggio. Come leggi, le missioni e il tempo trascorso in orbita è pianificato e organizzato minuziosamente con largo anticipo con diversi scenari. infine revisionato da più parti a diversi livelli. Da fuori possiamo soltanto avere accenni della complessa macchina organizzativa ed esecutiva che c’è dietro allo svolgimento di una missione. Non riguarda soltanto gli astronauti, a questo si aggiunge la logistica dei veicoli di supporto per l’equipaggio, ovvero anche l’inventario dei veicoli cargo: i beni di prima necessità, gli oggetti personali, le attrezzature e gli studi scientifici.

La coperta è lunga a sufficienza per coprire eventuali rinvii, il margine c’è seppur entro certi limiti. Per certi versi è meglio allungare la missione anziché ridurla, nessun astronauta ti direbbe di essere triste nel restare di più in orbita, il necessario potrebbe essere già a disposizione nella Stazione. Va detto che gli equipaggi hanno progetti di ricerca comuni, mentre altri sono specifici per quel del determinato astronauta forniti dalla propria agenzia. Pensa un po’ studi forniti da ASI per appositamente per Parmitano e Cristoforetti o da DLR per Maurer e Gerst, oppure da CNES per Pesquet oppure ancora dalle aziende danesi per Mogensen, e così via. Non è da escludere che il collega che ne eredita il testimone abbia la preparazione sufficiente, si può rimediare è vero, per farli. Oltre modo sono studi degli istituti di ricerca nazionali e non in forma generale di ESA, quindi è quasi doveroso che sia l’astronauta di quel paese a eseguirli.

A titolo di esempio sul nodo logistica, Konstantin Borisov raccontava nel suo diario di bordo su Telegram che le scarpe da ginnastica le ha scelte in primavera, gli organi competenti di Roskosmos hanno eseguito test di sicurezza e di accettazione del prodotto, pesatura, sanificazione, documentazione fotografica e impacchettato nella Progress MS-23 partita a fine maggio. Il processo, il protocollo, è analogo per gli altri veicoli cargo, Quindi le scarpe di Borisov, che è arrivato da poco alla Stazione, erano già da tre mesi in orbita ad aspettarlo. Altri beni più importanti per Expedition 70 sono stati lanciati con Cygnus NG-19, più a ridosso dell’inizio della missione del nuovo equipaggio. Altri ne arriveranno con gli astronauti di Crew-7 e MS-24 pienamente operativi.

Direi di aver risposto a gran parte delle tue curiosità Flavio :wink:

molto bene :wink:

Provo ad aggiungere qualcosa al tuo ottimo contributo, premettendo che lavorativamente non sono coinvolto direttamente nella scelta degli astronauti e non sono al corrente di tutte le cose che vengono prese in considerazione (incluse quelle politiche). Quindi prendete quello che scrivo solo come mie considerazioni personali.

Per lavoro (visto che quegli esperimenti li devo gestire) io leggo tutti i requisiti scientifici di ogni esperimento ESA, che sono racchiusi in un documento chiamato ARD (Activity Requirements Document), in passato chiamato ESR (Experiment Science Requirements). Li leggo da ingegnere, capendoci poco dell’aspetto “scientifico”, interessandomi appunto a come i requisiti sitraducono in termini di “protocollo”, per la pianificazione e le operazioni.

Per gli esperimenti di fisiologia umana, questi requisiti hanno sempre delle “finestre scientifiche” (science window), ovvero i periodi in cui vanni svolte le sessioni dell’esperimento, che si esprimono in termini di Flight Day (ovvero giorno in orbita a partire dal lancio) o Return Minus (ovvero giorni prima del rientro).

Tipicamente c’è una finestra all’inizio della missione (magari entro le prime due settimane, oppure la seconda e terza settimana, o entro i primi 30 giorni), poi ci sono una o più finestre nel mezzo, e poi c’è un’ultima finestra verso la fine (un mese, o X settimane prima del rientro). A queste vanno poi aggiunte le sessioni pre- e post- volo (ovvero ripetute a Terra), che in gergo si chiamano Baseline Data Collection (BDC) e possono essere mesi prima o addirittura anche un paio di anni dopo il ritorno.

Per alcuni esperimenti poi, il numero di sessioni da fare dipende dalla lunghezza della missione. Ad esempio, se la missione è meno di X giorni fare 3 sessioni, se è più di X giorni fare 4 sessioni.

Ecco, nella mia esperienza, questo X è sempre tra i 150 e i 180 giorni. Ovvero, si decide se fare una sessione in più o in meno, se la missione è meno lunga o più lunga di 5 o 6 mesi.

Non ricordo di aver visto (per lo meno recentemente) un esperimento ESA che considerasse missioni da 10 o 12 mesi nei requisiti.

Ovviamente parlo dal mio ristretto punto di vista di ESA, che fa solo l’8% degli esperimenti. Non conosco o dettagli degli esperimenti di NASA, JAXA e gli altri.

Può essere che a livello fisiologico, cambi poco stare 6 mesi oppure un anno nello spazio?
Oppure semplicemente gli scienziati scrivono i requisiti in base a quello che sono le missioni “standard”?

Quale che sia la ragione, credo che la stragrande maggioranza degli esperimenti di fisiologia umana sulla ISS sia concepita per missioni di più o meno 6 mesi e non di 1 anno. E quindi non ha troppo senso fare missioni da 1 anno, a meno di non essere obbligati da un’anomalia alla Soyuz o qualche altro caso contingente…

Nel caso di Scott Kelly, credo che avessero messo insieme un set di esperimenti fatto apposta per la durata di un anno. Vero che c’era il paragone con fratello, ma onestamente ne metto un po’ in dubbio la validità scientifica, perché non so quanto valore possa avere un esperimento medico che ha come campione statistico un singolo esemplare. Di sicuro quella missione ha avuto una grande importanza mediatica e politica per NASA, che forse va al di là di quello che veramente ha portato in termini scientifici.

Nel caso di Vande Hei e di Rubio invece, visto che la loro missione è stata allungata in corso d’opera, credo che gli scienziati abbiano avuto l’opportunità di proporre delle sessioni aggiuntive in luce dell’estensione della missione (ovvero andando al di là dei requisiti iniziali).

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Ora viene da chiedersi: come mai proprio 6 mesi, e non 3 mesi, oppure 9, o 12?

Oggi la risposta è che la Dragon è certificata per stare massimo 9 o 10 mesi nello spazio, e il suo ottimo è 6 mesi. Ma la Dragon è stata fatta così in base a dei requisiti che vengono dalla storia della ISS.

E nella storia della ISS, la durata delle missioni era guidata dalla certificazione delle Soyuz, che anche loro sono certificate più o meno per lo stesso periodo.

Insomma, credo che tra una cosa e l’altra si sia trovato l’ottimo intorno ai 6 mesi, per una serie molteplice di fattori, e che gli scienziati si siano adeguati. Non inventi un esperimento “a priori”, ma lo inventi in base a quello che il tuo laboratorio ti permette di fare.

E dopo che tutta la “letteratura” ha campioni statistici con 6 mesi di permanenza nello spazio, gli esperimenti nuovi se vogliono fare paragoni con quelli vecchi probabilmente devono avere la stessa durata.

E visto che ogni esperimento per avere un buon campione statistico deve avere almeno 5-10 soggetti, non ha troppo senso ideare esperimenti per missioni da un anno, perché di sicuro da qui alla fine della ISS non ci saranno altre 10 missioni da 1 anno (se non altro perché la ISS intorno al 2030 è pianificata per deorbitare).

Quando inizieremo ad andare su Marte, probabilmente gli scienziati si adegueranno alla durata delle nuove missioni :blush:

PS: scusate per i post chilometrici :sweat_smile:

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Quale migliore contributo se non l’esperienza diretta sul campo. Estremamente interessante e prezioso il tuo punto di vista Buzz.

Apro e chiudo velocemente una parentesi. Se ci pensiamo bene, a consentire agli equipaggi di rimanere più a lungo nello spazio sono stati due fattori: l’affidabilità nel tempo crescente dei mezzi di trasporto e l’innovazione delle stazioni spaziali. Un veicolo in “volo libero” può operare in autonomia per un paio di settimane, tuttavia se attraccato ad una stazione orbitante, in modalità dormiente, allora si parla di mesi in termini di vita operativa. Lo Space Shuttle era un’eccezione perché concepito per missioni brevi.

Come per le Saljut e la Mir, la Sojuz era l’unico mezzo capace di restare in orbita mesi in sicurezza, senza compromettere la funzione di scialuppa di salvataggio per l’equipaggio. Ci sta che sia stata presa come modello! Se per questo, la rotazione degli astronauti era più frequente e funzionale: il nuovo equipaggio (spesso un volo di breve durata) portava una capsula fresca e questo ha permesso lo svolgimento di missioni lunghe in un range di 150-180 giorni.

Sul perché proprio sei mesi si è affermato come standard ci sarebbe da discutere, non qui perché off topic. Chiaramente è una scelta figlia di compromessi. Possibilmente dettata da: costi (tra cui la capacità di eseguire X lanci all’anno), validità scientifica delle ricerche, affidabilità dei veicoli con equipaggio, riabilitazione e tempi di recupero post-volo, disponibilità nel corpo astronauti/cosmonauti idonei a partire,…?

Mi soffermo su: perché proprio entro i primi 30 giorni? Si tratta del periodo più critico entro il quale il corpo umano subisce i maggiori cambiamenti alla ricerca di un nuovo equilibrio nell’ambiente in cui si trova, la condizione di microgravità. Per tale motivo chi intraprende una missione di breve durata non prende sottogamba la situazione, non è esentato dalla sessione quotidiana di 90 minuti di esercizio fisico, anzi. Studi hanno dimostrato che dopo appena 5-11 giorni la massa muscolare degli astronauti può ridursi del 20%. Quindi gli effetti dell’atrofia muscolare si manifestano parecchio velocemente.

Plausibile! Lo straordinario studio del cosmonauta Valerij Poljakov ha aperto un mondo. Una volta che l’organismo si è abituato e ambientato la condizione è/dovrebbe essere stabile, a maggior ragione quando limitata dall’attività fisica e dall’alimentazione. I cambiamenti sussistono, ma la rapidità con cui avvengono è notevolmente ridotta.

Il filo conduttore è lo stesso. Soffermarci esclusivamente al volo spaziale non è corretto, lo abbiamo detto. C’è un prima, un durante e un dopo. Per esempio, dal 2013 il Centro di Addestramento Cosmonauti Gagarin ha lanciato lo studio comparativo Созвездие-ЛМ. Nei giorni successivi al ritorno i cosmonauti rifanno alcuni esercizi fatti prima della partenza: dal simulare un’attività extraveicolare, guidare una particolare macchinina con la tuta Sokol, a prove nel simulatore Sojuz e nella centrifuga. Lo scopo è di capire se il volo spaziale induce cambiamenti nelle abilità acquisite, andando a ricreare quello che può essere lo scenario dopo il viaggio e l’atterraggio su un altro corpo celeste. Qui la sessione di Oleg Skripočka.


Infine riflettiamo un attimo sul titolo di questa discussione: Missioni ISS di straordinaria durata. Secondo il mio modesto parere è necessario distinguere se stiamo parlando di “Expedition” in quanto tale oppure di missioni individuali e/o di più astronauti che hanno luogo in quel lasso di tempo. Gli esempi portati fin qui (sinteticamente i soggiorni di Mark Vande Hei e Petr Dubrov o del trio Prokop’ev-Petelin-Rubio ed eccetera) sono permanenze non usuali viste le statistiche della Stazione, è vero. Anche generalizzando sono risultati di assoluto livello: con 355 giorni Vande Hei e Dubrov sono ad oggi accreditati del quarto volo spaziale più lungo di sempre.

Diversamente se ci stiamo riferendo alle Expedition, ne dubito, allora salta all’occhio negli annali Expedition 14 con al comando Michael López-Alegría, essendo l’unica spedizione sopra i 200 giorni. Formalmente è durata 205 giorni considerando come estremi temporali i distacchi delle Sojuz TMA-8 e TMA-9. Per avere un riferimento vicino: Expedition 17 ed Expedition 63 sono entrambe durate poco meno di 188 giorni.

Con che tolleranze? Visti i possibili ritardi dovuti a meteo avverso o altre situazioni non controllabili?

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Eh, hai colto nel segno di uno dei problemi tipici con cui abbiamo a che fare da quando gli astronauti non volano più con la Soyuz :slightly_smiling_face:

La pianificazione delle ultime settimane di missione è sempre un gioco delicato per gestire il rischio di ritardi al rientro. Si chiamano “finestre” proprio perché non è un singolo giorno, c’è apposta della tolleranza. Ma ciò non toglie che in alcuni casi si deve chiedere agli scienziati una waiver, per incastrare il planning con la scienza.

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Stiamo forse scivolando OT, ma chiedo: waiver per utilizzare del tempo che dovrebbero dedicare a? Eventi mediatici, altri esperimenti, tempo “libero” di cui hanno diritto ogni giorno?

No no, waiver dagli scienziati per far fare all’astronauta l’esperimento qualche giorno al di fuori della finestra che era nei requisiti scientifici, cose tipo 17 giorni prima del rientro invece di 15.

E ovviamente, se il ritardo nel rientro viene deciso alla fine, dopo che gli esperimenti sono già conclusi, c’è poco da fare.

Se la finestra era da R-20 a R-10 quindi, io cercherò di pianificare la sessione più vicino possibile a R-10, così da poter accettare qualche giorno di ritardo del rientro, per esempio in caso di brutto tempo. Ma ovviamente non è sempre possibile, perché su ogni astronauta ci sono tanti esperimenti, e in qualche caso se gli astri si allineano nel modo sbagliato, bisogna fare l’esperimento al limite della finestra, e questo significa che appena c’è uno o due giorni di ritardo si violano un po’ i requisiti.

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